Monti è un’aziendalista.
Il suo metodo di conduzione del governo è questo. I sindacati, i partiti,
faranno bene a mutare geneticamente quanto prima, perché se lo Stato italiano non
è un consiglio di amministrazione non è neppure pensabile gestire la cosa pubblica senza
organizzazione, metodo. E non esiste organizzazione se non si definiscono:
temi, funzioni di pertinenza, scadenze.
Nelle aziende dove
si lavora a progetti le scadenze sono un must. E devono essere rispettate.
La riforma del
lavoro è un progetto. Come tale chiedeva che fossero definiti i temi, le parti
al tavolo, le scadenze.
Ovviamente, la
metologia è il contrario della rigidità ma anche della contrattazione infinita
che partorisce pastrocchi.
Questo è ciò che
devono digerire sindacati e partiti politici.
Per quanto mi
riguarda, sarà perché sono abituata a impostazioni aziendaliste – criticabili ma
anche inevitabili per raggiungere obiettivi - non ho da eccepire sul metodo
Monti.
Ovviamente, la
metodologia è cosa buona giusta. Ma ci sono i contenuti.
Senza metodo, i
contenuti si perdono. Senza contenuti, la metodologia serve a un organo
sessuale maschile.
E sui i contenuti,
Monti ha fallito. Anche lui come Berlusconi spaccia bufale. Persone diverse,
con motivi diversi arrivano al medesimo risultato: il nulla.
Il progetto
riforma del lavoro presentato da Monti è Fornero non è una riforma strutturale.
Non contiene – non dico norme, ma criteri – che possano costituire la base di
sviluppo dell’economia.
Si tratta
esclusivamente di un riordino. Di sistemare i danni prodotti dalla legge Biagi.
Le norme proposte per il precariato, per le partite IVA, ecc. non sono che
questo. E non creeranno un posto di lavoro. Perché se alle imprese costerà di
più assumere un giovane anziché, come ora, prenderlo a poco prezzo con lo
stage, ci rinuncerà.
Con ciò, queste norme
della “riforma Monti” restituiscono giustizia a certi precariato, ai giovani utilizzati
per svolgere lo stesso compito di lavoratori a tempo indeterminato e presi con partita
IVA per non pagare malattie e ferie.
Quanto all’articolo
18. C’è un detto che dice: lascia stare il can che dorme. Ma il metologico
Monti ha la “passione” per i mercati, in particolare per i principali ‘attori’ (parola
che Monti conosce perché è una delle storture lessicali dei laureati in
ingegneria gestionale): gli investitori esteri.
E’ poiché tutto
ciò che fa Monti – con il supporto del suo sponsor Napolitano – è per i
mercati: ha svegliato il can che dorme: l’articolo 18.
Che non disturbava gli imprenditori italiani. Con
l’eccezione di Marchionne. Che però è più canadese che italiano.
La modifica
apportata dal metodologico Monti è semplicemente ingiusta in un paese privo –
anche a livello di imprese – di coscienza collettiva, di controlli, di
sanzioni.
Posto che, le
imprese dovrebbero avere strumenti e capacità per contrastare le crisi nei vari
cicli produttivi, qualora per incapacità o contingenze esterne, si trovino a
dover ridimensionare, i licenziamenti – come è sempre avvenuto – arrivano. I
lavoratori licenziati devono però usufruire di adeguate coperture con
ammortizzatori sociali e indirizzati a corsi di formazione per essere riconvertiti.
Ma la formazione – reale, seria – non è certo qualcosa su cui imprese e Stato
investono. E’ un’altra presa per il culo.
Comunque sia,
oggettivamente, di fronte ad accertate e condivise crisi aziendali, si
licenzia.
E’ sempre
successo. Non si capisce quindi a che pro modificare l’art. 18.
Il pro è presto
detto. E’ tutto a beneficio della facilitazione al lincenziamento che prescinde
da criteri oggettivi. Voglio licenziare perché riduco i costi del personale e
nel contempo scarico il lavoro delle risorse di cui mi privo su quelli che
rimangono. Lo posso fare con il nuovo articolo 18 perché nessun giudice potrà
disporre il reintegro del lavoratore licenziato. Voglio licenziare perché al
posto di quel lavoratore che butto fuori prendo uno in nero o in “bianco” che
accetta le mie condizioni (maggiore produttività, mobbing). Lo posso fare perché
con il nuovo articolo 18 nessun giudice potrà disporre il reintegro del
lavoratore licenziato.
Il nuovo articolo
18 lede i diritti dei lavoratori. E’ una norma ingiusta che consentirà a certi “imprenditori”
una maggiore “flessibilità” nella gestione del personale. Non solo
licenziamenti, ma anche mobbing, conzidionamenti ai quali i lavoratori di
dovranno piegare perché il rischio è di vedersi buttar fuori. Fuori c’è altra
gente che ha bisogno di un posto di lavoro. Ci sono le condizioni teoriche per
ricattare, per creare altra disoccupazione, per aumentare il lavoro nero.
Queste condizioni,
da teoriche diventeranno pratiche perché il nuovo articolo 18 non prevede il
reintegro. Non solo: i lavoratori licenziati dovranno evitare di fare causa. La
perderebbero comunque. Non sarebbero in saranno in grado di dimostrare che il
licenziamento non è oggettivo ma soggettivo. E se anche ci riuscissero, il giudice non
potrà disporne il reintegro in azienda.
Il “protettore” di
Monti: Giorgio Napolitano, se li ricorda i primo quattro articoli della
Costitutuzione Italiana?
Se li rilegga. E
con lui, Monti e Fornero. E i servi di Berlusconi. Talmente coglioni da non
sapere che molti di coloro che hanno sempre votato per il centro destra sono
contrari alle modifiche all’art. 18.
Ovviamente, nel
caso non fossi stata chiara, in questo post ho scritto “lavoratori”. Non assenteisti.
Non sabotatori. Non ricattatori delle
aziende.
Art. 1
L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul
lavoro.
La sovranità
appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della
Costituzione.
Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la
sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono
eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di
religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e
sociale del Paese.
Art. 4
La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il
diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo
diritto.
Ogni cittadino ha
il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta,
un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale
della società.
Nessun commento:
Posta un commento