Se
le richieste dell’Europa sono una scusa
di Vladimiro
Zagrebelsky
Non sempre ce lo
chiede l’Europa. Nel dibattito politico il rinvio a una supposta richiesta
proveniente da una non specificata «Europa», serve spesso a imprimere a una
proposta un carattere di indiscutibile cogenza e qualche volta ad allontanare
da sé la responsabilità dell’iniziativa. Ma la formuletta del «ce lo chiede
l’Europa» è equivoca se non altro perché non specifica da quale istituzione
europea e con quale tipo di provvedimento, la richiesta venga avanzata.
I regolamenti dell’Unione europea si applicano direttamente, alle direttive bisogna
dare attuazione, le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione e quelle
della Corte europea dei diritti dell’uomo vanno eseguite. L’altra vasta varietà
di prese di posizione di organismi europei richiederebbe sempre precisazioni,
anche per verificarne il diverso grado e tipo di effetto vincolante.
Alcuni temi di attuale discussione e contrasto in Italia, per un verso o per
altro, rientrano nel genere della (falsa) osservanza di obblighi europei.
Comincerei ricordando che la responsabilità civile diretta dei magistrati è
stata introdotta dalla Camera nella legge comunitaria (che dovrebbe riguardare
solo l’attuazione di direttive comunitarie) presentandola come la
necessaria
conseguenza di un obbligo derivante da sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione
europea. Ma sarebbe bastato - e basterebbe ancora - leggere quelle sentenze per
vedere che si tratta di una tesi del tutto inventata. Le due sentenze cui ci si
riferisce affermano soltanto la responsabilità dello Stato per la violazione
del diritto dell’Unione, anche quando la violazione sia avvenuta per un atto
giudiziario. Mentre dal Consiglio d’Europa viene l’indicazione che i magistrati
rispondano civilmente solo in via indiretta (nei confronti dello Stato,
responsabile diretto) e solo per dolo o colpa grave. Ecco dunque un caso di
falsa prospettazione dell’esistenza di un obbligo europeo, che porta a
conseguenze addirittura opposte all’indirizzo proveniente dagli organi europei.
Ma anche nel caso della abolizione del delitto di concussione, che sarebbe
obbligata da una richiesta «europea» nell’ambito della lotta alla corruzione,
c’è un grave fraintendimento. Nel corso del monitoraggio della messa in opera
della convenzione contro la corruzione nelle transazioni internazionali, l’Ocse
(Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che non è
un’istituzione europea) ha indicato che la debolezza della repressione della
corruzione deriva innanzitutto dal meccanismo della prescrizione dei reati, che
troppo gravemente incide sulla capacità della magistratura di giudicare, e ha
richiesto quindi all’Italia di provvedere a modificarne il regime. Analoga
richiesta e messa in mora dell’Italia era già venuta dal comitato di
valutazione degli Stati aderenti alla Convenzione penale contro la corruzione
del Consiglio d’Europa. Questa quindi la prima, indiscutibile indicazione che è
stata data all’Italia. Eco scarsa o nulla finora! Troppi interessi in campo.
Si propone invece di abolire la concussione (il delitto del pubblico ufficiale
che abusando delle sue funzioni, costringe o induce altri a versar denaro o
dare altra utilità) e si dice che si tratterebbe di un obbligo europeo. In
realtà l’obbligo derivante dalla convenzione internazionale cui l’Italia ha
aderito è quello di combattere efficacemente la corruzione (nella specie nei
confronti di funzionari, ministri ecc. stranieri). La questione della
concussione è stata posta perché è sembrato che troppo facilmente (tanto più se
i fatti si sono svolti all’estero) gli imputati di corruzione possano difendersi
dicendo di essere stati costretti o indotti a pagare per l’abuso che il
pubblico ufficiale ha fatto delle sue funzioni. In tal caso è punibile chi ha
ricevuto, ma non chi è stato costretto a pagare. E il documento Ocse conclude
chiedendo all’Italia di eliminare questo tipo di difesa utilizzata dai
corruttori che sostengono di essere stati costretti a pagare. Non quindi
l’abolizione della concussione, ma il contrasto al suo richiamo strumentale nel
processo. Di questo si tratta e non di altro. La proposta in discussione
prevede invece che venga eliminata la concussione dal codice penale e che, come
ora avviene, sia il corrotto che il corruttore vengano puniti per il delitto di
corruzione, anche quando chi ha pagato sia stato a ciò indotto dal pubblico
ufficiale. La condotta di minaccia o violenza del pubblico ufficiale che abusa
delle sue funzioni rientrerebbe invece nel delitto di estorsione. Ma anche nel
nuovo sistema chi ha pagato il pubblico funzionario cercherà di sostenere di
aver pagato perché costretto (estorsione o concussione che sia).
Esattamente come ora si può fare con il delitto di concussione, perché la prova
che consente di distinguere la costrizione dalla induzione è difficile e non
può che essere valutata dal giudice caso per caso. Una riforma quindi ben poco
utile rispetto alle preoccupazioni avanzate dall’Ocse. Una riforma inoltre che,
come tutte quelle che maneggiano le previsioni del codice penale, rischia di
avere conseguenze imprevedibili nella sua applicazione nei procedimenti penali
già in corso.
Ma concludendo va detto che troppo sbrigativamente si usa l’argomento europeo,
talora inventandolo, tal altra fraintendendolo.
Nessun commento:
Posta un commento