“Il popolo della Rete” non esiste: perché i social media non sono l’opinione pubblica
Un blog raccoglie le semplificazioni dei giornalisti sulle piattaforme
online, da Facebook a Twitter. Dove si rifugiano per misurare il polso dei
lettori, ignorando che le nicchie di riferimento sul web non sono
rappresentative della realtà
Il “popolo della rete” non esiste. Eppure da mesi è diventato il nuovo
tormentone del giornalismo online e offline, che interpreta i commenti su
Facebook e Twitter come sintesi dell’opinione pubblica e delle percezioni dei
lettori. Una semplificazione utile per creare le notizia a tutti i costi, ma
che non rappresentata la realtà. Ilpopolodellaretenonperdona,
lo spazio su tumblr
creato dai giornalisti Sergio
Ragone e Valentina Di Leo,
raccoglie titoli e articoli, dalla carta stampata e dal web, che lo dimostrano:
da “Il ricordo di Biagi passa anche attraverso Twitter” fino a “Valerio Scanu:
il nuovo taglio di capelli fa scatenare Twitter, che lo paragona a Lady Oscar”.
Secondo i giornali, ad esempio, nei mesi scorsi il “popolo della rete” si è schierato contro Michel Martone e la sua boutade sui 28enni sfigati, l’ex ministro Renato Brunetta e le sue affermazioni sui precari e anche Michele Serra su Repubblica ne ha scritto qualche giorno fa. “Il cosiddetto ‘popolo del web’ – ha commentato sulla sua Amaca – ha di sé un alto concetto. Se mi posso permettere: leggermente troppo alto. Quasi snob, mi verrebbe
“Molti colleghi – spiega Sergio Ragone - per la fretta di chiudere un pezzo o la pagina non fanno altro che fare un lavoro di copia e incolla dei commenti e per caricarli anche di senso hanno coniato, ad esempio, oltre al ‘popolo del web’, la ‘rivolta su twitter’ e il web che si ‘infiamma’. E’ un fenomeno di metagiornalismo che, a differenza di alcuni mesi fa, inizia a irritare lettori e iscritti ai social media”. Il problema, infatti, non consiste nel discutere delle opinioni scritte in rete, ma nella loro strumentalizzazione che porta a “generalizzare su polemiche politiche e vicende giudiziarie. Ma la rete, al contrario, è un luogo complesso e ricco di sfumature”. Quello che viene scritto sulle bacheche online, quindi, non può trasformarsi in un campione rappresentativo. “Non si tratta nè di un popolo, nè degli italiani – prosegue Ragone-. E’ soltanto una nicchia che è connessa e commenta”. E mentre aumenta la popolarità dei social network, cresce il dissenso davanti alle semplificazioni mediatiche, che spesso riducono i social media a sfogatoi pubblici. “Questo tipo di informazione contribuisce anche a demonizzare le piattaforme – conclude Ragone – di fatto utilizzate solo per dimostrare l’esistenza di una protesta, che sia contro un’opera pubblica come la Tav o contro i bamboccioni”. Raramente si scrive, ad esempio, di “movimenti e opinioni a sostegno di un partito. Come i gruppi online pro tav, ad esempio, scomparsi a fronte di quelli ‘contro’”.
Un uso improprio che non sembra arrestarsi. “Ogni giorno ci arrivano segnalazioni, soprattutto dai grandi giornali, della reiterazione degli stessi clichè. E per di più anche le agenzie corrono dietro al ‘popolo del web’ e alle sue presunte reazioni”, aggiunge Valentina Di Leo. “Si può generalizzare solo nel caso in cui, su un argomento specifico, intervengano online gli addetti ai lavori, ad esempio. In ogni caso, i giornalisti che fanno questo uso del web sono stati ‘paracadutati’ su twitter. Non conoscono il mezzo, guardano i trending topic e pretendono di sosituire il sentire comune con i tweets che leggono”. Insomma, i commenti su facebook e twitter non rappresentano le opinioni dominanti. Sono solo la voce di una nicchia che, peraltro, non si identifica nel ‘popolo del web’.
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