da: la
Repubblica
L’affare Telecom e la legge da rifare
di Alessandro De Nicola
In altri tempi avrebbe fatto molto più
scalpore: 99 persone, tra cui un
amministratore delegato e altri 14 dipendenti di Telecom, indagati per truffa e
la stessa società raggiunta da un avviso di garanzia quale beneficiaria di
profitti illeciti. Una cosa inaudita; eppure salvo qualche asciutto articolo,
la faccenda non sembra appassionare più di tanto, né Telecom stessa sembra
troppo preoccupata. Vediamo i fatti. I PM di Milano stanno investigando su una
serie di reati, tra cui associazione a
delinquere e ricettazione, nell’ambito di una mega truffa relativa alle sim card. L’ipotesi accusatoria è che per ricevere dei bonus, tra il 2001 e il
2008 siano state attivate milioni di sim card del cosiddetto "canale
etnico" falsificando documenti a persone inesistenti o del tutto
ignare. Quel che è peggio è che gli agenti Telecom rivendevano a prezzi
maggiorati le carte a persone che non avevano interesse ad apparire come
intestatari o addirittura che le utilizzavano per compiere delitti di carattere
informatico. Di tutto questo (presunto) losco giro, Telecom aveva comunque un
vantaggio, sia perché aumentava la propria quota di mercato sia perché comunque
veniva generato del traffico telefonico e ciò avrebbe portato nelle casse della
società profitti per 231 milioni. Ecco perché la compagnia telefonica ha
ricevuto un avviso di garanzia ai sensi della legge 231: non avrebbe avuto un
adeguato modello di controllo né esercitato la necessaria sorveglianza sui
propri dipendenti. Telecom ha reagito
indignata: ha specificato che l’amministratore
delegato è iscritto nel registro degli indagati
solo in quanto rappresentante
di legale della società (vero, anche la procura ammette che si tratta di un
atto dovuto) e che essa stessa aveva presentato denunciaquerela, sospeso i
dipendenti sospetti, informato il mercato dello sviluppo delle proprie
inchieste interne nella relazione di bilancio. Insomma, la compagnia si sente
parte lesa e ciononostante mazziata, come capita ad alcuni sfortunati mariti.
La giustizia farà il suo corso e vedremo
come andrà a finire. Peraltro, la vicenda assume contorni che vanno al di là
del singolo pur eclatante caso. Infatti, periodicamente ci si interroga se la
legge 231 del 2001 non debba essere rivista per correggerne alcuni difetti. La
norma interessa tutte le imprese, in quanto ne stabilisce una responsabilità
quasi oggettiva nel caso in cui dipendenti o amministratori commettano un reato
che è nell'interesse dell'azienda. Tipico esempio, la corruzione di un pubblico
funzionario per aggiudicarsi un appalto. La società evita di essere sanzionata
se dimostra di aver adottato un modello organizzativo efficace e in grado di
prevenire i reati della stessa specie di quelli commessi e se ha vigilato in
modo sufficiente anche attraverso l'istituzione di un apposito organismo di
vigilanza. Le pene sono severe: si va da sanzioni pecuniarie pesantissime
all'interdizione dell'attività di impresa o alla nomina di un commissario.
La legge prevede, peraltro, sconti di pena per chi prima del dibattimento di primo grado restituisce il maltolto, si adopera per attenuare le conseguenze dei crimini perpetrati e aggiusta il modello organizzativo. L'impianto normativo non è insensato: poiché nei delitti dei colletti bianchi chi si avvantaggia è spesso la società, è ragionevole che essa sia ritenuta responsabile. Inoltre è anche efficiente che sia l'impresa stessa ad approntare gli strumenti di prevenzione in quanto è il soggetto meglio posizionato per farlo.
La legge prevede, peraltro, sconti di pena per chi prima del dibattimento di primo grado restituisce il maltolto, si adopera per attenuare le conseguenze dei crimini perpetrati e aggiusta il modello organizzativo. L'impianto normativo non è insensato: poiché nei delitti dei colletti bianchi chi si avvantaggia è spesso la società, è ragionevole che essa sia ritenuta responsabile. Inoltre è anche efficiente che sia l'impresa stessa ad approntare gli strumenti di prevenzione in quanto è il soggetto meglio posizionato per farlo.
Tuttavia ci sono un po’ di aspetti della legge che rischiano di distruggere ricchezza o addirittura di avere effetti disincentivanti della trasparenza. Il primo punto è quello che emergerebbe dalla vicenda Telecom. Perché l'impresa dovrebbe attivarsi a scovare e denunciare i suoi dipendenti sospetti di furfanteria se poi, ben che vada sarà sanzionata con meno severità, in ogni caso dovrà sopportare i costi, i tempi e la cattiva pubblicità di un processo penale e se va male beccarsi una pesante punizione? Se si concede una quasi impunità ai pentiti di mafia, sembrerebbe ragionevole garantire l'impunità a chi va di sua spontanea volontà dai PM e si impegna a restituire qualsiasi somma illecitamente percepita grazie all'azione truffaldina dei dipendenti infedeli. È una questione di efficienza economica: si riducono enormemente i costi dell'accertamento del reato e si incentivano i vertici aziendali all'onestà.
Altra questione che preoccupa molto le
imprese è la possibilità per il giudice di applicare una sanzione che incida
sull'operatività dell'azienda (interdittiva) anche in via cautelare, vale a
dire mentre le indagini sono ancora in corso. Nel corso dell'inchiesta sulla
"frode carosello" fu chiesto ad esempio il commissariamento (classico
provvedimento interdittivo) di Fastweb, poi faticosamente evitato. In quel
caso, avere un amministratore giudiziario alla testa di una società
necessariamente dinamica e costretta a muoversi velocemente sul mercato,
avrebbe voluto dire rovinarne il conto economico, distruggendo ricchezza e
quindi posti di lavoro nonché indebolire l'assetto concorrenziale del mercato.
In poche parole, le sanzioni devono avere una funzione dissuasiva che non può
essere aliena da un'analisi costibenefici. Gli interventi sulla 231 sono stati
finora episodici se non bizzarri: ad esempio, ribadire per legge che il
collegio sindacale può svolgere il ruolo di organismo di vigilanza quando ciò
non era affatto proibito, è inutile. Dannoso se si pensa che unanimemente si
riteneva che il collegio sindacale non era adatto a questo ruolo. Un anno di
tempo è più che sufficiente per un governo e un ministro della giustizia
tecnici per riformare una delle branche del diritto penale commerciale ormai
diventata importantissima per le imprese e che, se mal utilizzata, è
potenzialmente uno di quei tanti ostacoli che tengono lontani gli investitori
stranieri dal nostro paese.
adenicola@adamsmith.it
adenicola@adamsmith.it
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