venerdì 30 marzo 2012

Quando la tv pubblica sapeva fare sceneggiati: ‘Le inchieste del commissario Maigret’, ritorna su Rai5


Rai5 aveva già trasmesso non molto tempo fa il ciclo Nero Wolfe. Da domani sera ripropone “Le inchieste del commissario Maigret”.
Maigret = Gino Cervi, ma anche il resto del cast è sempre stato di ottimo livello. Ad iniziare da Andreina Pagnani che ne interpreta la moglie.

Di questo sceneggiato tv, che ho visto in una delle repliche che negli anni la Rai ha fornito, ricordo in particolare la canzone della sigla: ‘Un giorno dopo l’altro’ di Luigi Tenco.



Garota de Ipanema di Vinicius de Moraes e Antonio Carlos Jobim

Due versioni di gran classe….


Joao Gilberto - Garota de Ipanema (junto a Tom Jobim)


Tom Jobim: Garota de Ipanema (com Vinicius de Moraes)


Musica, ‘Garota de Ipanema’: 50 anni ben portati

da: la Stampa

Come una canzone inventò il Brasile
"Garota de Ipanema" compie 50 anni: quei due minuti dedicati a una ragazza hanno creato un mito che non muore
di Piero Negri

Uno è Antonio Carlos Jobim, per tutti Tom, 35 anni, musicista. L’altro è Vinicius de Moraes, 49 anni, poeta. Insieme hanno scritto «Orfeo Negro», il musical che è diventato film e tre anni prima ha vinto il Festival di Cannes. È il 1962, stanno lavorando a un altro musical e ne parlano spesso al bar Veloso («Il nostro posto d’osservazione»), in Rua Montenegro, quartiere di Ipanema, Rio de Janeiro, sulla strada che va alla spiaggia. E lì vedono spesso Heloisa Pinheiro, per tutti Helô, 17 anni, che abita al 22 della stessa via e che tutti i giorni entra al bar a comprare le sigarette per sua madre.

«Una ragazza con l’abbronzatura dorata, un fiore e una sirena, piena di splendore e di grazia, ma con lo sguardo triste, che porta con sé, sulla strada verso il mare, il sentimento della giovinezza che passa, della bellezza che non è solo nostra ma è un dono della vita nel suo incessante meraviglioso e melanconico fluire e rifluire». Questo vede in lei Vinicius e così la descriverà tre anni più tardi, quando la canzone che lo ispirato è già un successo mondiale: è «Garota de Ipanema», «The Girl from Ipanema», «La ragazza di Ipanema», la seconda canzone più reinterpretata dei tempi moderni dopo «Yesterday» dei Beatles, nata 50 anni fa.

Sul ritmo semplice e irresistibile che ha concepito Jobim, a Petropolis Vinicius scrive diciassette versi su una

Pier Paolo Pasolini: Io so


Corriere della Sera, 14 novembre 1974

Cos'è questo golpe? Io so
di Pier Paolo Pasolini

Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio "progetto di romanzo", sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il '68 non è poi così difficile.
Tale verità - lo si sente con assoluta precisione - sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all'editoriale del "Corriere della Sera", del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.


Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.


All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al "tradimento dei chierici" è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un'opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all'opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell'Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario - in un compatto "insieme" di dirigenti, base e votanti - e il resto dell'Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un "Paese separato", un'isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel "compromesso", realistico, che forse salverebbe l'Italia dal completo sfacelo: "compromesso" che sarebbe però in realtà una "alleanza" tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell'altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l'altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l'ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l'opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch'essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch'essi hanno deferito all'intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l'intellettuale viene meno a questo mandato - puramente morale e ideologico - ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell'opposizione, se hanno - come probabilmente hanno - prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono - a differenza di quanto farebbe un intellettuale - verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch'essi mettono al corrente di prove e indizi l'intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com'è del resto normale, data l'oggettiva situazione di fatto.
L'intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso - in questo particolare momento della storia italiana - di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l'intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che - quando può e come può - l'impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi "formali" della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.

Cinema: ‘Romanzo di una strage’, recensione / 2


da: la Repubblica

Il romanzo di piazza Fontana ma il finale bipartisan non regge
La storia secondo il testimone oculare Giordana
di Curzio Maltese

Quel pomeriggio del 12 dicembre 1969 che ha cambiato per sempre l’Italia c’era anche Marco Tullio Giordana in piazza Fontana, uno dei tanti studenti sul tram che porta alla Statale. Un boato, i vetri saltati, i biglietti per aria come coriandoli e la vita di tutti i giorni precipitata in un secondo nell’incubo. La scena autobiografica del tram è per paradosso la più genialmente visionaria di Romanzo di una strage. Soltanto Leone, Coppola o Scorsese sarebbero riusciti in una sola immagine a racchiudere i significati di un evento epocale.

Romanzo di una strage è uno dei rari film da vedere per poterne discutere. Da discutere in effetti c’è molto. Non il talento dell’autore di La meglio gioventù e de I cento passi, due fra i film italiani più belli degli ultimi decenni. Tanto meno la prova di un cast strepitoso che raccoglie le meglio gioventù di tre generazioni, da Omero Antonutti nella parte di Saragat, a Favino e Mastrandea (Pinelli e il commissario Calabresi), a Gifuni e Lo Cascio (Aldo Moro e il giudice Paolillo), fino ai giovani e sorprendenti Freda e Ventura, Giorgio Marchesi e Denis Fasolo.
Quello che si può discutere è la scrittura di Romanzo di una strage. Ci voleva coraggio per fare a distanza di quarant’anni il primo film su piazza Fontana ed è indubbio che Giordana e gli sceneggiatori Rulli e Petraglia ne abbiano avuto. Ma forse ne occorreva una dose supplementare per affrontare un vero viaggio negli orrori dell’eterna guerra civile italiana. Il film è piuttosto legato all’attualità della riflessione politica. Per dirla con Mario Calabresi, bravo collega e figlio del commissario, è un’opera «sulla linea del presidente Napolitano,

Cinema: ‘Romanzo di una strage’, recensione / 1



"Romanzo di una strage" il cuore oscuro d'Italia
Il film di Giordana su Piazza Fontana: "C'è ancora da indagare"
di Fulvia Caprara

In una delle prime scene di Romanzo di una strage, il film di Marco Tullio Giordana che ricostruisce la storia dell’attentato di Piazza Fontana, il 12 dicembre 1969, nel centro di Milano, a due passi dal Duomo, c’è un’immagine di vita casalinga che fa sorridere. Un giovane commissario di Polizia (Valerio Mastandrea) segue le indicazioni della moglie incinta (Laura Chiatti) per attaccare un quadro al muro, un po’ più su, un po’ più giù, fino al momento in cui squilla il telefono e lui ha appena invocato la necessità di prendere una decisione. E’ uno scampolo di normalità, prima che tutto cambi, irrimediabilmente, per sempre: «Ho la sensazione - dice Pierfrancesco Favino che interpreta l’anarchico Giuseppe Pinelli - che Piazza Fontana abbia provocato in Italia un tipo di shock analogo a quello causato in Usa dall’11 settembre. Fino ad allora gli italiani avevano fiducia nella politica, credevano in maniera pura, quasi ingenua, nella democrazia, dopo, tutto si è incrinato».

Scritto dal regista con Stefano Rulli e Sandro Petraglia, il film (in sala da venerdì) ricostruisce le tappe di questo brusco risveglio, dalle indagini sulla strage, all’inizio totalmente orientate verso la pista anarchica, alla morte di Pinelli, precipitato dalla finestra dell’ufficio di Calabresi, dopo tre giorni di interrogatorio e digiuno, la notte del 15 dicembre. Il commissario non era in quella stanza, ma i maldestri tentativi della Questura di tacitare la vicenda,

Google: nuova interfaccia e nuovo algoritmo di ricerca


da: la Repubblica 

Il motore di Google diventa semantico 
di Valerio Maccari

Una ristrutturazione radicale per restare padrona di un mercato in veloce evoluzione e dare vita alla nuova generazione della ricerca sul web. Google si trasforma: nei prossimi mesi il motore di ricerca più popolare del mondo si sottoporrà ad un restyling intensivo, sia dell’interfaccia sia del famoso algoritmo di ricerca che lo muove. Innanzitutto, punendo chi bara: con il nuovo algoritmo, infatti, scenderanno di posizione le pagine che presentano una sovraottimizzazione per il motore di ricerca che le fa apparire più rilevanti di quanto veramente non siano. Resterà inalterata, però, la funzione fondamentale e più nota di Google: la possibilità per gli utenti di cercare una parola chiave. Quello che cambierà profondamente, invece, saranno gli effetti di una ricerca: al posto dell’attuale lista di siti, Google offrirà una pagina più strutturata, anche graficamente, che incorporerà, oltre alla solita "classifica" di link rilevanti, anche i risultati ottenuti attraverso l’utilizzo della tecnologia di ricerca semantica.
Una tecnologia nota ma non ancora molto diffusa, che prende in considerazione, oltre all’oggetto parola, anche il suo significato. E permette, in questo modo, associazioni tra parole chiave e pagine che trattano argomenti "correlati", anche nel caso in cui queste ultime non contenessero il termine ricercato. Ad esempio, spiega il search executive della società Amit Singhal, digitando nella casella di ricerca "Google" il motore restituirà agli utenti, oltre ai risultati "normali", anche i fondatori Larry Page e Sergey Brin, la storia della società e informazioni

Governo Monti, art.18: ipotesi di modifica al testo imposto

da: la Repubblica

Licenziamenti economici, più potere ai giudici stabiliranno se mascherano discriminazioni
La proposta del governo, messa a punto da Elsa Fornero e Paola Severino, affiderà un ruolo decisivo alla corte. In alternativa, si potrebbe applicare il nuovo articolo 18 solo ai nuovi assunti. Possibile modifiche anche alla flessibilità in ingresso
di Paolo Griseri  

La parola d'ordine è quel "non permetteremo abusi" che Mario Monti ha pronunciato nei giorni scorsi di fronte alle proteste dei sindacati. Come evitare abusi in una materia sensibile come quella del licenziamento individuale per motivi economici? Da due giorni gli esperti del ministero di Giustizia stanno studiando insieme a quelli del Lavoro un'ipotesi secondo cui dovranno essere i giudici a stabilire, quando si trovano di fronte a un licenziamento per motivi economici, se esso nasconda motivi discriminatori.


Nel documento approvato dal governo, invece è il lavoratore che deve dimostrare la discriminazione mentre il giudice non è tenuto a esprimersi su questo punto. In alternativa a questa misura (che andrebbe incontro, almeno nelle intenzioni, alle richieste del Pd) il governo potrebbe applicare il nuovo articolo 18 solo ai nuovi contratti. 

Il governo potrebbe intervenire anche sulla cosiddetta flessibilità in entrata, cioè sulle modifiche introdotte per limitare il precariato dei giovani. Le novità della riforma hanno fatto storcere il naso nel centrodestra che

Camera dei deputati, colla liquida: ora è chiaro…


Ognuno dei 630 deputati della Camera:
·          riceve 2000 fogli e buste intestate;
·          ogni tre mesi sei gomme da cancellare: tre per le penne, tre per le matite;
·          ogni anno 1000 fogli per fotocopie

e…
un litro e mezzo di colla liquida.

Se mai non fosse stato chiaro, ora lo è.
Un litro e mezzo di colla per attaccarsi il culo alla poltrona.



Noi contribuenti gli paghiamo proprio tutto.
Come dice mamma: “Ma a che serve tutta quella gente lì che manteniamo?”


P.S: cosa? è populismo?
Beh…finiamola. Dopo Berlusconi è arrivato Monti. Abbiamo continuato a prenderlo in culo. Lasciateci un po’ di populismo. O preferite essere presi a calci in culo…

giovedì 29 marzo 2012

Amici 11, tutti al serale: difficoltà nel comporre le due squadre con le caratteristiche per i compiti del programma?


Leggo che sabato prossimo Charles Aznavour sarà ospite della prima puntata del serale di ‘Amici’.
Qualora interpretasse ‘Lei’, tale Ottavio potrà assistere direttamente alla performance di un grande artista che, diversamente da lui, è esteticamente più brutto ma che, diversamente da lui, è un grande interprete. E, da grande interprete, possiede il senso della misura. Nel cantare e nel porsi al pubblico.

Oltre a Stefano Marletta con ‘Rosso’ ho visto e sentito solo altre tre o quattro esibizioni di questa edizione di Amici.
Quando ho visto e sentito tale Ottavio cantare ‘Lei’, sono corsa ad ascoltare la versione originale. E’ un buon karaokista. Ma è lezioso. Fa il piacione. Non ne ha bisogno considerando, appunto, che è di bell’aspetto. Se questi suoi ammiccamenti gli servono per piacere alle bimbominkia – anche stagionate (la specie peggiore) – prosegua. Se invece vuole diventare un interprete o, peggio ancora: se crede di esserlo, si metta in testa che leziosità e piaconeria nell’emettere suoni e nel modo di porsi non fanno il grande artista. Fanno il karaokista, l’entertainer da crociera (di questi tempi, professione sconsigliabile) o il cugino che canta ai matrimoni dei cugini che gli stanno sull’organo sessuale maschile.

Tralascio di commentare le performance di tali: Carlo, Marco e….Gerardo.
Su quest’ultimo mi limito a dire che la vedo diversamente da Zerbi. Che bara, consciamente. Devo invece convenire con lui su Ottavio e Carlo
Però…

Chi ha accusato di falsità l’amico nonché “socio” prediletto di Maria De Filippi: Rudi Zerbi, ha forse sbagliato termine ma non la sostanza dell’accusa.
Rudi Zerbi è “bravo” nel trovare i limiti e difetti nei concorrenti delle altre squadre mentre tralascia di parlare dei limiti e dei difetti dei suoi e ancor più capace di spacciare per materiale prezioso del nichel. Con il nichel si fa la bigiotteria. Con il materiale prezioso si fanno i gioielli.

Ogni riferimento a tale Marco (per le mie orecchie e per la mia testa, penoso tanto quanto il piacione Ottavio) non è puramente casuale.

Ultima considerazione..
Come sempre, la signora Fascino ha modificato il regolamento. E’ noto che il “regolamento” di Amici è quanto di più “dinamico” esista in tv.
I prescelti per il serale dovevano essere nove. Se non ho letto male, sono invece stati ammessi quasi tutti.
Il che fa ipotizzare quanto segue:

Raiuno, ‘Troppo amore’: l’opinione di Antonio Dipollina


Riporto l’opinione di Dipollina. La mia sul film l’ho espressa ieri. Ovviamente, è raro trovare la perfezione in un prodotto. Personalmente, trovo di buon livello questo film anche per la cura di alcuni particolari.

Con questo, qualche difetto o meglio: qualche momento discutibile ce l’ha. Personalmente, avrei evitato la scena nella quale Poggio, invitato(si) a casa di lei, irritato dal giocattolo del nipote gli rivolge uno sguardo omicida dicendo: ‘bambino’ smettila.
Lo sguardo ci sta. Denota l’insofferenza eccessiva che dovrebbe far sospettare una mancanza di equilibrio psicologico. Ho trovato invece eccessivo l’esternazione anonima: “bambino”. Una persona squilibrata che si presenta a casa della “sua donna” per vedere se tutto è come lui vuole e si aspetta, e si trova in presenza di un “oggetto” fastidioso quale è un bambino con il suo giocattolo rumoroso, dovrebbe comunque riuscire a frenare alcune reazioni, gestuali e verbali.
E’, ovviamente, una considerazione non scientifica.

Ma si tratta di una piccolezza nel contesto di un film ben fatto, efficace.
Se avessi scritto io la sceneggiatura avrei comunque evitato la manifestazione verbale: ‘bambino smettila’. Gli  sceneggiatori e la Cavani l’hanno invece ritenuto funzionale alla rappresentazione del personaggio.
Si potrebbero citare altri momenti di una scena, ma, ripeto: si tratta di piccolezze che non modificano la considerazione complessiva che ho di questo film tv per Raiuno.


Canal Grande di Antonio Dipollina – la Repubblica


Spiazzante per aggressività di trama. Spiazzante per RaiUno, s’intende, che con il film-tv Troppo amore (a marchio Liliana Cavani) ha aperto martedì sera il ciclo Mai per amore e lanciato una sorta di campagna tv su violenza alle donne e stalking. Abrasivo e ansiogeno, il film aveva Antonia Liskova protagonista-vittima e Massimo Poggio nei panni del bel persecutore. Contesto didascalico, quando invece sarebbe bello andare molto per le spicce e discuterne solo in sede di legislazione e inasprimento delle pene: invece non è affatto così e la fatica di decenni per fissare nuove leggi e consapevolezze più forti non è affatto terminata. Sullo stalking fioriscono ancora spot tv e il dubbio è che ce ne sarà bisogno sempre: nella vicenda di Troppo amore c’è anche ampio margine sull’esposizione femminile al dramma (il bel professore rivela evidenti tratti di pazzia criminale al secondo incontro, ma non serve). La complessità del tema è terribile e tocca farci i conti. 

Rai: in utile dopo cinque anni, ma pubblicità in calo


da: ItaliaOggi

La Rai chiude il 2011 con il primo utile dopo cinque anni di esercizi archiviati in perdita, nonostante la raccolta pubblicitaria sia stata di 963 milioni di euro in calo rispetto agli 1,1 miliardi previsti dalla concessionaria Sipra. Il risultato netto è pari a 4,1 milioni di euro, beneficiando della manovra correttiva da 60 milioni avviata dal d.g. Lorenza Lei e conclusa nel secondo semestre dell’anno scorso.
Inizialmente, l’operazione era stata ideata per raggiungere il pareggio a fine anno. L’indebitamento finanziario ammonta invece a 268 milioni, dato che risente degli investimenti per il digitale e dei deficit accumulati negli esercizi precedenti. Il cda di Viale Mazzini ha approvato ieri il progetto di bilancio consolidato 2011, che dev’essere ora approvato dall’assemblea degli azionisti convocata per mercoledì prossimo. Con il voto dell’assemblea dei soci, però, scadrà il mandato dell’attuale cda e il presidente della commissione di Vigilanza Rai, Sergio Zavoli, sarà tenuto a convocare la commissione per l’elezione del nuovo organo. 

Mario Monti e Silvio Berlusconi, presidenti del consiglio a confronto: qualche “vezzo” in comune..


Oggettivamente, Monti e Berlusconi sono due presidenti del consiglio diversi. In tutti i sensi: forma e sostanza.
Monti è definito sobrio. Berlusconi – per usare un sobrio eufemismo – è un vecchio puttaniere sceso in campo per sostenere e difendere gli interessi della sua azienda.
In tre mesi, Monti ha presentato e fatto approvare più disposizioni di quanto non abbia fatto in tre anni Berlusconi.

Detto quanto sopra, mi pare che in Monti si stiano manifestando due vezzi tipicamente berlusconiani.
 
Primo vezzo: anche lui racconta qualche balla. 
A parte il tormentone che lo ossessiana: “ce lo chiedono i mercati”….”ce lo chiedono i mercati”…”ce lo chiedono i mercati”………l’altro concetto verbale che ripete spesso è: “ce lo chiede L’Europa”.
Come la riforma sul lavoro. Con tanto di abbattimento dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori. Sennonchè, abbiamo recentemente appreso che la Commissione Europea sta elaborando un progetto di riforma del lavoro che in tema di licenziamenti non esclude totalmente il reintegro come invece stabilisce il disegno di legge di Monti: http://taccuinodiunamarziana.blogspot.com/2012/03/quando-i-tecnici-raccontano-balle-o.html

Secondo vezzo: i sondaggi.
Non passava giorno senza che Silvio Berlusconi non si autocelebrasse citando i risultati  che lo davano gradito agli italiani.
Mario Monti governa da tre mesi e ha più volte citato sondaggi che dimostrerebbero l’apprezzamento per il

Imu: rivoluzione catastale



Rivoluzione al catasto: addio ai vani in futuro conteranno i metri quadri
Tra qualche giorno via libera alla delega che stabilirà nuovi imponibili. Verranno superate le attuali sperequazioni: oggi si pagano Imu diverse a parità di superficie. E i valori saranno allineati ai prezzi di mercato. Stangata sulle zone di pregio, sconti in provincia: ecco chi ci perde e chi ci guadagna
di Luisa Grion e Rosa Serrano

Se ne parla da almeno vent'anni, ma questa dovrebbe essere la volta buona: la legge delega sul fisco che il governo dovrebbe avviare la prossima settimana porterà con sé la rivoluzione del catasto e cambierà il rapporto che i cittadini hanno con il valore della propria abitazione.

Ora infatti le tasse sulla casa vengono calcolate in base ai vani catastali in cui è divisa l'abitazione: in termini di tasse la cameretta di dodici metri quadrati o il salone di trenta pari sono. Le nuove regole fisseranno invece il valore della casa in base ai suoi metri quadrati. Cambierà la scaletta delle categorie catastali. La classificazione attuale nasconde diverse "bugie": dai dati ufficiali risulta infatti che in Italia ci sono un milione di case senza bagno e che le abitazioni di lusso non vanno oltre le 36 mila unità (su un totale di quasi 33 milioni di immobili residenziali).

La riforma punta a far sì che il valore fiscale della casa corrisponda il più possibile a quello di mercato. Per raggiungere l'obiettivo si terrà conto di quanto vale l'abitazione sia in termini di reddito che di patrimonio. I

Telecom, truffa sim card: rivedere la legge


da: la Repubblica

L’affare Telecom e la legge da rifare
di Alessandro De Nicola

In altri tempi avrebbe fatto molto più scalpore: 99 persone, tra cui un amministratore delegato e altri 14 dipendenti di Telecom, indagati per truffa e la stessa società raggiunta da un avviso di garanzia quale beneficiaria di profitti illeciti. Una cosa inaudita; eppure salvo qualche asciutto articolo, la faccenda non sembra appassionare più di tanto, né Telecom stessa sembra troppo preoccupata. Vediamo i fatti. I PM di Milano stanno investigando su una serie di reati, tra cui associazione a delinquere e ricettazione, nell’ambito di una mega truffa relativa alle sim card. L’ipotesi accusatoria è che per ricevere dei bonus, tra il 2001 e il 2008 siano state attivate milioni di sim card del cosiddetto "canale etnico" falsificando documenti a persone inesistenti o del tutto ignare. Quel che è peggio è che gli agenti Telecom rivendevano a prezzi maggiorati le carte a persone che non avevano interesse ad apparire come intestatari o addirittura che le utilizzavano per compiere delitti di carattere informatico. Di tutto questo (presunto) losco giro, Telecom aveva comunque un vantaggio, sia perché aumentava la propria quota di mercato sia perché comunque veniva generato del traffico telefonico e ciò avrebbe portato nelle casse della società profitti per 231 milioni. Ecco perché la compagnia telefonica ha ricevuto un avviso di garanzia ai sensi della legge 231: non avrebbe avuto un adeguato modello di controllo né esercitato la necessaria sorveglianza sui propri dipendenti. Telecom ha reagito indignata: ha specificato che l’amministratore delegato è iscritto nel registro degli indagati

Le mosse di Monti su lavoro, giustizia e Rai


da: la Repubblica

Riforma del lavoro, giustizia e Rai
le mosse del premier da Tokyo
Il governo studia una exit strategy sull'articolo 18. "Voglio unire, non dividere", dice Monti. Severino dirà no alla proposta di abolire la concussione. Sul dg di Viale Mazzini scelte in "totale autonomia" 
di Massimo Giannini

“Io voglio unire, non dividere. Voglio trovare soluzioni che facciano avanzare il Paese, non creare problemi che spacchino partiti o parti sociali...". Mario Monti è appena rientrato dalla cena ufficiale con le autorità giapponesi, e al telefono con la squadra dei suoi collaboratori di Palazzo Chigi tiene il briefing di fine giornata. 

Una giornata che ruota intorno a due "fusi" diversi. A Tokyo mancano pochi minuti alla mezzanotte. A Roma sono quasi le cinque del pomeriggio. In Giappone il presidente del Consiglio incassa l'ennesimo successo in termini di credibilità e prestigio internazionale. In Italia registra invece un ulteriore inasprimento dei rapporti politici con la sua non-maggioranza, e in particolare con il Pd.

Per questo, sia pure a dodicimila chilometri di distanza, Monti ci tiene a raffreddare il clima. "Non ho mai inteso mancare di rispetto alle forze politiche - chiarisce con il suo 'team' - e sono io il primo a lavorare per cercare misure condivise. Anche sulla riforma del mercato del lavoro".

Dopo l'evocazione del motto andreottiano sul "meglio tirare a campare che tirare le cuoia", ora la coalizione tripartita fibrilla per il nuovo avvertimento montiano che rimbalza dall'Asia: "Il governo ha il consenso, i partiti no". Benzina sul fuoco delle polemiche, in un momento in cui le fiamme sono già altissime per lo scontro

Bologna: artigiano si dà fuoco davanti alla sede dell’Agenzia delle Entrate


da: La Stampa

Bologna, si dà fuoco davanti all'Agenzia delle Entrate: è grave

Un piccolo artigiano edile di 58 anni, con un’impresa in sofferenza per la crisi, si è dato fuoco questa mattina in via Paolo Nanni Costa, a Bologna, dove fino a pochi mesi fa c’era una sede dell’Agenzia delle Entrate, e dove si trovano ancora le Commissioni tributarie. Ha lasciato delle lettere dove spiegava di aver «sempre pagato le tasse». Ha ustioni sul 100% del corpo, è ricoverato, gravissimo, al Grandi Ustionati di Parma. Dietro al suo gesto, con ogni probabilità, le sue pendenze con il fisco. In passato la sua azienda aveva avuto problemi per alcuni tributi. La posizione, per una cifra giudicata «consistente», era stata in parte anche già definita in sede di contenzioso in commissione tributaria, che aveva dato torto all’artigiano.

E proprio davanti alla sede delle commissioni, a cui il cittadino ricorre in caso di conflitti col fisco, ha scelto di farla finita. Ma c’è un altro dettaglio: il nome dell’uomo era iscritto oggi nel ruolo del tribunale penale per una udienza per una vicenda di fatture false, forse nata dallo stesso accertamento fiscale. «Qualche anno fa so che aveva avuto dei contenziosi legati al fatto che non aveva pagato alcuni tributi - ha confermato Ermanno Merli, responsabile Cna di Ozzano Emilia, il comune dove vive l’artigiano, originario del Casertano - e per quello che sappiamo nell’ultimo periodo aveva più difficoltà del solito». Sono i problemi che segnano «tutto il settore da un anno e mezzo», e anche nella ricca Emilia «molte imprese sono fallite». Il dramma, nel parcheggio alla periferia ovest della città. Non si sa cosa sia successo prima delle 8.15, quando qualcuno ha visto la Fiat Punto in fiamme. «Ho sentito un gran boato, sembrava un incidente, un tubo saltato. Ma affacciandomi alla finestra ho visto l’auto

Mediaset, licenziamento del “cabarettista” Emilio Fede: a chi il merito, a zio Confi o a Piersilvio?

Avvertenza: non siamo su ‘Scherzi a parte’…
Emilio Fede era il miglior “cabarettista” di Mediaset, ergo: sarei contraria al suo trombamento. Però…la sua verve cabarettistica si era ormai esaurita. Ergo: giusto che gli abbiano dato un calcio in culo.


da: la Repubblica

"L'hanno fatto mentre Silvio era allo stadio
questo è un colpo di mano di Confalonieri"
Emilio Fede licenziato: non sarà più il direttore del Tg4. La reazione a caldo del giornalista: "Non ne so nulla, ora voglio sentire Berlusconi per avere una spiegazione. Io sono il Tg4: quella è la mia vita. Mi avevano offerto un settimanale, ma avevo chiesto che slittassimo di qualche mese"
di Antonello Caporale

Emilio Fede lascia la direzione del Tg4.
"Non ci credo. Vuoi farmi morire?".

Trema anche la mia voce. L'incredibile è accaduto.
"Non so niente".

E se fosse un tardivo scherzo carnevalesco?
"Posso dirti che la trattativa per la risoluzione consensuale non è andata bene e così...".

Così cosa?
"Niente".

Questo dimissionamento ha tutte le caratteristiche di un golpe ordito ai suoi danni.
"C'è la mano di Confalonieri, è lui che l'ha architettato e portato a segno".

L'ha fatta fuori Confalonieri insieme ai figli del presidente.
"Silvio è alla partita".

mercoledì 28 marzo 2012

Piersilvio Berlusconi si libera di Emilio Fede: dimissioni da direttore del Tg4, Toti al suo posto


da: Il Sole 24 ore


Emilio Fede lascia Mediaset, Toti alla guida del Tg4

Giovanni Toti, direttore responsabile di Studio Aperto, é il nuovo direttore del Tg4 al posto di Emilio Fede.  Mediaset spiega che Fede lascia l'azienda «dopo una trattativa per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro non approdata a buon fine» e che il cambiamento é realizzato «in una logica di rinnovamento editoriale della testata». Mediaset ringrazia Fede «per il lavoro svolto in tanti anni di collaborazione e per il contributo assicurato alla nascita dell'informazione del gruppo».

In questi giorni sui quotidiani era apparsa la notizia secondo la quale Emilio Fede avrebbe tentato di depositare 2,5 milioni di euro in contanti in un istituto di credito in Svizzera. «Evidentemente c'è qualcuno a cui continuo a dare fastidio», «anche» in Mediaset», era stata la reazione del giornalista. A Lugano aveva ammesso di esserci stato ma «a comprare medicine o a passeggiare». E aveva rivelato che l'accordo con l'azienda prevedeva la sua permanenza al Tg4 fino all'autunno, poi «mi candido alla Camera con il Pdl, perchè con Berlusconi sono già d'accordo». Aveva raccontato che avrebbe condotto un programma «in prima o in seconda serata su Retequattro», che avrebbe avuto «l'incarico fantasma ma comunque prestigioso di direttore editoriale dell'informazione» e «un contratto di consulenza di tre anni più due». Silvio Berlusconi, aveva riferito il giornalista, «è stato il primo a telefonarmi (dopo la pubblicazione della notizia del tentativo di depositare i soldi in Svizzera, ndr) e a esprimermi la sua solidarietà».

Ma qualcosa nella trattativa con Mediaset, come ha riferito la stessa azienda, non è andata a buon fine. La liaison con Mediaset (allora Fininvest) inizia 23 anni fa. Emilio Fede arriva alla direzione Tg4 nel 1993, ma è in Fininvest già dal 1989 come direttore di Video News e successivamente di Studio Aperto. Ma gran parte della sua carriera la realizza in Rai, prima come inviato in Africa, poi come conduttore del Tg1 del quale diventa direttore dal 1981 fino al 1983.
Il suo successore al Tg4, Giovanni Toti, dal febbraio 2010 direttore di Studio Aperto, ha alle spalle una carriera tutta interna a Mediaset. Prima uno stage nella redazione del telegiornale di Italia 1, poi redattore di cronaca, quindi caposervizio e caporedattore del politico. Passato per un breve periodo a Videonews, la testata dei programmi di approfondimento Mediaset, torna poi a Studio Aperto come condirettore.

Fiction, ‘Il giovane Montalbano’: Michele Riondino non fa rimpiangere Luca Zingaretti


Sono una fan di Montalbano-Zingaretti.
Così come per me Maigret è Gino Cervi, Nero Wolfe è Tino Buazzelli, Montalbano è Luca Zingaretti.

Questo fino a che….non ho visto ‘Il giovane Montalbano’ interpretato da Michele Riondino. Roba da non credere…

L’unica assonanza fisica di Michele Riondino con Luca Zingaretti sono le gambe storte. Ma, di puntata in puntata, questo attore mi ha convinto a tal punto da scardinare l’equivalenza Montalbano = Zingaretti.
Ovviamente, la sua capacità di essere Montalbano, senza scimmiottamenti, senza eccessi e…senza mancanze, è il prodotto della combinazione: sceneggiatura, regia e capacità interpretativa.

Michele Riondino mi ha più che convinto. A tal punto che, da fan di Montalbano/Zingaretti e da spettatrice che non gradisce che si raschi il fondo del barile con alcuni personaggi e storie, trovo che per ‘Il giovane Montalbano’ di Michele Riondino ci sia ancora spazio.
Scelta azzeccata del cast e perfetta Sarah Felberbaum (a parte il cognome!) nel ruolo di Livia.

Ecco alcuni momenti della puntata che preferisco: la quinta, trasmessa da Raiuno in prima serata  il 22 marzo 2012.

Il giovane Montalbano - 5.a puntata - 22.03.12 - le deduzioni errate di Montalbano/Riondino

Guardare lo sguardo “maligno” di Riondino e quello successivo quando si sente dire: “è ….”


Il giovane Montalbano - 5.a puntata - 22.03.12 - Montalbano/Riondino strapazza Fazio


Il giovane Montalbano - 5.a puntata - La gelosia di Montalbano/Riondino



Il giovane Montalbano - 5.a puntata - La gelosia di Montalbano/Riondino – il giorno dopo 

Edmondo Berselli: L’Economia giusta / 1


Sarà così fuori moda cominciare con Marx?
«La borghesia non può esistere se non a patto di rivoluzionare incessantemente gli strumenti di lavoro, vale a dire il modo di produzione, e quindi tutti i rapporti sociali. La conservazione del pre-esistente modo di produzione era, invece, la condizione basilare di esistenza di tutte le classi produttive dell’industria delle epoche anteriori. Questo continuo rivoluzionamento dei modi di produzione, questo costante scuotimento di tutto il sistema sociale, questa agitazione perpetua e questa permanente mancanza di sicurezza, distinguono l’epoca borghese da tutte quelle che l’hanno preceduta. Tutti i tradizionali e irrigiditi rapporti sociali, con il loro corollario di credenze e venerati pregiudizi, si dissolvono; e quelli che li sostituiscono diventano antiquati ancor prima di cristallizzarsi. Tutto ciò che era solido e stabile viene scosso, tutto ciò che era sacro viene profanato: costringendo, finalmente, gli uomini a considerare le loro condizioni di esistenza e i loro rapporti reciproci con occhi disincantati»(K.Marx e F. Engels, Manifesto del Partito comunista, 1848).

E sarà fuori luogo proseguire con l’esordio di Leone XIII nella Rerum Novarum?
1. L’ardente brama di novità che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare nell’ordine simile dell’economia sociale. E difatti i portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell’industria, le mutate relazioni tra padroni e operai, l’essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà; il sentimento delle proprie forze divenuto nelle classi lavoratrici più vivo, e l’unione tra loro più intima; questo insieme di cose, con l’aggiunta dei peggiorati costumi, hanno fatto scoppiare il conflitto. Il quale è di tale e tanta gravità che tiene sospesi gli animi in trepida aspettazione e affatica l’ingegno dei dotti, i congressi dei sapienti, le assemblee popolari, le deliberazioni dei legislatori, i consigli dei principi, tanto che oggi non vi è questione che maggiormente interessi il mondo. Pertanto, venerabili fratelli, ciò che altre volte facemmo a bene della Chiesa e a comune salvezza con le nostre lettere encicliche sui Poteri pubblici, la Libertà umana, la Costituzione cristiana degli Stati, ed altri simili argomenti che ci parvero opportuni ad abbattere errori funesti, la medesima cosa crediamo di dover fare adesso per gli stessi motivi sulla questione operaia. Trattammo già questa materia, come ce ne venne l’occasione più di una volta: ma la coscienza dell’apostolico nostro ministro ci muove a trattarla ora, di proposito e in pieno, al fine di mettere in rilievo i principi con cui, secondo giustizia ed equità, si deve risolvere la questione. Questione difficile e pericolosa. Difficile, perché ardua cosa è segnare i precisi confini nelle relazioni tra proprietari e proletari, tra capitale e lavoro; pericolosa perché uomini turbolenti ed astuti si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli.   
2. Comunque sia, è chiaro, ed in ciò si accordano tutti, come sia di estrema necessità venire in aiuto senza indugio e con opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell’uomo. Poiché, soppresse nel secolo passato le corporazioni di arte e mestieri, senza nulla sostituire in loro vece, nel tempo stesso che le istituzioni e le leggi venivano allontanandosi dallo spirito cristiano, avvenne che poco a poco gli operai rimanessero soli e indifesi in balia della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza. Accrebbe il male un’usura divoratrice che, sebbene condannata tante volte dalla Chiesa, continua lo stesso, sotto altro colore, a causa di ingordi speculatori. Si aggiunga il monopolio della produzione e del commercio, tanto che un piccolissimo numero di straricchi hanno imposto all’infinita moltitudine dei proletari un giogo poco meno che servile (1891).


post precedenti nella categoria Saggistica

Fiction Rai, ciclo ‘Mai per amore’: ‘Troppo amore’, ingredienti convicenti fanno un film credibile ed efficace


Non so da quanti anni non mi capitava di vedere nella stessa settimana due fiction di Raiuno.
Domani sera vedrò ‘Il giovane Montalbano’ (post a seguire) e ieri sera ho visto ‘Troppo amore’.

A dimostrazione che un buon film/fiction, si vede dall’inizio, il film trasmesso ieri sera - prima storia del ciclo ‘Mai per amore’ - mi ha subito attirato e convinto.

Funzionava tutto. Sceneggiatura, regia, cast. Ottima scelta degli interpreti. Antonia Liskova è perfetta. Perché ha qualcosa che non vedevo dai tempi di Lea Massari: il sussulto, il sospiro. Riesce a raccontare e rappresentare realisticamente con modi e gesti una giovane donna, esprimendo il piacere che dà la sorpresa per  l’incontro con un uomo così diverso dal suo mondo di amicizie e dal quale si lascia – inevitabilmente – attirare per poi scoprire, letteralmente: sulla sua pelle, che si tratta di un malato che la può distruggere fisicamente e moralmente.

Anche Massimo Poggio è perfetto. Il suo viso, la sua espressività, lo rende capace di interpretare sia il bravo ragazzo come lo psicopatico o…lo stronzo. Perché, sostanzialmente, questo era in una delle due uniche fiction di Mediaset che meritino di essere menzionate e ricordate: Maria Montessori.

Cast perfetto e supportato da una scrittura credibile. Temevo che potesse trattarsi di qualcosa di “pesante” e invece il racconto scorreva con realismo e ritmo.
Chi non ha visto ‘Troppo amore’ pensando che l’argomento trattato fosse angosciante ha sbagliato. Un film che merita di essere visto.  

Una menzione finale – non per importanza – a Liliana Cavani. Quando penso che

L’Amaca di Michele Serra


da: la Repubblica

La senilità di Emilio Fede ha spessore romanzesco, tra Piero Chiara (nei momenti alti) e Fantozzi (nei tonfi). I cronisti che tentano di ricucirne la trama maneggiano ingredienti fantastici: bische, debiti di gioco, traffico di señorite in combutta con amiconi del bel mondo, imputazioni di prossenetismo, stremati giuramenti di eterno amore alla moglie come nei film di Germi. Ora – strepitoso sussulto per un ottuagenario – compaiono una valigia piena di quattrini e una misteriosa “amante cubana”, che a noi piace immaginare molto matura, ma ancora in grado di accennare una rumba. La valigia sarebbe stata rifiutata da una banca svizzera, circostanza anch’essa stupefacente perché non si conoscono precedenti e le banche svizzere hanno fama di accettare valigie piene di qualunque roba, siano pure denti d’oro, scalpi umani o triglie andate a male. Ma il colpo di teatro che costringe il pubblico all’applauso lo aggiunge lui. Negando – ovviamente – l’esistenza di valigie, e anche della Svizzera, Fede denuncia “una manovra per farmi perdere la direzione del Tg4”. Il pubblico trattiene il fiato. Chi vuole – dopo soli trent’anni di direzione, praticamente appena insediato – levare il Tg4 a Fede? I comunisti? I creditori? Al Qaeda? Il marito dell’amante cubana? Vogliamo la prossima puntata. Presto! 

Io e Twitter e coloro che parlano, scrivono, pensano di…Twitter


L’argomento Twitter mi ha già rotto l’organo sessuale maschile. Che non possiedo….Ma sento comunque una “rottura” in una certa parte del mio corpo e non credo si tratti di cedimento strutturale dovuto alla non più verde età.

Senza ironia, con tutto il rispetto (?!): tutti ‘sti giornalisti, sociologi, scrittori, insomma: intellettuali….non sono né Pasolini né Flaiano. Autentici e unici osservatori della specie italiana. 
Mi mancano ogni giorno di più.
Sarà la primavera….
O un cedimento strutturale?


P.S l’articolo del blog ‘ilnichilista’ meritava lo spazio. Non foss’altro per il sottotitolo che vale anche per il mio blog: “un blog che non conta un cazzo”.
Tra persone serie ci si capisce…

Post precedenti e con ciò passo e chiudo l’argomento:

“Sociologia” italiana: le opinioni in merito a Twitter


da: http://ilnichilista.wordpress.com/  

Fenomenologia della vita quotidiana al tempo di Twitter 


Ci sono quelli che retwittano chi gli fa i complimenti. Quelli che si autotaggano. Quelli che leggono una notizia che hai impiegato tre ore a trovare e invece di retwittarti la twittano come l’avessero scovata loro, senza nemmeno un grazie. Quelli che ti fanno la cronistoria dei loro spostamenti in giro per il mondo, delle loro conferenze, delle loro presentazioni di libri, delle loro interviste, delle loro bellissime serate sociali dal vivo in Rete (Sono all’areoporto di Berlino, mi sto per imbarcare per Barcellona per una conferenza sul sesso degli angeli e i social media – ma sono con X che oggi è raggiante perché aspetta Y che sta per pubblicare un libro sul peso dell’aria e i social media. E stasera pigiama party sul grattacielo più alto della città, pane e nutella per tutti!). Ci sono quelli che ogni tanto scrivono cose interessanti, ma sono talmente infarcite di sé che sei costretto a defollowarli anche se non vorresti – perché tutto sommato le cose che scrivono, ogni tanto, sono interessanti. Ci sono quelli che ti dicono come devi usare Twitter da mane a sera ma quando osi provare a dire come la pensi su come si usa Twitter ti dicono ‘ma non mi starai mica cercando di dire come devo usare Twitter, vero?’ Ci sono gli esperti, per ogni occasione: quelli che danno notizia dell’ultimo trending topic prima degli altri, quelli che scovano la citazione della celebrità appena defunta prima degli altri, quelli che scrivono ‘goooool’ prima degli altri, quelli che danno le notizie prima degli altri – salvo poi scoprire che non erano notizie. Ci sono quelli che ti rispondono solo se hai un certo numero di follower e quelli che non ti rispondono affatto. Quelli che si svegliano all’alba twittando e si addormentano a notte fonda twittando. Quelli che non hanno mai scritto niente in vita loro ma pontificano sullo scrivere. Quelli che quando è il giorno della poesia twittano poesie, quando è il giorno della lentezza giocano

“Sociologia” italiana: le opinioni in merito a Twitter

da: la Repubblica

Siamo ciò che twittiamo (notizie comprese)
di Arianna Ciccone

Non ero d'accordo con Michele Serra (per niente) 1, e non sono d'accordo con Giuseppe Smorto 2 (ma non del tutto).

C'è troppo ego nel social? E cosa dovrebbe esserci? Nei social ci siamo noi, come persone, come cittadini, come professionisti. Noi, io con la mia personalità, i miei interessi. Quindi?

L'accusa di Giuseppe è condivisibile da un certo punto di vista. L'uso che viene fatto dei social network da parte di alcuni giornalisti e politici a volte è avvilente (a proposito è appena uscita una ricerca sull'uso di Twitter 3 da parte di alcuni tra i più noti giornalisti italiani e internazionali)

E comunque io differenzierei facebook da twitter, facebook è un social network nel senso letterale del termine, Twitter per me - ma soprattutto per il suo fondatore 4 - è un social media news.

L'accusa veemente e "nichilista" che ha fatto Fabio Chiusi 5 rispetto a un certo uso dei social mi è piaciuta, fotografa un modo elementare e banale di stare in rete e in particolare su twitter da parte di tanti 'professionisti'.