giovedì 30 aprile 2020

Giuseppe Conte, non è più tempo di errori. Non ci possiamo più permettere certi errori da chi governa.


Premessa: non sono tra coloro che vorrebbero un governo Salvini. Dio me ne scampi. Mi sono già dovuta sorbire Berlusconi, Renzi e il governo Conte 1 con Salvini premier di fatto. Ma agli occhi di parte degli italiani, certi errori, certi limiti del governo Conte renderanno credibili i cialtroni e i fanfaroni. Specie pericolose. Più del Covid-19.

E’ indubbio che Giuseppe Conte e il governo si trovano a gestire una situazione mai vista dal dopoguerra a oggi. Il Covid-19 ha colpito in maniera pesante il Nord Italia e ha messo in evidenza le differenze tra governi regionali. Il trio Fontana, Gallera e Fabrizio Sala è arrogante. Agisce e parla prevalentemente per contrastare ogni decisione governativa. Solita propaganda, a discapito degli interessi della collettività. Attilio Fontana, è il braccio armato di Salvini in caduta di consensi nei sondaggi.

A pagarne le spese della “contrapposizione” tra Conte e il governo della Regione Lombardia sono stati i cittadini di Alzano Lombardo e Nembro. La Regione Lombardia poteva dichiarare zona rossa la bassa Val Seriana ma non l’ha fatto. Giuseppe Conte ha temporeggiato per qualche giorno fino ad arrivare al decreto 11 marzo 2020 che chiudeva praticamente l’Italia. Anche se il virus probabilmente gira in Lombardia da gennaio, quei giorni di “attesa” e scaricabarile sono stati fatali per alcuni residenti di Alzano e Nembro.

Per quale motivo la Regione Lombardia non ha disposto la zona rossa. Perché la lobby degli imprenditori della zona premeva per non chiudere. Fontana non voleva prendersi l’onere di chiudere, di “scontentare” le imprese della zona, di perdere consenso elettorale.
Voleva che fosse Conte a dichiarare zona rossa la bassa Val Seriana. Se Conte non l’ha fatto, pensando appunto che Fontana stesse cercando di scaricare su di lui la decisione, è stato comunque irresponsabile come il governatore della Regione Lombardia. Se invece non l’ha fatto perché stavano predisponendo il lockdown dal 12 marzo è stato un errore. In buona fede, ma un errore.

Una situazione come quella di Alzano e Nembro non dovrà mai più verificarsi.

Ma veniamo agli altri errori, ai limiti, ai mancati interventi, che Giuseppe Conte non si può più permettere. Che noi italiani non ci possiamo permettere. Perché se mai ci fosse un tempo consentito per gli errori, il che a volte è inevitabile e comprensibile, questo è finito.

martedì 28 aprile 2020

Massimo Gramellini: Congiunti e disgiunti



Era immaginabile che un governo dove alcuni ministri hanno problemi con il congiuntivo potesse inciampare sulla parola successiva del dizionario: congiunto. Vocabolo antico, ma per nulla caloroso, che odora di burocrazia e sembra inadatto a circoscrivere quel gomitolo di relazioni dentro al quale ci muoviamo ogni giorno. Dell’imminente Fase Due, in cui ci sarà concesso uscire di casa per meglio apprezzare le gioie del ritornarci, l’incontro con “i congiunti” rappresenta il momento-clou, la novità più preziosa e fumosa. Ma chi sono le persone care a cui, opportunamente mascherati, ci potremo di nuovo accostare? Soltanto i parenti stretti, alcuni dei quali sopportiamo già a stento nelle feste comandate?

Il misterioso Comitato Tecnico-Scientifico, che nella prosa ispirata di Conte incarna il totem dello Scaricabarile da citare all’occorrenza per dare una patente di autorevolezza all’incomprensibile, considera “congiunti” tutti gli affetti stabili. E qui la cosa, invece di semplificarsi, si ingarbuglia. Tra gli affetti stabili ciascuno di noi annovera

Coronavirus, dpcm 4 maggio 2020: contraddizioni e una sconcezza inaccettabile




Io sono cattolica, credente. Non aggiungo altro perché non vorrei “imitare” la Meloni.

Nel post precedente (sotto) ho riportato un articolo del Post. Sono in gran parte d’accordo con le opinioni,  osservazioni richiamate. Ma il punto della questione, per quanto mi riguarda, non è se la Messa sia o no importante. La mia rispostà è ovviamente “sì”, ma è anche vero che l’azione pastorale non si esplicita solo con questo rito.

Il punto della questione è un altro. Vale per la celebrazioni religiose come per i cinema e i teatri. Che hanno in comune? Il fatto che possono generare assembramenti.
Ma se si consente l’entrata ai musei non vedo perché non si debba consentire l’entrata in Chiesa per una Messa o al cinema per vedere un film o a teatro per uno spettacolo teatrale.

Partiamo dai requisiti obbligatori: mascherina e guanti e distanziamento sociale. Nei musei gli ingressi saranno contingentati. Stessa cosa si può fare al cinema, a teatro, in Chiesa per la Messa. Ovviamente, ingressi contingentati significa che ci vogliono persone che gestiscono flussi in entrata e in uscita.

Quando sono entrata in un museo devo però prestare attenzione a chi mi sta accanto. Vale a dire: che prima di guardare il quadro o la scultura, devo guardare a che distanza sono dalle altre persone presenti e a quale distanza questi sono da me. Quindi: gli ingressi

Al tempo del coronavirus: La messa è così importante per i cattolici?


da: https://www.ilpost.it/

La messa è così importante per i cattolici?
La risposta breve è sì, ma non tutti la pensano come la CEI

Da due giorni alcuni pezzi della Chiesa cattolica criticano il governo per non avere incluso la messa, cioè la principale celebrazione cattolica, fra le attività che potranno riprendere dopo il 4 maggio, giorno in cui si allenteranno alcune delle restrizioni per il coronavirus. La Conferenza Episcopale Italiana (CEI), l’assemblea permanente dei vescovi, ha diffuso un duro comunicato dicendo che «esige» di «poter riprendere la sua azione pastorale», perché vede «compromesso» l’esercizio della libertà di culto. Il governo ha risposto che nei prossimi giorni dovrebbe emanare un «protocollo» per riprendere a celebrare le messe «in sicurezza».

In molti, soprattutto fra i non cattolici, si sono chiesti se la messa sia davvero così necessaria a fronte di una emergenza sanitaria mondiale, e più in generale se sia così centrale nella dottrina. La risposta breve è sì, ma le cose sono più complicate di così.

La tradizione di celebrare un nuovo rito nacque nei decenni successivi alla morte di Gesù Cristo, e prendeva spunto da elementi presenti nella religione ebraica e in alcune tradizioni pagane diffuse in Medio Oriente. I momenti fondamentali erano due, rintracciabili ancora

Antonio Padellaro: Conte? Meglio la soluzione Macron-Trump


da: Il Fatto Quotidiano

Dall’alto del mio divano non mi capacito e mi unisco alla protesta che dalle poltrone e sofà dello Stivale si leva, indignata, dopo le ultime comunicazioni di un premier (che nessuno ha eletto) e che esercita il suo mobbing nei momenti più divisivi: la sera tardi (quando caschiamo dal sonno), o alla mattina (quando non siamo ancora svegli), o al pomeriggio (pennica), fino all’ultima provocazione, nell’ora più sacra della cena.

All’unisono insorgono industriali, vescovi, maturandi, orfani e vedovi di Draghi, congiunti non consanguinei, amanti ritrovati e perduti, anziani e badanti, bagnini, macchinisti, fuochisti, facchini, affini, collaterali, uomini di fatica. Baccaglia contro Conte la ministra italoviva Bellanova (stai bonina, l’ammansisce il sempre responsabile Renzi “che i conti li faremo alla fine”), mentre nell’arenile di Giletti si agitano, ma tu guarda, forconi e marce su Roma.

Allora mettiamola così, se il compromesso tra riapertura graduale e virus che cova sotto la cenere fa tanto schifo, se il popolo dei sopracciò invoca decisioni nette e irrevocabili e basta scienziati pappamolla, si può sempre scegliere tra tre opzioni.

Cura Donald Trump: una bella endovena di varechina e oplà il coronavirus (alimentato dalla solita propaganda liberal) non c’è più.

Tommaso Merlo: Conte e gli ipocriti aperturisti



Se Conte riaprisse tutto e subito e riesplodesse la pandemia, lo metterebbero in croce come irresponsabile assassino. I primi a farlo sarebbero proprio gli ipocriti che oggi si lamentano contro la riapertura graduale adottata dal governo e minacciano addirittura rivolte. Ipocriti e irresponsabili. A partire dal duo sovranista e dalle lobby con giornalai al seguito che speculano pericolosamente sul malcontento.

Una cosa è governare avendo la responsabilità della vita di milioni di persone, un’altra è aprire bocca dargli fiato. Una cosa è agire per il bene comune, un’altra pensare solo ai fatti propri. Salvini e la Meloni stanno dando uno spettacolo patetico. Non son riusciti a mettere prima l’interesse nazionale nemmeno di fronte alla crisi del secolo. Alla faccia del patriottismo da comizio. Alla faccia del populismo da talk-show. A Salvini e alla Meloni interessa solo far saltare il governo e prendergli il posto. Punto e basta. Non hanno altro in testa. È l’unico modo che conoscono di fare politica. Lo hanno imparato in decenni di carriera. Una triste normalità italiana in tempi di pace, ma che in tempi di guerra rischia di rivelarsi un clamoroso boomerang per loro.

Molti cittadini che li votano sono molto più seri e responsabili di loro e alla lunga potrebbero mandarli a quel paese. Del resto c’è in gioco la loro vita e quella delle loro famiglie, non qualche stramaledetta poltrona. Chissà quanti elettori di Salvini e della Meloni stanno rispettando diligentemente le regole facendo sacrifici per il proprio bene e per quello degli altri, chissà quanti di loro applaudono alla prudenza di Conte e di un governo che dà retta alla scienza e agli esperti fregandosene dei facili consensi. Perché una cosa è governare, un’altra è aprire bocca e dargli fiato. Una cosa è la buona politica, un’altra la becera propaganda permanente.

lunedì 27 aprile 2020

Coronavirus Fase 2, Paolo Giordano: La verità, per favore, su di noi

Ottimo articolo, che condivido. In particolare, faccio mie le osservazioni e domande sull’app Immuni di Paolo Giordano e stracondivido l’affermazione che in questa Fase 2 (o 1,5 come scrive qualcuno) “siamo chiamati alla più grande sperimentazione mai fatta sulla nostra responsabilità individuale” che, aggiungo io, non è esattamente la cosa che riesce meglio ai noi italiani. Se non abbondeneremo l’individualismo che è il parente stretto della mancanza di senso di responsabilità, ci frantumeremo, con o senza Covid-19.


Perché la sofferenza di molti non si trasformi in rabbia, ci serve una novità nel nostro dibattito pubblico: un’assunzione di responsabilità individuale e spontanea da parte degli attori principali di questa crisi

Alla vigilia dell’8 aprile, quando è stato revocato il lockdown di Wuhan – un lockdown molto più rigido del nostro –, la Cina intera dichiarava 62 nuovi casi, la maggior parte dei quali importati. Il giorno precedente 32. Ieri, in Piemonte, la mia regione che non ho mai sentito così geograficamente lontana, i nuovi infetti confermati erano 394. Nella Lombardia limitrofa 920.

Però apriamo. O meglio, iniziamo ad aprire, perché lo fanno anche gli altri, perché si avvicina l’estate e sotto sotto speriamo che il caldo ci dia una mano; perché ci auguriamo di aver imparato una serie di norme e di mantenerle a lungo, perché il virus forse, chissà, si dice, è diventato meno aggressivo. In realtà, abbiamo chiuso in ritardo per salvaguardare il comparto produttivo e apriamo adesso, raffazzonati, per salvaguardare il comparto produttivo. Anche il quadro epidemico si piega davanti all’ipotesi di un’economia strangolata.

Coronavirus: i medici denunciano le aziende sanitarie, la politica vuole lo scudo penale


di Milena Gabanelli e Rita Querzè

In Europa, l’Italia è il Paese dove da anni la probabilità di prendersi un’infezione negli ospedali, è in assoluto la più alta: il 6%. È la conseguenza di un graduale aumento di rischi specifici inclusa la scarsa formazione degli operatori sanitari a osservare le misure di sicurezza, a partire da quelle igieniche. In questo quadro è esploso il Covid-19.
Oggi il personale sanitario, che conta 19.942 contagiati e 185 morti, attraverso le sue rappresentanze sindacali ha presentato un esposto ai Nas oltre che alle procure di dieci regioni: contestano alle aziende ospedaliere di non avere tutelato medici e infermieri come dovuto.
La questione riguarda anche noi cittadini, perché i medici positivi al virus rischiano di trasformare gli ospedali in focolai del contagio, e il livello di sicurezza del personale sanitario è una delle chiavi del successo (o dell’insuccesso) della lotta contro il coronavirus.
Il piano contro le pandemie mai attuato

Vediamo come sono andate le cose, a partire dai presidi di tutela numero uno: le mascherine.
Le Regioni avevano sul tavolo il piano contro le pandemie (dal 2007 in Veneto ed Emilia Romagna, e ben due a partire dal 2006 in Lombardia). Una disposizione chiave dice: «Fate scorta di dispositivi di protezione, mascherine, guanti, tute». Al contrario della Germania, le nostre aziende sanitarie non lo hanno mai attuato, e quando è arrivata la tempesta i dispositivi mancavano. Va sottolineato che, per i medici, le mascherine dovevano essere le FFP2 e P3. Lo richiedeva l’Inail. Siccome scarseggiavano le

venerdì 24 aprile 2020

Coronavirus, lettera di un anziano che viveva in una Rsa: “Addio, in questa prigione dorata non è mi mancato nulla se non le vostre carezze”




Su Interris.it è stata pubblicata la straziante lettera di un anziano che viveva in un Rsa e prima di essere ucciso dal Covid-19 saluta la figlia e i nipoti, senza sapere se leggeranno mai queste sue parole: i rimpianti, i rimorsi, le riflessioni di un uomo che sa di morire. Un commovente addio e una forte denuncia. Ecco il testo della lettera

Pubblichiamo il testo integrale della lettera d’addio di un anziano morto per coronavirus all’interno di una Rsa (Residenza sanitaria assistita, ndr) dove purtroppo si sono registrati numerosi decessi e dove le persone sono morte da sole e a causa della pandemia non si è potuto neanche celebrare un funerale

Da questo letto senza cuore scelgo di scrivervi cari miei figli e nipoti. (L'ho consegnata di nascosto a Suor Chiara nella speranza che dopo la mia morte possiate leggerla). Comprendo di non avere più tanti giorni, dal mio respiro sento che mi resta solo questa esile mano a stringere una penna ricevuta per grazia da una giovane donna che ha la tua età Elisa mia cara. È l'unica persona che in questo ospizio mi ha regalato qualche sorriso ma da quando porta anche lei la mascherina riesco solo a intravedere un po' di luce dai suoi occhi; uno sguardo diverso da quello delle altre assistenti che neanche ti salutano.

Non volevo dirvelo per non recarvi dispiacere su dispiacere sapendo quanto avrete sofferto nel lasciarmi dentro questa bella "prigione". Si, così l'ho pensata ricordando un testo scritto

giovedì 23 aprile 2020

I pochissimi aspetti positivi al tempo del Coronavirus...



Tra i pochissimi aspetti positivi del coronavirus (vabbè..si fa per dire..) c’è la riscoperta (per alcuni) dell’igiene.

Faccio parte di quella “strana” generazione cui hanno insegnato: quando rientri a casa lavati le mani, prima di mangiare lavati le mani.
Sono igienista e tendenzialmente schizzinosa, non solo per educazione. Ma per convinzione. Non ho quindi aspettato il coronavirus per scoprire i vantaggi dell’igiene costante. Stando tra le persone, frequentando locali e mezzi pubblici, spesso mi sono detta: quanti batteri porterò a casa (da qui, lavaggio frequente).

Non parliamo della pulizia (?!) negli uffici. Se c’è qualcosa su cui le aziende fanno una costante riduzione dei costi è quella relativa alle pulizie. Quante volte ho visto il poveretto o la poveretta che in un’ora doveva pulire più stanze. Stesso straccio utilizzato dall’inizio alla fine, risciacqui non previsti perché va via tempo. Da ciò, la necessità di provvedere da sola a una igienizzazione della scrivania.
Pratica a cui “costringevo” anche i maschietti solitamente sguerci nel vedere la polvere e refrattari a prendere panno (usa e getta, ovviamente) e prodotto igienizzante.

Ma c’è un altro aspetto positivo del Coronavirus cui non vorrei rinunciare: il distanziamento sociale.

Sono ormai due mesi che quando vado al supermercato vivo momenti di gioia e intensa

Crisanti, il virologo che ha ‘salvato’ il Veneto: “Non mancano i tamponi, ma la volontà di farli. Sbagliato riaprire tutti il 4 maggio”


da: https://it.businessinsider.com/ - di Gea Scancarello

Andrea Crisanti è un cervello di ritorno: professore di parassitologia molecolare all’Imperial college di Londra, è rientrato in Italia come direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell’Università (e azienda ospedaliera) di Padova, portando competenze preziose. In questi giorni è infatti noto soprattutto per essere l’uomo che ha guidato il Veneto fuori dall’emergenza coronavirus, risparmiando alla regione uno scenario catastrofico come quello lombardo e che è stato indicato da Ernesto Burgio come uno dei pochi se non l’unico vero esperto italiano.

In controtendenza netta e isolata con le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms), Crisanti ha insistito per fare i tamponi a tutti i contatti dei presunti infetti, riuscendo a bloccare l’epidemia sul territorio prima che dilagasse negli ospedali.

Eppure, dice, che ancora oggi “questa decisione strategica non è stata fatta propria da altre regioni”. Gli abbiamo chiesto allora di spiegarci il mistero dei tamponi che non si fanno e il nuovo fiorire di test sierologici (“Non servono assolutamente a nulla”).

Ci aiuta a capire una volta per tutte perché ancora ci sono malati o persone che chiamano con sintomi a cui non vengono fatti tamponi? Mancano i materiali? Non c’è la volontà?
È un insieme di cose. All’inizio sicuramente i reagenti sono mancati, ma non credo che

Coronavirus: La “strage dei nonni”


da: Il Fatto Quotidiano - di Maddalena Oliva

Ieri il governatore sul Corriere si è detto in pace con la sua coscienza: ecco il documento che allenta le strette dopo Codogno, firmato Pirellone.

“Io sono in pace con la mia coscienza”, ha ribadito ieri il governatore Attilio Fontana al Corriere della Sera. “Per dirla chiara sulle Rsa – ha proseguito Fontana – la Regione non ha competenza, se non di controllo”.

La Regione lo va ripetendo da settimane. La convinzione è che, sulla “strage dei nonni”, sia in atto una campagna mediatica – e politica – mirata a “cavalcare l’onda emotiva di questi giorni per confondere il ruolo di controllo e di sorveglianza della Regione con i ruoli e le responsabilità organizzative e gestionali delle strutture stesse”. L’ultimo tassello alla “linea di difesa” del Pirellone nel ridimensionare il peso della famosa delibera dell’8 marzo lo ha aggiunto, sempre dalle pagine del Corriere, l’assessore al Lavoro Melania Rizzoli. Calcolando che “trascorrono dalle 2 alle 5 settimane per il manifestarsi complessivo della malattia virale e del suo eventuale esito letale – ha detto l’assessore Rizzoli, che è anche medico – è facile dedurre che tutti gli anziani ospiti delle case di cura lombarde, che sono deceduti per coronavirus a marzo e nei primi 15 giorni di aprile, erano venuti in contatto ben prima dell’8 marzo con il Covid-19”.

L’Italia, il ruolo auspicabile della Bce e il Mes cavallo di Troika


da: https://www.startmag.it/ - di Giuseppe Liturri

Nel giorno in cui, i principali organi di informazione internazionali, come Bloomberg e Financial Times, rilanciano la disponibilità della Bce a fare tutto il necessario per evitare la frammentazione del sistema finanziario e evitare crisi del debito pubblico, l’Italia si presenta al Consiglio Europeo con richieste da ultima spiaggia o manifestamente non accoglibili.

In un lungo articolo dal titolo “La Bce potrebbe essere la porta sul retro per arrivare a mutualizzare il debito”, si spiega chiaramente come stanno le cose: o i Paesi del nord (Germania in testa) accettano che la Bce acquisti senza limiti debito pubblico emesso dagli Stati membri, che significa di fatto rendere solidalmente responsabili di tale debito tutti i Paesi dell’eurozona, oppure l’alternativa è accettare il crollo dell’eurozona. Non sembrano esserci alternative. Il vantaggio di questa opzione, rispetto all’emissione di eurobond (tutta da definirsi nei dettagli e nei tempi), è di tipo politico. Le opinioni pubbliche dei Paesi nordici non capirebbero tale mutualizzazione nascosta e quindi potrebbero accettarla, almeno nel breve periodo.

La crescita del debito pubblico che Paesi come Spagna ed Italia hanno davanti a sé e talmente rilevante, che solo un intervento della Bce potrebbe renderlo sostenibile, prevenendo una catastrofica nuova crisi dei debiti sovrani.

Marco Travaglio: “Levategli il vino”



da: Il Fatto Quotidiano

Gioco di società. Indovinate, fra queste 10 notizie, qual è quella inventata per farci quattro risate.

1. Un simpatico giudice di sorveglianza di Milano, siccome le prigioni italiane, e tantopiù quelle del 41-bis, sono il luogo più sicuro al mondo contro il Coronavirus (1 morto in tre mesi su 60mila detenuti), scarcera il boss Francesco Bonura autorizzandolo a girovagare fuori Palermo per matrimoni, funerali, banchetti pasquali e natalizi, facendosi scudo del ministero della Giustizia che però dice l’opposto: nessun mafioso o altro delinquente pericoloso deve uscire (anche perché fuori si rischia il contagio molto più che dentro). Così ora chi stava al 41-bis è fuori e chi era fuori sta al 41-bis.

2. Vittorio Feltri dichiara in tv che i meridionali “non soffrono di complessi di inferiorità: in molti casi sono inferiori”. Intanto pubblica in prima pagina l’editoriale quotidiano di Paolo Becchi, ma gli affianca un commento che lo definisce “incomprensibile” per “i lettori, i quali difficilmente arriveranno a leggere fino in fondo”, “di una noia più mortale del Covid”, insomma “solo dei cretini come noi possono ospitare un pistolotto quale quello che ci infliggi”. E sono soddisfazioni, per entrambi.

3. Su Italia1 (Mediaset) le Iene danno la caccia al temibile viceministro della Sanità Pierpaolo Sileri e alla moglie Giada Nurry, accusandoli di conflitto d’interessi perché la signora è

mercoledì 22 aprile 2020

Tommaso Merlo: La fase 2 della stampa




Le lobby che finanziano i giornali vogliono riaprire tutto e subito e da giorni ci bombardano d’ipotesi e retroscena sul come e sul quando. Le solite secchiate di fake news per compiacere i loro padroni preoccupati di un definitivo fallimento.

Non contenti, gli stessi giornali si lamentano col governo della confusione attorno alla fase 2 quando solo loro a crearla. Ipocrisia pura. Invece di attendere che Conte vari il piano di riapertura ed informare i cittadini di conseguenza, fanno il solito fanta giornalismo che in emergenze come questa nuoce doppiamente ai cittadini. Oltre alla confusione alimenta vane aspettative e frustrazione pericolose dopo settimane di quarantena. Un comportamento irresponsabile ma in linea con l’andazzo degli ultimi decenni.

Se la stampa italiana è in crisi nera, la colpa non è certo dei cittadini che non leggono più i giornali. La colpa è dei giornalisti che li scrivono. A furia di fake news e di far politica spicciola hanno perso ogni credibilità. Volenti o meno, consci o meno, gran parte della stampa non è al servizio dei cittadini e quindi della verità dei fatti, ma è al servizio dei loro padroni. Al servizio di chi gli paga lo stipendio e dei politici che strada facendo devono ungere per far carriera. Un tradimento storico che stanno pagando duramente.

Coronavirus, per convincere i cittadini a usare le app serve la verità: la privacy è già persa



da: https://www.lettera43.it/ - di Efraim Benmelech, Paola Sapienza e Luigi Zingales

Il 55% dei cittadini Usa non vuole far conoscere gli spostamenti per favorire il tracciamento digitale dei contagi da coronavirus. I governo dovrebbero avere il coraggio di spiegare siamo già nel mondo della sorveglianza digitale. Lo faranno? L'intervento di Zingales, Benmelech e Sapienza per ProMarket.

Il numero di vittime quotidiane da Covid-19 inizia a ridursi e cresce il desiderio di riaprire l’economia e di passare a una “fase 2” nelle politiche di risposta al Coronavirus. In assenza di un vaccino disponibile o di un cocktail di farmaci antivirali efficace, test e tracciamento sono due degli strumenti più importanti di cui disponiamo per gestire la riapertura dell’economia.

L’ESEMPIO DI COREA DEL SUD E ISRAELE
Corea del Sud e Israele stanno già tracciando gli spostamenti grazie ai dati di localizzazione geografica dei cellulari. Alcuni Paesi europei valutano di seguire la stessa strada. Certo, ci sono dei problemi tecnici, ma anche qualora venissero superati il successo di questo approccio dipende dalla collaborazione dei cittadini che non può essere ottenuta soltanto con la forza. Una edizione speciale del Chicago Booth-Kellogg School Financial Trust Index dimostra che i governi hanno parecchio da fare.

Coronavirus, Lombardia e Veneto: due approcci a confronto


da: https://www.scienzainrete.it/ - di Nancy Binkin, Federica Michieletto, Stefania Salmaso, Francesca Russo

Con l'invecchiamento della popolazione italiana e l'aumento dei costi sanitari, negli ultimi due decenni i finanziamenti e il personale dei programmi regionali di sanità pubblica sono diminuiti. L'entità del declino è stata diversa da una regione all'altra e si sono osservate crescenti divergenze tra le regioni per quanto riguarda l'enfasi relativa sulla sanità pubblica o sui servizi di cura. In collaborazione con il settore privato, alcune regioni, tra cui la Lombardia, hanno creato una vasta rete di servizi clinici e ospedalieri, ma hanno diminuito i finanziamenti per le attività di sanità pubblica e i laboratori pubblici. Altre, come il Veneto, hanno continuato a sostenere una forte rete di sanità pubblica con il coinvolgimento della comunità.

La risposta alla pandemia in queste due regioni del Nord Italia, che hanno avuto focolai iniziali quasi simultanei, riflette queste differenze. L'organizzazione dei servizi sanitari in Lombardia e in Veneto, insieme ad altri fattori, ha influenzato gli approcci adottati nelle prime, critiche, settimane. La Lombardia, infatti, ha scelto un approccio che si è basato principalmente sulla sua rete di servizi clinici, mentre il Veneto ha attuato una vasta strategia comunitaria che si è basata su una più solida rete sanitaria pubblica e sull'integrazione locale dei servizi.

martedì 21 aprile 2020

Il mio smartphone sa tutto di me



da: Il Fatto Quotidiano - di Antonello Caporale  

Il mio telefonino, al pari del vostro, sa tutto di me. Mi conta i passi, mi indica i luoghi in cui sono stato, anzi me li fotografa. Sa se vado a piedi, se uso l’auto, se mi piacciono le osterie o frequento i ristoranti. Se vado in chiesa o in tribunale. Sa cosa acquisto, conosce ogni mio gusto e spesso mi consiglia, mi propone.

Credo che il mio telefonino sappia molto meglio lui di me. E poi cosa scrivo, con chi converso. E stabilisce lui le regole. Facebook per esempio, mi giudica. Ed è insindacabile. Se si accorge che sgarro, nel senso che scrivo cose non di suo gusto, mi blocca. Io so che anche il mio elettrocardiogramma, le analisi del sangue, Psa, radiografie, sono mie fino a un certo punto.

Il mio telefonino sa se sono ateo, se ho malattie, se faccio una vita da balordo, se compro whisky oppure santini. Sa, sorveglia, e quando può sceglie e propone, lui per me. Il dovere e anche il piacere.

A Vo’ Euganeo dal 15 gennaio il virus sottotraccia. Il 43% asintomatico


da: Il Fatto Quotidiano - di Davide Milosa 

Se il 20 febbraio il comune di Codogno scopre il suo primo paziente Covid, a Vo’ Euganeo in provincia di Padova a quella data già il 3% della popolazione risulta aver contratto la malattia, il che retrodata l’ingresso del virus almeno al 15 gennaio per quanto riguarda il comune veneto e ancora prima, a ridosso dell’Epifania, a livello nazionale. Un dato inedito che viene spiegato nel report condotto dall’équipe del professor Andrea Crisanti, virologo dell’università di Padova assieme ai colleghi della Oxford University e dell’Imperial College di Londra.
La ricerca aggiunge altre due novità: la percentuale degli asintomatici e la sostanziale immunità dei bambini al virus. Si tratta del primo studio epidemiologico completo a livello mondiale che ha testato con i tamponi un’intera comunità prima e dopo le misure di lockdown.

Tutto inizia in seguito alla morte del primo paziente Covid in Italia, avvenuta a Vo’ il 21 febbraio. Circa 2.800 abitanti su un totale di 3.000 sono sottoposti al tampone. Due settimane dopo i test vengono ripetuti su un campione di 2.343 cittadini. Il primo dato che avrà di certo un riflesso nazionale è quello sugli asintomatici: risultati in una percentuale del 43%. Una cifra che dovrà essere presa in considerazione in vista della fase due.

lunedì 20 aprile 2020

Serie tv da vedere: Diavoli, il venerdì su Sky


Tralascio quell’aspetto non irrilevante che Alessandro Borghi e Patrick Dempsey sono tra gli uomini più fighi del pianeta terra. Questo sarebbe già un ottimo motivo per vedere questa serie tv.

Se Diavoli mantiene il  livello dei primi due episodi, il venerdì sera ho degli impegni (casalinghi, ovviamente) improrogabili. Non mi telefonate, non mi mandate wahtsapp perché non rispondo.

Ah..questa serie è prodotta oltre che da Sky dalla Lux Vide di Bernabei. La stessa casa di produzione di Don Matteo. Giustamente, si deve diversificare il prodotto!

Di seguito, una recensione

da: https://www.wired.it/ - di Paolo Armelli

Diavoli, una serie sulla finanza che racconta bene ciò che sapevamo già
La nuova serie Sky ha un respiro internazionale e un protagonista magnetico e dal grande star power, ma soffre di un immaginario finanziario già visto e di questi tempi ulteriormente preoccupante


Come si fa a lanciare una serie tv, per di più importante e ambiziosa, in tempi esplosi e preoccupanti come questi dominati dal coronavirus? Ci sono due ordini di problemi, uno dal punto di vista tematico: agganciare l’attenzione, soprattutto con argomenti impegnativi, delle persone in un periodo frammentato e in cui il desiderio di “evasione” è forte, non è semplice; l’altro dal punto di vista pratico: come fare promozione? Come rendere evidente e visibile un prodotto che non può essere pubblicizzato nella maniera canonica? La sfida è evidente e lo sa bene Sky, che in questi giorni sta puntando molto su Diavoli, la produzione italiana dal respiro internazionale che parte il 17 aprile su Sky Atlantic e Now Tv e che vede Alessandro Borghi, Patrick Dempsey e Kasia Smutniak protagonisti di un intrigo finanziario-criminale.

Ai tempi del Coronavirus, si dice Mes e Eurobond ma si tratta di…sovvenzioni


E’ in corso un dibattito tra fautori del “Mes senza condizionalità” e degli “Eurobond”. Nel nostro paese, in tutti i dibattiti che si rispettino (?!) c’è chi non capisce o finge di non capire. Tra coloro che fingono di non capire (non posso credere che dato il loro curricula siano idioti) ci sono Prodi, Monti e altri fautori del “MES senza condizionalità” ma ci sono anche i fautori dell’Eurobond.
Da una parte e dall’altra non si capisce o si finge di non capire cosa vogliono realmente Giuseppe Conte e del M5S. Escludo il PD perché Gualtieri è a dir poco “allineato” a Bruxelles dove governano Germania, Olanda e paesi del Nord. Ci sarebbe anche la Francia, sorella gemella della Francia ma in emergenza salute ed economica da Coronavirus è insolitamente schierata con noi (per ora..).

Giuseppe Conte e M5S non vogliono né MES, né Eurobond. In entrambi i casi, si tratta di prestiti. Con tassi agevolati piuttosto che condizioni “light” (il Mes senza condizionalità non esiste se non si modifica il Trattato).
Ciò che vogliono Giuseppe Conte e il M5S è la “solidarietà economica”. Vale a dire: l’Unione Europea deve tirare fuori soldi a fondo perduto. Sovvenzioni. Non lo dichiarano apertamente ma è facilissimo capirlo leggendo (neppure tra le righe) certe dichiarazioni.

E’ vero che per ottenere 60 molto spesso devi chiedere 100 ma…non è che Germania,

Le banche nella doppia crisi: tra rischio violenza e emergenza economica



I sindacati: «Istituti non preparati. Possibili tensioni nei giorni dell'erogazione dei finanziamenti». Il Viminale conferma l'allarme. Allertati i prefetti. Per Patuelli (Abi) il settore potrebbe vivere un «cataclisma».

C’è la paura della violenza che si potrebbe scatenare per ottenere i finanziamenti e quella per la ricaduta in un’altra crisi dopo essere riusciti a superare quella gravissima del 2008. Le banche sono di fronte a «un rischio doppio» dice il presidente dell’Abi (associazione bancaria italiana) Antonio Patuelli, dovuto alla «crisi emergenziale che si sovrappone a una situazione economico-produttiva non di grandi numeri per il Pil, di stagnazione». Ma a far paura è soprattutto la lettera inviata alla ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, dai segretari generali di Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca e Unisin che temono episodi di «violenza contro le lavoratrici e i lavoratori bancari»da lunedì per le richieste di fondi previste dal decreto imprese.

PREFETTI ALLERTATI PER LA SICUREZZA
I sindacati hanno chiesto «un intervento volto a rafforzare la sicurezza sociale, a tutela della sicurezza di chi si trova sui posti di lavoro e della clientela bancaria tutta». C’è «massima attenzione» da parte del Viminale, ha fatto sapere il ministro dell’interno. Tutti i prefetti sono stati da tempo allertati affinchè sia garantito un adeguato dispositivo di sicurezza sugli istituti in un passaggio così delicato. E l’attenzione, spiegano al ministero, continuerà ad essere elevata anche in seguito.

Coronavirus, chi ha guadagnato e chi ha perso con il lockdown?


da: https://www.corriere.it/ - di Milena Gabanelli e Fabrizio Massaro

Come in tutte le guerre, c’è chi lotta per la sopravvivenza e chi va a gonfie vele. L’Italia comincia a fare la conta dei danni da Coronavirus. La prima fotografia dei dati l’ha fatta il Centro Studi di Confindustria (CsC): a marzo, primo mese di lockdown, la produzione industriale è precipitata del 16,6% rispetto a febbraio. Si fa ancora fatica a stimare gli effetti di uno shock generalizzato che coinvolge sia l’offerta sia la domanda. Secondo il Fondo Monetario internazionale il Pil 2020 dell’Italia crollerà del 9,1%, il peggiore dalla Seconda guerra mondiale.

 
Sette milioni di lavoratori a casa
Secondo i calcoli dell’Istat sono rimaste ferme metà delle imprese presenti in Italia: il 49% del totale, ovvero 2,2 milioni, che danno lavoro a 7,4 milioni di persone (di cui 4,9 milioni dipendenti). Per quel che riguarda l’altra metà l’Istat ha presentato alla commissione Bilancio del Senato i conti aggiornati: sono rimaste aperte 2,3 milioni di imprese (il 51% del totale), con 9,3 milioni di addetti di cui 6,8 milioni dipendenti. Queste imprese nel 2019 hanno rappresentato un fatturato di 1.373 miliardi (57,4%), un valore aggiunto di 464 miliardi (59,3%) e un valore delle esportazioni di 146 miliardi (35%). In generale, su 23,3 milioni di occupati totali, circa 16 milioni sono rimasti al loro posto, in quei settori di attività ancora attivi. Una sorta di zoccolo duro del Pil italiano. Ma questo in teoria, perché una cosa è «il potenziale aperto», un’altra è quello che si è davvero prodotto.