da: La Stampa
Alessio Boni: il mio Ulisse non
riconosce più Itaca
L’attore nella fiction di Raiuno “che
capovolge l’eroe omerico”
di Simonetta Robiony
Alessio
Boni recita da Dio. Porta in scena,
con la regia di Valerio Binasco e in coppia con Alessandro Haber, Il visitatore di Eric-Emmanuel Schmitt,
nello spettacolo Haber è Freud, il padre della psicanalisi, laico, agnostico,
materialista, e Boni è appunto Dio, o qualcuno che si sente dio e crede nella
spiritualità, nell’anima, nella vita eterna. «E’ il momento dell’annessione
dell’Austria da parte di Hitler - dice Boni - Freud è vecchio, malato,
angosciato.
Sente che si avvicina la fine. All’improvviso gli appare un uomo in frac che vuole intavolare con lui una conversazione sui massimi sistemi. Ne nasce una discussione a momenti commovente, a momenti esilarante simile a tante che ognuno di noi ha avuto in vita sua. Chiunque, almeno una volta, si è posto la domanda sull’esistenza di Dio». Rappresentato una sola volta da noi, con Kim Rossi Stuart e Turi Ferro, ma molto visto e discusso all’estero, Il visitatore, prodotto dalla Goldenart di Federica Vincenti, debutta il 27 a Castellamare di Stabia. «Ci muoviamo sul filo del rasoio: se lo fai troppo ieratico annoi, troppo
comico falsi il testo. Dobbiamo trovare il tono giusto per rendere lo
spettacolo coinvolgente anche se affronta una materia filosofica, difficile per
molti».Sente che si avvicina la fine. All’improvviso gli appare un uomo in frac che vuole intavolare con lui una conversazione sui massimi sistemi. Ne nasce una discussione a momenti commovente, a momenti esilarante simile a tante che ognuno di noi ha avuto in vita sua. Chiunque, almeno una volta, si è posto la domanda sull’esistenza di Dio». Rappresentato una sola volta da noi, con Kim Rossi Stuart e Turi Ferro, ma molto visto e discusso all’estero, Il visitatore, prodotto dalla Goldenart di Federica Vincenti, debutta il 27 a Castellamare di Stabia. «Ci muoviamo sul filo del rasoio: se lo fai troppo ieratico annoi, troppo
Il
ruolo che più è rimasto nel cuore di Boni è Matteo di La meglio gioventù.
«Mi sono legato a Marco Tullio Giordana in maniera profonda tanto da fare con
lui altri due film e pronto ad accettare ogni sua proposta. E’ stata un’opera
magnifica. Ero in Perù, poco tempo fa, e per strada, nonostante avessi la
barba, sono stato riconosciuto come il Matteo di Giordana. Da quel film la mia
carriera non ha avuto soste». Tra poco lo vedremo in tv in una trilogia sugli
Anni 70 e ne Il ritorno, una versione anomala dell’Odissea, voluta
da Artè: è un Ulisse che spiazza, il suo. «Lo so: saranno in molti a
criticarci. E’ un Ulisse che non riconosce più la sua Itaca. E’ stato lontano
per vent’anni: tutto è cambiato e lui dubita di tutti.
E’ solo, braccato, vendicativo. Dovrà porre mano alla spada per riprendersi il potere. Mi ha molto interessato questo capovolgimento dell’eroe omerico, anche perché mi ha permesso di lavorare all’estero, con attori stranieri». Non la infastidisce la babele di lingue? «Affatto. A me apre la testa, mi spinge al confronto, mi propone nuovi ritmi. In Guerra e pace lavorare con l’attore russo che fa il generale Kutuzov, uno dei migliori del suo paese, è stato come entrare direttamente nel metodo Stanislavski. Una esperienza straordinaria». Ha girato anche un film in questi mesi. «Sono tornato a lavorare con Angelo Longoni, dopo Caravaggio per la tv: questa è una commedia, perfetta per le corde di Longoni, Maldamore, dovrebbe uscire il 14 febbraio per san Valentino come controcanto alle troppe pellicole sdolcinate da fidanzatini, è la storia di due coppie che scoppiano: Zingaretti e Ambra Angiolini, Luisa Ranieri e io. Si scoprono tradimenti, lui confessa e chiede perdono, lei ammette di aver tradito anche lei, e si aprono ferite non più sanabili. Si sorride sul maschilismo, sul possesso, sull’onore, su una parità tra sessi conclamata ma non raggiunta».
Il personaggio più difficile è stato Walter Chiari, «non tanto perché è ispirato a una persona reale, anche altri personaggi lo sono. Ma Caravaggio nessuno l’ha mai visto parlare, dipingere, battersi a duello. Puccini, di cui si sanno tutte le vicende pubbliche e private, resta immobile, nelle foto d’epoca. Chiari, invece, lo conoscono tutti. Per di più aveva mille sfaccettature, nell’arte e nella vita: comico, seduttore, malinconico, carcerato, perdente, vittorioso. Mi scivolava tra le mani come una anguilla». Lei lavora senza interruzione: tv, cinema, teatro, riesce anche a vivere? «Sicuro. Dico molti no e vivo. Ma quando mi arriva la proposta di fare un personaggio magnifico, uno che negli anni dell’Accademia sognavo, uno che quand’ero ragazzino e vivevo in montagna vicino Bergamo neanche osavo pensarci, come faccio a rifiutare? Decido di fermarmi. Poi mi propongono Guerra e pace, Cime tempestose, Ulisse. Porco cane! Mando all’aria i miei piani e lo faccio».
E’ solo, braccato, vendicativo. Dovrà porre mano alla spada per riprendersi il potere. Mi ha molto interessato questo capovolgimento dell’eroe omerico, anche perché mi ha permesso di lavorare all’estero, con attori stranieri». Non la infastidisce la babele di lingue? «Affatto. A me apre la testa, mi spinge al confronto, mi propone nuovi ritmi. In Guerra e pace lavorare con l’attore russo che fa il generale Kutuzov, uno dei migliori del suo paese, è stato come entrare direttamente nel metodo Stanislavski. Una esperienza straordinaria». Ha girato anche un film in questi mesi. «Sono tornato a lavorare con Angelo Longoni, dopo Caravaggio per la tv: questa è una commedia, perfetta per le corde di Longoni, Maldamore, dovrebbe uscire il 14 febbraio per san Valentino come controcanto alle troppe pellicole sdolcinate da fidanzatini, è la storia di due coppie che scoppiano: Zingaretti e Ambra Angiolini, Luisa Ranieri e io. Si scoprono tradimenti, lui confessa e chiede perdono, lei ammette di aver tradito anche lei, e si aprono ferite non più sanabili. Si sorride sul maschilismo, sul possesso, sull’onore, su una parità tra sessi conclamata ma non raggiunta».
Il personaggio più difficile è stato Walter Chiari, «non tanto perché è ispirato a una persona reale, anche altri personaggi lo sono. Ma Caravaggio nessuno l’ha mai visto parlare, dipingere, battersi a duello. Puccini, di cui si sanno tutte le vicende pubbliche e private, resta immobile, nelle foto d’epoca. Chiari, invece, lo conoscono tutti. Per di più aveva mille sfaccettature, nell’arte e nella vita: comico, seduttore, malinconico, carcerato, perdente, vittorioso. Mi scivolava tra le mani come una anguilla». Lei lavora senza interruzione: tv, cinema, teatro, riesce anche a vivere? «Sicuro. Dico molti no e vivo. Ma quando mi arriva la proposta di fare un personaggio magnifico, uno che negli anni dell’Accademia sognavo, uno che quand’ero ragazzino e vivevo in montagna vicino Bergamo neanche osavo pensarci, come faccio a rifiutare? Decido di fermarmi. Poi mi propongono Guerra e pace, Cime tempestose, Ulisse. Porco cane! Mando all’aria i miei piani e lo faccio».
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