martedì 20 marzo 2012

Riforma della Giustizia: “se le richieste dell’Europa sono una scusa”



Se le richieste dell’Europa sono una scusa
di Vladimiro Zagrebelsky

Non sempre ce lo chiede l’Europa. Nel dibattito politico il rinvio a una supposta richiesta proveniente da una non specificata «Europa», serve spesso a imprimere a una proposta un carattere di indiscutibile cogenza e qualche volta ad allontanare da sé la responsabilità dell’iniziativa. Ma la formuletta del «ce lo chiede l’Europa» è equivoca se non altro perché non specifica da quale istituzione europea e con quale tipo di provvedimento, la richiesta venga avanzata.


I regolamenti dell’Unione europea si applicano direttamente, alle direttive bisogna dare attuazione, le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione e quelle della Corte europea dei diritti dell’uomo vanno eseguite. L’altra vasta varietà di prese di posizione di organismi europei richiederebbe sempre precisazioni, anche per verificarne il diverso grado e tipo di effetto vincolante.


Alcuni temi di attuale discussione e contrasto in Italia, per un verso o per altro, rientrano nel genere della (falsa) osservanza di obblighi europei.


Comincerei ricordando che la responsabilità civile diretta dei magistrati è stata introdotta dalla Camera nella legge comunitaria (che dovrebbe riguardare solo l’attuazione di direttive comunitarie) presentandola come la
necessaria conseguenza di un obbligo derivante da sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea. Ma sarebbe bastato - e basterebbe ancora - leggere quelle sentenze per vedere che si tratta di una tesi del tutto inventata. Le due sentenze cui ci si riferisce affermano soltanto la responsabilità dello Stato per la violazione del diritto dell’Unione, anche quando la violazione sia avvenuta per un atto giudiziario. Mentre dal Consiglio d’Europa viene l’indicazione che i magistrati rispondano civilmente solo in via indiretta (nei confronti dello Stato, responsabile diretto) e solo per dolo o colpa grave. Ecco dunque un caso di falsa prospettazione dell’esistenza di un obbligo europeo, che porta a conseguenze addirittura opposte all’indirizzo proveniente dagli organi europei.

Ma anche nel caso della abolizione del delitto di concussione, che sarebbe obbligata da una richiesta «europea» nell’ambito della lotta alla corruzione, c’è un grave fraintendimento. Nel corso del monitoraggio della messa in opera della convenzione contro la corruzione nelle transazioni internazionali, l’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che non è un’istituzione europea) ha indicato che la debolezza della repressione della corruzione deriva innanzitutto dal meccanismo della prescrizione dei reati, che troppo gravemente incide sulla capacità della magistratura di giudicare, e ha richiesto quindi all’Italia di provvedere a modificarne il regime. Analoga richiesta e messa in mora dell’Italia era già venuta dal comitato di valutazione degli Stati aderenti alla Convenzione penale contro la corruzione del Consiglio d’Europa. Questa quindi la prima, indiscutibile indicazione che è stata data all’Italia. Eco scarsa o nulla finora! Troppi interessi in campo.

Si propone invece di abolire la concussione (il delitto del pubblico ufficiale che abusando delle sue funzioni, costringe o induce altri a versar denaro o dare altra utilità) e si dice che si tratterebbe di un obbligo europeo. In realtà l’obbligo derivante dalla convenzione internazionale cui l’Italia ha aderito è quello di combattere efficacemente la corruzione (nella specie nei confronti di funzionari, ministri ecc. stranieri). La questione della concussione è stata posta perché è sembrato che troppo facilmente (tanto più se i fatti si sono svolti all’estero) gli imputati di corruzione possano difendersi dicendo di essere stati costretti o indotti a pagare per l’abuso che il pubblico ufficiale ha fatto delle sue funzioni. In tal caso è punibile chi ha ricevuto, ma non chi è stato costretto a pagare. E il documento Ocse conclude chiedendo all’Italia di eliminare questo tipo di difesa utilizzata dai corruttori che sostengono di essere stati costretti a pagare. Non quindi l’abolizione della concussione, ma il contrasto al suo richiamo strumentale nel processo. Di questo si tratta e non di altro. La proposta in discussione prevede invece che venga eliminata la concussione dal codice penale e che, come ora avviene, sia il corrotto che il corruttore vengano puniti per il delitto di corruzione, anche quando chi ha pagato sia stato a ciò indotto dal pubblico ufficiale. La condotta di minaccia o violenza del pubblico ufficiale che abusa delle sue funzioni rientrerebbe invece nel delitto di estorsione. Ma anche nel nuovo sistema chi ha pagato il pubblico funzionario cercherà di sostenere di aver pagato perché costretto (estorsione o concussione che sia).
Esattamente come ora si può fare con il delitto di concussione, perché la prova che consente di distinguere la costrizione dalla induzione è difficile e non può che essere valutata dal giudice caso per caso. Una riforma quindi ben poco utile rispetto alle preoccupazioni avanzate dall’Ocse. Una riforma inoltre che, come tutte quelle che maneggiano le previsioni del codice penale, rischia di avere conseguenze imprevedibili nella sua applicazione nei procedimenti penali già in corso.


Ma concludendo va detto che troppo sbrigativamente si usa l’argomento europeo, talora inventandolo, tal altra fraintendendolo. 

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