E' birmana la vera signora di ferro
"Ma la sua arma è solo l'amore"
Nella stagione di Meryl Streep-Margaret Thatcher e di
Julianne Moore-Sarah Palin irrompe una terza leader femminile, ben più eroica:
il Nobel birmano Aung San Suu Kyi, interpretata da Michelle Yeoh in "The
Lady". Il regista Besson: "Una donna minuta da 25 anni tiene testa a
300 mila soldati". E sulle elezioni del primo aprile: "Diventerà
deputato, e tra quattro anni presidente"
di Claudia Morgoglione
Sul grande e
piccolo schermo, questo 2012 verrà ricordato come l'anno delle signore di
ferro: dalla Meryl
Streep da Oscar 1, con la sua interpretazione di Margaret Thatcher, alla Julianne
Moore-Sarah Palin di Game change 2, tvmovie di qualità prodotto dalla Hbo.
Ma nessuna di queste due leader - entrambe molto conservatrici, anche se di
spessore umano e politico diverso - può competere con la vera Lady della
stagione cinematografica: il premio Nobel Aung San Suu Kyi, interpretata da una
grande Michelle Yeoh, nella pellicola diretta da Luc Besson. Una personalità
straordinaria, la sua: la vera donna d'acciaio del panorama politico mondiale.
Solo che, a differenza degli altri due personaggi femminili al centro di film
recentissimi, lei - come sottolinea il regista - combatte con armi assai
diverse da quelle tradizionali: "La non violenza, inanzitutto. E'
straordinario pensare a un essere umano minuto, 50 chili di peso, che da 25
anni tiene testa a 300 mila soldati. Solo con la forza del suo amore. In un
mondo come il nostro, avaro di simboli importanti, la sua storia eccezionale
andava raccontata".
Ed ecco allora The
Lady, già presentato all'ultimo Festival di Roma, sbarcare - venerdì 23 - nelle
nostre sale,
distribuito da una nuova società (che ha tra i suoi soci Ginevra
Elkann) chiamata Good Films. Un'uscita che arriva quasi in contemporanea - e la
coincidenza non può essere casuale - con le elezioni politiche nella patria di
Suu Kyi, la Birmania, e in cui lei e il suo partito di opposizione sono
candidati: "Spero proprio che venga eletta in Parlamento - spiega ancora
Besson, presentando la sua ultima fatica alla Casa del cinema - queste saranno
comunque le consultazioni più 'aperte' della storia del Paese, anche se parlare
di totale libertà forse è troppo. Io sono ottimista: credo che stia per
cominciare un cammino che la porterà a diventare tra quattro anni presidente
della Birmania. Il regime militare tenta di controllarla da anni, di comprarla
col potere, la gloria, i soldi: niente. In questo senso, lei è già immortale.
Per questo il governo è ormai con le spalle al muro. E c'è un altro aspetto da
considerare: parliamo di uno Stato in cui convivono 120 etnie, con 120 lingue o
dialetti diversi. Solo il suo messaggio di pace può unificarlo".In questo senso il film, che pure è vietatissimo in terra birmana ("ma ha fatto vendite da record nella pirateria", dice sorridendo il regista), può essere un modo per tenere accesi i riflettori su quelle vicende. Anche se, sul piano cinematografico, il taglio scelto da Besson è poco astrattamente politico, e molto centrato sull'aspetto umano. La vicenda di Aung San Suu Kyi viene raccontata nel corso dei decenni: il trauma dell'uccisione del padre, l'instaurazione di un regime dispotico, ottuso e violentissimo, la sua presa di coscienza come donna e come leader. E, soprattutto, il contrasto profondo, il dilemma, la tragedia di dover scegliere tra lottare per il suo Paese e vivere col marito inglese (David Thewlis) e i due figli, nella tranquillità e nella democrazia britanniche. Non mancano, ovviamente, le scene a effetto, emozionanti: dalla consegna del Nobel "in contumacia" al momento della fine dei lunghissimi arresti domiciliari, nella sua casa di Rangoon.
Una storia, quella portata sullo schermo dal regista, che fa di tutto per essere fedele alla Storia con la "S" maiuscola. Basandosi su una sceneggiatura che ha richiesto un lavoro di ricerca per nulla facile: "Non ci sono tante fonti scritte su di lei - racconta ancora Besson - abbiamo usato duecento ore di materiale filmato che ci è stato fornito da vari giornalisti. E i rapporti di Anmesty e Human Rights Watch sulla drammatica situazione birmana. Naturalmente abbiamo contattato i figli, entrando in contatto col minore che ha anche visto il film: il marito come sapete è morto, ci siamo avvicinati al resto della famiglia con rispetto e discrezione. Questo film è per loro, non l'avrei fatto senza il loro consenso. In Birmania siamo riusciti a raccogliere poche informazioni, lì Suu Kyi non può nemmeno essere noninata - per riferirsi a lei dicono The Lady, come da titolo della pellicola. La verità, ovviamente, la conosce solo lei (che nella sua libertà ancora limitata non ha potuto vedere il film): diciamo che abbiamo cercato di non tradirla e di avvicinarci il più possibile allo svolgimento dei fatti".
Ma in ballo non c'è solo quel Paese lontano. Perché secondo l'autore francese, autore di tanti cult (da Nikita alla recente saga animata Arthur), la storia di Suu Kyi e del suo popolo contengono una lezione che ci riguarda tutti: "La democrazia è come l'amore: bisogna conquistarla. E se la si lascia un po' andare, le cose possono mettersi molto male". A qualsiasi latitudine.
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