da: la Repubblica
Il
Papa a Scalfari: così cambierò la Chiesa
"Giovani
senza lavoro, uno dei mali del mondo"
ESCLUSIVO:
il dialogo con Francesco: "Ripartire dal Concilio, aprire alla cultura
moderna". Il colloquio in Vaticano dopo la lettera di Bergoglio pubblicata
dal nostro giornale: "Convertirla? Il proselitismo è una solenne
sciocchezza. Bisogna conoscersi e ascoltarsi". "La Santa Sede è
troppo vaticano-centrica. Basta cortigiani"
di Eugenio Scalfari
di Eugenio Scalfari
Mi dice papa Francesco: "I più gravi dei mali che affliggono il mondo
in questi anni sono la disoccupazione dei
giovani e la solitudine in cui vengono lasciati i vecchi. I vecchi hanno
bisogno di cure e di compagnia; i giovani di lavoro e di speranza, ma non hanno
né l'uno né l'altra, e il guaio è che non li cercano più. Sono stati
schiacciati sul presente. Mi dica lei: si può vivere schiacciati sul presente?
Senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro
costruendo un progetto, un avvenire, una famiglia? È possibile continuare così?
Questo, secondo me, è il problema più urgente che la Chiesa ha di fronte a
sé".
Santità,
gli dico, è un problema soprattutto politico ed economico, riguarda gli Stati,
i governi, i partiti, le associazioni sindacali.
«Certo, lei ha ragione, ma riguarda anche
la Chiesa, anzi soprattutto la Chiesa perché questa situazione non ferisce solo
i corpi ma anche le anime. La Chiesa deve sentirsi responsabile sia delle anime
sia dei corpi».
Santità,
Lei dice che la Chiesa deve sentirsi responsabile. Debbo dedurne che la Chiesa
non è consapevole di questo problema e che Lei la incita in questa direzione?
«In larga misura quella consapevolezza c’è,
ma non abbastanza. Io desidero che lo sia di più. Non è questo il solo problema
che abbiamo di fronte ma è il più urgente e il più drammatico».
L’incontro con papa Francesco è avvenuto martedì scorso nella sua residenza di Santa Marta, in una piccola stanza spoglia, un tavolo e cinque o sei sedie, un quadro alla parete. Era stato preceduto da una telefonata che non dimenticherò finché avrò vita.
L’incontro con papa Francesco è avvenuto martedì scorso nella sua residenza di Santa Marta, in una piccola stanza spoglia, un tavolo e cinque o sei sedie, un quadro alla parete. Era stato preceduto da una telefonata che non dimenticherò finché avrò vita.
Erano le due e mezza del pomeriggio.
Squilla il mio telefono e la voce alquanto agitata della mia segretaria mi
dice: «Ho il Papa in linea glielo passo immediatamente ».
Resto allibito mentre già la voce di Sua
Santità dall’altro capo del filo dice: «Buongiorno, sono papa Francesco».
Buongiorno Santità — dico io e poi — sono sconvolto non m’aspettavo mi
chiamasse. «Perché sconvolto? Lei mi ha scritto una lettera chiedendo di
conoscermi di persona. Io avevo lo stesso desiderio e quindi son qui per
fissare l’appuntamento. Vediamo la mia agenda: mercoledì non posso, lunedì
neppure, le andrebbe bene martedì?».
Rispondo: va benissimo.
Rispondo: va benissimo.
«L’orario è un pò scomodo, le 15, le va
bene? Altrimenti cambiamo giorno». Santità, va benissimo anche l’orario.
«Allora siamo d’accordo: martedì 24 alle 15. A Santa Marta. Deve entrare dalla
porta del Sant’Uffizio».
Non so come chiudere questa telefonata e mi lascio andare dicendogli: posso abbracciarla per telefono? «Certamente, l’abbraccio anch’io. Poi lo faremo di persona, arrivederci».
Non so come chiudere questa telefonata e mi lascio andare dicendogli: posso abbracciarla per telefono? «Certamente, l’abbraccio anch’io. Poi lo faremo di persona, arrivederci».
Ora son qui. Il Papa entra e mi dà la mano,
ci sediamo. Il Papa sorride e mi dice: «Qualcuno dei miei collaboratori che la
conosce mi ha detto che lei tenterà di convertirmi»
È
una battuta gli rispondo. Anche i miei amici pensano che sia Lei a volermi
convertire.
Ancora sorride e risponde: «Il proselitismo
è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far
crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un
incontro ho voglia di farne un altro perché nascono nuove idee e si scoprono
nuovi bisogni. Questo è importante: conoscersi, ascoltarsi, ampliare la cerchia
dei pensieri. Il mondo è percorso da strade che riavvicinano e allontanano, ma
l’importante è che portino verso il Bene».
Santità,
esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?
«Ciascuno di noi ha una sua visione del
Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui
pensa sia il Bene».
Lei,
Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è
autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei
passaggi più coraggiosi detti da un Papa.
«E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea
del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male
come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo».
La
Chiesa lo sta facendo?
«Sì, le nostre missioni hanno questo scopo:
individuare i bisogni materiali e immateriali delle persone e cercare di
soddisfarli come possiamo. Lei sa cos’è l’“agape”?».
Sì,
lo so.
«È l’amore per gli altri, come il nostro
Signore l’ha predicato. Non è proselitismo, è amore. Amore per il prossimo,
lievito che serve al bene comune».
Ama
il prossimo come te stesso.
«Esattamente, è così».
Gesù
nella sua predicazione disse che l’agape, l’amore per gli altri, è il solo modo
di amare Dio. Mi corregga se sbaglio.
«Non sbaglia. Il Figlio di Dio si è
incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della
fratellanza. Tutti fratelli e tutti figli di Dio. Abba, come lui chiamava il
Padre. Io vi traccio la via, diceva. Seguite me e troverete il Padre e sarete
tutti suoi figli e lui si compiacerà in voi. L’agape, l’amore di ciascuno di
noi verso tutti gli altri, dai più vicini fino ai più lontani, è appunto il
solo modo che Gesù ci ha indicato per trovare la via della salvezza e delle
Beatitudini».
Tuttavia
l’esortazione di Gesù, l’abbiamo ricordato prima, è che l’amore per il prossimo
sia eguale a quello che abbiamo per noi stessi. Quindi quello che molti
chiamano narcisismo è riconosciuto come valido, positivo, nella stessa misura
dell’altro. Abbiamo discusso a lungo su questo aspetto.
«A me — diceva il Papa — la parola
narcisismo non piace, indica un amore smodato verso se stessi e questo non va
bene, può produrre danni gravi non solo all’anima di chi ne è affetto ma anche
nel rapporto con gli altri, con la società in cui vive. Il vero guaio è che i
più colpiti da questo che in realtà è una sorta di disturbo mentale sono
persone che hanno molto potere. Spesso i Capi sono narcisi».
Anche
molti Capi della Chiesa lo sono stati.
«Sa come la penso su questo punto? I Capi
della Chiesa spesso sono stati narcisi, lusingati e malamente eccitati dai loro
cortigiani. La corte è la lebbra del papato».
La
lebbra del papato, ha detto esattamente così. Ma qual è la corte? Allude forse
alla Curia? ho chiesto.
«No, in Curia ci sono talvolta dei cortigiani, ma la Curia nel suo complesso è un’altra cosa. È quella che negli eserciti si chiama l’intendenza, gestisce i servizi che servono alla Santa Sede. Però ha un difetto: è Vaticano-centrica. Vede e cura gli interessi del Vaticano, che sono ancora, in gran parte, interessi temporali. Questa visione Vaticano-centrica trascura il mondo che ci circonda. Non condivido questa visione e farò di tutto per cambiarla. La Chiesa è o deve tornare ad essere una comunità del popolo di Dio e i presbiteri, i parroci, i Vescovi con cura d’anime, sono al servizio del popolo di Dio. La Chiesa è questo, una parola non a caso diversa dalla Santa Sede che ha una sua funzione importante ma è al servizio della Chiesa. Io non avrei potuto avere la piena fede in Dio e nel suo Figlio se non mi fossi formato nella Chiesa e ho avuto la fortuna di trovarmi, in Argentina, in una comunità senza la quale non avrei preso coscienza di me e della mia fede».
«No, in Curia ci sono talvolta dei cortigiani, ma la Curia nel suo complesso è un’altra cosa. È quella che negli eserciti si chiama l’intendenza, gestisce i servizi che servono alla Santa Sede. Però ha un difetto: è Vaticano-centrica. Vede e cura gli interessi del Vaticano, che sono ancora, in gran parte, interessi temporali. Questa visione Vaticano-centrica trascura il mondo che ci circonda. Non condivido questa visione e farò di tutto per cambiarla. La Chiesa è o deve tornare ad essere una comunità del popolo di Dio e i presbiteri, i parroci, i Vescovi con cura d’anime, sono al servizio del popolo di Dio. La Chiesa è questo, una parola non a caso diversa dalla Santa Sede che ha una sua funzione importante ma è al servizio della Chiesa. Io non avrei potuto avere la piena fede in Dio e nel suo Figlio se non mi fossi formato nella Chiesa e ho avuto la fortuna di trovarmi, in Argentina, in una comunità senza la quale non avrei preso coscienza di me e della mia fede».
Lei
ha sentito la sua vocazione fin da giovane?
«No, non giovanissimo. Avrei dovuto fare un
altro mestiere secondo la mia famiglia, lavorare, guadagnare qualche soldo.
Feci l’università. Ebbi anche una insegnante verso la quale concepii rispetto e
amicizia, era una comunista fervente. Spesso mi leggeva e mi dava da leggere
testi del Partito comunista. Così conobbi anche quella concezione molto
materialistica. Ricordo che mi fece avere anche il comunicato dei comunisti
americani in difesa dei Rosenberg che erano stati condannati a morte. La donna
di cui le sto parlando fu poi arrestata, torturata e uccisa dal regime
dittatoriale allora governante in Argentina».
Il
comunismo la sedusse?
«Il suo materialismo non ebbe alcuna presa
su di me. Ma conoscerlo attraverso una persona coraggiosa e onesta mi è stato
utile, ho capito alcune cose, un aspetto del sociale, che poi ritrovai nella
dottrina sociale della Chiesa».
La teologia della liberazione, che papa Wojtyla ha scomunicato, era abbastanza presente nell’America Latina.
La teologia della liberazione, che papa Wojtyla ha scomunicato, era abbastanza presente nell’America Latina.
«Sì, molti suoi esponenti erano argentini».
Lei
pensa che sia stato giusto che il Papa li combattesse?
«Certamente davano un seguito politico alla
loro teologia, ma molti di loro erano credenti e con un alto concetto di
umanità ».
Santità,
mi permette di dirle anch’io qualche cosa sulla mia formazione culturale? Sono
stato educato da una madre molto cattolica. A 12 anni vinsi addirittura una
gara di catechismo tra tutte le parrocchie di Roma ed ebbi un premio dal
Vicariato. Mi comunicavo il primo venerdì di ogni mese, insomma praticavo la
liturgia e credevo. Ma tutto cambiò quando entrai al liceo. Lessi, tra gli
altri testi di filosofia che studiavamo, il “Discorso sul metodo” di Descartes
e rimasi colpito dalla frase, ormai diventata un’icona, “Penso, dunque sono”.
L’io divenne così la base dell’esistenza umana, la sede autonoma del pensiero.
«Descartes tuttavia non ha mai rinnegato la
fede del Dio trascendente».
È
vero, ma aveva posto il fondamento d’una visione del tutto diversa e a me
accadde di incamminarmi in quel percorso che poi, corroborato da altre letture,
mi ha portato a tutt’altra sponda.
«Lei però, da quanto ho capito, è un non
credente ma non un anticlericale. Sono due cose molto diverse».
È
vero, non sono anticlericale, ma lo divento quando incontro un clericale.
Lui sorride e mi dice: «Capita anche a me,
quando ho di fronte un clericale divento anticlericale di botto. Il
clericalismo non dovrebbe aver niente a che vedere con il cristianesimo. San
Paolo che fu il primo a parlare ai Gentili, ai pagani, ai credenti in altre
religioni, fu il primo ad insegnarcelo».
Posso
chiederle, Santità, quali sono i santi che lei sente più vicini all’anima sua e
sui quali si è formata la sua esperienza religiosa?
«San Paolo è quello che mise i cardini
della nostra religione e del nostro credo. Non si può essere cristiani
consapevoli senza San Paolo. Tradusse la predicazione di Cristo in una
struttura dottrinaria che, sia pure con gli aggiornamenti di un’immensa quantità
di pensatori, di teologi, di pastori d’anime, ha resistito e resiste dopo
duemila anni. E poi Agostino, Benedetto e Tommaso e Ignazio. E naturalmente
Francesco. Debbo spiegarle il perché?».
Francesco — mi sia consentito a questo punto di chiamare così il Papa perché è lui stesso a suggerirtelo per come parla, per come sorride, per le sue esclamazioni di sorpresa o di condivisione, mi guarda come per incoraggiarmi a porre anche le domande più scabrose e più imbarazzanti per chi guida la Chiesa. Sicché gli chiedo: di Paolo ha spiegato l’importanza e il ruolo che ha svolto, ma vorrei sapere quale tra quelli che ha nominato sente più vicino all’anima sua?
Francesco — mi sia consentito a questo punto di chiamare così il Papa perché è lui stesso a suggerirtelo per come parla, per come sorride, per le sue esclamazioni di sorpresa o di condivisione, mi guarda come per incoraggiarmi a porre anche le domande più scabrose e più imbarazzanti per chi guida la Chiesa. Sicché gli chiedo: di Paolo ha spiegato l’importanza e il ruolo che ha svolto, ma vorrei sapere quale tra quelli che ha nominato sente più vicino all’anima sua?
«Mi chiede una classifica, ma le
classifiche si possono fare se si parla di sport o di cose analoghe. Potrei
dirle il nome dei migliori calciatori dell’Argentina. Ma i santi...».
Si
dice scherza coi fanti, conosce il proverbio?
«Appunto. Tuttavia non voglio evadere alla
sua domanda perché lei non mi ha chiesto una classifica sull’importanza
culturale e religiosa ma chi è più vicino alla mia anima. Allora le dico:
Agostino e Francesco».
Non
Ignazio, dal cui Ordine Lei proviene?
«Ignazio, per comprensibili ragioni, è
quello che conosco più degli altri. Fondò il nostro Ordine. Le ricordo che da
quell’Ordine proveniva anche Carlo Maria Martini, a me ed anche a lei molto
caro. I gesuiti sono stati e tuttora sono il lievito — non il solo ma forse il
più efficace — della cattolicità: cultura, insegnamento, testimonianza
missionaria, fedeltà al Pontefice. Ma Ignazio che fondò la Compagnia, era anche
un riformatore e un mistico. Soprattutto un mistico».
E
pensa che i mistici sono stati importanti per la Chiesa?
«Sono stati fondamentali. Una religione
senza mistici è una filosofia».
Lei
ha una vocazione mistica?
«A lei che cosa le sembra?».
A
me sembra di no.
«Probabilmente ha ragione. Adoro i mistici;
anche Francesco per molti aspetti della sua vita lo fu ma io non credo d’avere
quella vocazione e poi bisogna intendersi sul significato profondo di quella
parola. Il mistico riesce a spogliarsi del fare, dei fatti, degli obiettivi e
perfino della pastoralità missionaria e s’innalza fino a raggiungere la
comunione con le Beatitudini. Brevi momenti che però riempiono l’intera vita».
A
Lei è mai capitato?
«Raramente. Per esempio quando il Conclave
mi elesse Papa. Prima dell’accettazione chiesi di potermi ritirare per qualche
minuto nella stanza accanto a quella con il balcone sulla piazza. La mia testa
era completamente vuota e una grande ansia mi aveva invaso. Per farla passare e
rilassarmi chiusi gli occhi e scomparve ogni pensiero, anche quello di
rifiutarmi ad accettare la carica come del resto la procedura liturgica
consente. Chiusi gli occhi e non ebbi più alcuna ansia o emotività. Ad un certo
punto una grande luce mi invase, durò un attimo ma a me sembrò lunghissimo. Poi
la luce si dissipò io m’alzai di scatto e mi diressi nella stanza dove mi
attendevano i cardinali e il tavolo su cui era l’atto di accettazione. Lo
firmai, il cardinal Camerlengo lo controfirmò e poi sul balcone ci fu
l’“Habemus Papam”».
Rimanemmo un po’ in silenzio, poi dissi: parlavamo dei santi che lei sente più
vicini alla sua anima ed eravamo rimasti ad Agostino. Vuole dirmi perché lo
sente molto vicino a sé?
«Anche il mio predecessore ha Agostino come
punto di riferimento. Quel santo ha attraversato molte vicende nella sua vita
ed ha cambiato più volte la sua posizione dottrinaria. Ha anche avuto parole
molto dure nei confronti degli ebrei, che non ho mai condiviso. Ha scritto
molti libri e quello che mi sembra più rivelatore della sua intimità
intellettuale e spirituale sono le “Confessioni”, contengono anche alcune
manifestazioni di misticismo ma non è affatto, come invece molti sostengono, il
continuatore di Paolo. Anzi, vede la Chiesa e la fede in modo profondamente
diverso da Paolo, forse anche perché erano passati quattro secoli tra l’uno e
l’altro».
Qual è la differenza, Santità?
Qual è la differenza, Santità?
«Per me è in due aspetti, sostanziali.
Agostino si sente impotente di fronte all’immensità di Dio e ai compiti ai quali
un cristiano e un Vescovo dovrebbe adempiere. Eppure lui impotente non fu
affatto, ma l’anima sua si sentiva sempre e comunque al di sotto di quanto
avrebbe voluto e dovuto. E poi la grazia dispensata dal Signore come elemento
fondante della fede. Della vita. Del senso della vita. Chi è non toccato dalla
grazia può essere una persona senza macchia e senza paura come si dice, ma non
sarà mai come una persona che la grazia ha toccato. Questa è l’intuizione di
Agostino».
Lei
si sente toccato dalla grazia?
«Questo non può saperlo nessuno. La grazia
non fa parte della coscienza, è la quantità di luce che abbiamo nell’anima, non
di sapienza né di ragione. Anche lei, a sua totale insaputa, potrebbe essere
toccato dalla grazia».
Senza fede? Non credente?
Senza fede? Non credente?
«La grazia riguarda l’anima».
Io
non credo all’anima.
«Non ci crede ma ce l’ha».
Santità,
s’era detto che Lei non ha alcuna intenzione di convertirmi e credo che non ci
riuscirebbe.
«Questo non si sa, ma comunque non ne ho
alcuna intenzione».
E
Francesco?
«È grandissimo perché è tutto. Uomo che
vuole fare, vuole costruire, fonda un Ordine e le sue regole, è itinerante e
missionario, è poeta e profeta, è mistico, ha constatato su se stesso il male e
ne è uscito, ama la natura, gli animali, il filo d’erba del prato e gli uccelli
che volano in cielo, ma soprattutto ama le persone, i bambini, i vecchi, le
donne. È l’esempio più luminoso di quell’agape di cui parlavamo prima».
Ha
ragione Santità, la descrizione è perfetta. Ma perché nessuno dei suo
predecessori ha mai scelto quel nome? E secondo me, dopo di Lei nessun altro lo
sceglierà?
«Questo non lo sappiamo, non ipotechiamo il
futuro. È vero, prima di me nessuno l’ha scelto. Qui affrontiamo il problema
dei problemi. Vuole bere qualche cosa?».
Grazie, forse un bicchiere d’acqua.
Si alza, apre la porta e prega un
collaboratore che è all’ingresso di portare due bicchieri d’acqua. Mi chiede se
vorrei un caffè, rispondo di no. Arriva l’acqua. Alla fine della nostra
conversazione il mio bicchiere sarà vuoto, ma il suo è rimasto pieno. Si
schiarisce la gola e comincia.
«Francesco voleva un Ordine mendicante ed
anche itinerante. Missionari in cerca di incontrare, ascoltare, dialogare,
aiutare, diffondere fede e amore. Soprattutto amore. E vagheggiava una Chiesa
povera che si prendesse cura degli altri, ricevesse aiuto materiale e lo
utilizzasse per sostenere gli altri, con nessuna preoccupazione di se stessa.
Sono passati 800 anni da allora e i tempi sono molto cambiati, ma l’ideale
d’una Chiesa missionaria e povera rimane più che valida. Questa è comunque la
Chiesa che hanno predicato Gesù e i suoi discepoli».
Voi
cristiani adesso siete una minoranza. Perfino in Italia, che viene definita il
giardino del Papa, i cattolici praticanti sarebbero secondo alcuni sondaggi tra
l’8 e il 15 per cento. I cattolici che dicono di esserlo ma di fatto lo sono
assai poco sono un 20 per cento. Nel mondo esiste un miliardo di cattolici e
anche più e con le altre Chiese cristiane superate il miliardo e mezzo, ma il
pianeta è popolato da 6-7 miliardi di persone. Siete certamente molti, specie
in Africa e nell’America Latina, ma minoranze.
«Lo siamo sempre stati ma il tema di oggi
non è questo. Personalmente penso che essere una minoranza sia addirittura una
forza. Dobbiamo essere un lievito di vita e di amore e il lievito è una
quantità infinitamente più piccola della massa di frutti, di fiori e di alberi
che da quel lievito nascono. Mi pare d’aver già detto prima che il nostro
obiettivo non è il proselitismo ma l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle
delusioni, della disperazione, della speranza. Dobbiamo ridare speranza ai
giovani, aiutare i vecchi, aprire verso il futuro, diffondere l’amore. Poveri tra
i poveri. Dobbiamo includere gli esclusi e predicare la pace. Il Vaticano II,
ispirato da papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con
spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano
che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con
i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho
l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare».
Anche
perché — mi permetto di aggiungere — la società moderna in tutto il pianeta attraversa
un momento di crisi profonda e non soltanto economica ma sociale e spirituale.
Lei all’inizio di questo nostro incontro ha descritto una generazione
schiacciata sul presente. Anche noi non credenti sentiamo questa sofferenza
quasi antropologica. Per questo noi vogliamo dialogare con i credenti e con chi
meglio li rappresenta.
«Io non so se sono il migliore che li
rappresenta, ma la Provvidenza mi ha posto alla guida della Chiesa e della
Diocesi di Pietro. Farò quanto sta in me per adempiere al mandato che mi è
stato affidato».
Gesù,
come Lei ha ricordato, ha detto: ama il tuo prossimo come te stesso. Le pare
che questo sia avvenuto?
«Purtroppo no. L’egoismo è aumentato e l’amore verso gli altri diminuito».
«Purtroppo no. L’egoismo è aumentato e l’amore verso gli altri diminuito».
Questo è dunque l’obiettivo che ci accomuna:
almeno parificare l’intensità di questi due tipi d’amore. La sua Chiesa è
pronta e attrezzata a svolgere questo compito?
«Lei cosa pensa?».
Penso
che l’amore per il potere temporale sia ancora molto forte tra le mura vaticane
e nella struttura istituzionale di tutta la Chiesa. Penso che l’Istituzione
predomini sulla Chiesa povera e missionaria che lei vorrebbe.
«Le cose stanno infatti così e in questa
materia non si fanno miracoli. Le ricordo che anche Francesco ai suoi tempi
dovette a lungo negoziare con la gerarchia romana e con il Papa per far
riconoscere le regole del suo Ordine. Alla fine ottenne l’approvazione ma con
profondi cambiamenti e compromessi».
Lei
dovrà seguire la stessa strada?
«Non sono certo Francesco d’Assisi e non ho
la sua forza e la sua santità. Ma sono il Vescovo di Roma e il Papa della
cattolicità. Ho deciso come prima cosa di nominare un gruppo di otto cardinali
che siano il mio consiglio. Non cortigiani ma persone sagge e animate dai miei
stessi sentimenti. Questo è l’inizio di quella Chiesa con un’organizzazione non
soltanto verticistica ma anche orizzontale. Quando il cardinal Martini ne
parlava mettendo l’accento sui Concili e sui Sinodi sapeva benissimo come fosse
lunga e difficile la strada da percorrere in quella direzione. Con prudenza, ma
fermezza e tenacia».
E
la politica?
«Perché me lo chiede? Io ho già detto che
la Chiesa non si occuperà di politica».
Però
proprio qualche giorno fa ha rivolto un appello ai cattolici ad impegnarsi
civilmente e politicamente.
«Non mi sono rivolto soltanto ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà. Ho detto che la politica è la prima delle attività civili ed ha un proprio campo d’azione che non è quello della religione. Le istituzioni politiche sono laiche per definizione e operano in sfere indipendenti. Questo l’hanno detto tutti i miei predecessori, almeno da molti anni in qua, sia pure con accenti diversi. Io credo che i cattolici impegnati nella politica hanno dentro di loro i valori della religione ma una loro matura coscienza e competenza per attuarli. La Chiesa non andrà mai oltre il compito di esprimere e diffondere i suoi valori, almeno fin quando io sarò qui».
«Non mi sono rivolto soltanto ai cattolici ma a tutti gli uomini di buona volontà. Ho detto che la politica è la prima delle attività civili ed ha un proprio campo d’azione che non è quello della religione. Le istituzioni politiche sono laiche per definizione e operano in sfere indipendenti. Questo l’hanno detto tutti i miei predecessori, almeno da molti anni in qua, sia pure con accenti diversi. Io credo che i cattolici impegnati nella politica hanno dentro di loro i valori della religione ma una loro matura coscienza e competenza per attuarli. La Chiesa non andrà mai oltre il compito di esprimere e diffondere i suoi valori, almeno fin quando io sarò qui».
Ma
non è stata sempre così la Chiesa.
«Non è quasi mai stata così. Molto spesso
la Chiesa come istituzione è stata dominata dal temporalismo e molti membri ed
alti esponenti cattolici hanno ancora questo modo di sentire. Ma ora lasci a me
di farle una domanda: lei, laico non credente in Dio, in che cosa crede? Lei è
uno scrittore e un uomo di pensiero. Crederà dunque a qualcosa, avrà un valore
dominante. Non mi risponda con parole come l’onestà, la ricerca, la visione del
bene comune; tutti principi e valori importanti, ma non è questo che le chiedo.
Le chiedo che cosa pensa dell’essenza del mondo, anzi dell’universo. Si
domanderà certo, come tutti, chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo. Se le
pone anche un bambino queste domande. E lei?».
Le
sono grato di questa domanda. La risposta è questa: io credo nell’Essere, cioè
nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti.
«E io credo in Dio. Non in un Dio
cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, sua
incarnazione. Gesù è il mio maestro e il mio pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è
la luce e il Creatore. Questo è il mio Essere. Le sembra che siamo molto
distanti?»
Siamo
distanti nei pensieri, ma simili come persone umane, animate inconsapevolmente
dai nostri istinti che si trasformano in pulsioni, sentimenti, volontà,
pensiero e ragione. In questo siamo simili.
«Ma quello che voi chiamate l’Essere vuole
definire come lei lo pensa?».
L’Essere
è un tessuto di energia. Energia caotica ma indistruttibile e in eterna
caoticità. Da quell’energia emergono le forme quando l’energia arriva al punto
di esplodere. Le forme hanno le loro leggi, i loro campi magnetici, i loro
elementi chimici, che si combinano casualmente, evolvono, infine si spengono ma
la loro energia non si distrugge. L’uomo è probabilmente il solo animale dotato
di pensiero, almeno in questo nostro pianeta e sistema so-lare. Ho detto è
animato da istinti e desideri ma aggiungo che contiene anche dentro di sé una
risonanza, un’eco, una vocazione di caos.
«Va bene. Non volevo che mi facesse un compendio della sua filosofia e mi ha detto quanto mi basta. Osservo dal canto mio che Dio è luce che illumina le tenebre anche se non le dissolve e una scintilla di quella luce divina è dentro ciascuno di noi. Nella lettera che le scrissi ricordo d’averle detto che anche la nostra specie finirà ma non finirà la luce di Dio che a quel punto invaderà tutte le anime e tutto sarà in tutti».
«Va bene. Non volevo che mi facesse un compendio della sua filosofia e mi ha detto quanto mi basta. Osservo dal canto mio che Dio è luce che illumina le tenebre anche se non le dissolve e una scintilla di quella luce divina è dentro ciascuno di noi. Nella lettera che le scrissi ricordo d’averle detto che anche la nostra specie finirà ma non finirà la luce di Dio che a quel punto invaderà tutte le anime e tutto sarà in tutti».
Sì,
lo ricordo bene, disse “tutta la luce sarà in tutte le anime” il che — se posso
permettermi — dà più una figura di immanenza che di trascendenza.
«La trascendenza resta perché quella luce,
tutta in tutti, trascende l’universo e le specie che in quella fase lo
popolano. Ma torniamo al presente. Abbiamo fatto un passo avanti nel nostro
dialogo. Abbiamo constatato che nella società e nel mondo in cui viviamo
l’egoismo è aumentato assai più dell’amore per gli altri e gli uomini di buona
volontà debbono operare, ciascuno con la propria forza e competenza, per far sì
che l’amore verso gli altri aumenti fino ad eguagliare e possibilmente superare
l’amore per se stessi».
Qui
anche la politica è chiamata in causa.
«Sicuramente. Personalmente penso che il
cosiddetto liberismo selvaggio non faccia che rendere i forti più forti, i
deboli più deboli e gli esclusi più esclusi. Ci vuole grande libertà, nessuna
discriminazione, non demagogia e molto amore. Ci vogliono regole di comportamento
ed anche, se fosse necessario, interventi diretti dello Stato per correggere le
disuguaglianze più intollerabili».
Santità,
lei è certamente una persona di grande fede, toccato dalla grazia, animato
dalla volontà di rilanciare una Chiesa pastorale, missionaria, rigenerata e non
temporalistica. Ma da come parla e da quanto io capisco, Lei è e sarà un Papa
rivoluzionario. Per metà gesuita, per metà uomo di Francesco, un connubio che
forse non si era mai visto. E poi, le piacciono i “Promessi Sposi” di Manzoni,
Holderlin, Leopardi e soprattutto Dostoevskij, il film “La strada” e “Prova
d’orchestra” di Fellini, “Roma città aperta” di Rossellini ed anche i film di
Aldo Fabrizi.
«Quelli mi piacciono perché li vedevo con i
miei genitori quando ero bambino».
Ecco. Posso suggerirle di vedere due film
usciti da poco? “Viva la libertà” e il film su Fellini di Ettore Scola. Sono
certo che le piaceranno.
Sul
potere gli dico: lo sa che a vent’anni ho fatto un mese e mezzo di esercizi
spirituali dai gesuiti? C’erano i nazisti a Roma e io avevo disertato dalla
leva militare. Eravamo punibili con la condanna a morte. I gesuiti ci
ospitarono a condizione che facessimo gli esercizi spirituali per tutto il
tempo in cui eravamo nascosti nella loro casa e così fu.
«Ma è impossibile resistere ad un mese e
mezzo di esercizi spirituali» dice lui stupefatto e divertito. Gli racconterò
il seguito la prossima volta. Ci abbracciamo. Saliamo la breve scala che ci
divide dal portone. Prego il Papa di non accompagnarmi ma lui esclude con un
gesto. «Parleremo anche del ruolo delle donne nella Chiesa. Le ricordo che la
Chiesa è femminile».
E
parleremo se Lei vuole anche di Pascal. Mi piacerebbe sapere come la pensa
su quella grande anima.
«Porti a tutti i suoi familiari la mia benedizione e chieda che preghino per me. Lei mi pensi, mi pensi spesso».
«Porti a tutti i suoi familiari la mia benedizione e chieda che preghino per me. Lei mi pensi, mi pensi spesso».
Ci stringiamo la mano e lui resta fermo con
le due dita alzate in segno di benedizione. Io lo saluto dal finestrino.
Questo è Papa Francesco. Se la Chiesa
diventerà come lui la pensa e la vuole sarà cambiata un’epoca.
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