da: http://ilnichilista.wordpress.com/
Fenomenologia della vita quotidiana al tempo di Twitter
Ci sono quelli che
retwittano chi gli fa i complimenti. Quelli che si autotaggano. Quelli che
leggono una notizia che hai impiegato tre ore a trovare e invece di retwittarti
la twittano come l’avessero scovata loro, senza nemmeno un grazie. Quelli che
ti fanno la cronistoria dei loro spostamenti in giro per il mondo, delle loro
conferenze, delle loro presentazioni di libri, delle loro interviste, delle
loro bellissime serate sociali dal vivo e in Rete (Sono
all’areoporto di Berlino, mi sto per imbarcare per Barcellona per una
conferenza sul sesso degli angeli e i social media – ma sono con X che oggi è
raggiante perché aspetta Y che sta per pubblicare un libro sul peso dell’aria e
i social media. E stasera pigiama party sul grattacielo più alto della città,
pane e nutella per tutti!). Ci sono quelli che ogni tanto scrivono
cose interessanti, ma sono talmente infarcite di sé che sei costretto a
defollowarli anche se non vorresti – perché tutto sommato le cose che scrivono,
ogni tanto, sono interessanti. Ci sono quelli che ti dicono come devi usare
Twitter da mane a sera ma quando osi provare a dire come la pensi su come si
usa Twitter ti dicono ‘ma non mi starai mica cercando di dire come devo usare
Twitter, vero?’ Ci sono gli esperti, per ogni occasione: quelli che danno
notizia dell’ultimo trending topic prima degli altri, quelli che scovano la
citazione della celebrità appena defunta prima degli altri, quelli che scrivono
‘goooool’ prima degli altri, quelli che danno le notizie prima degli altri –
salvo poi scoprire che non erano notizie. Ci sono quelli che ti rispondono solo
se hai un certo numero di follower e quelli che non ti rispondono affatto.
Quelli che si svegliano all’alba twittando e si addormentano a notte fonda
twittando. Quelli che non hanno mai scritto niente in vita loro ma pontificano
sullo scrivere. Quelli che quando è il giorno della poesia twittano poesie,
quando è il giorno della lentezza giocano
amabilmente – sagaci – sul significato della parola lentezza e quando c’è una rivolta in qualche paese dell’Africa sub-sahariana diventano improvvisamente esperti di Africa sub-sahariana. Ci sono quelli che stanno su Twitter ma rimpiangono la carta, e non smettono mai di dirti quanto era bello quando c’era solo la carta. Ci sono quelli che lanciano hashtag per ogni occasione e altri che li riprendono solo se sei quello che lancia hashtag a ogni occasione. Quelli che usano solo locuzioni orrende come engagement e brand awareness anche se non ce n’è bisogno. Quelli che livetwittano ogni programma televisivo ma non guardano la televisione. Quelli che non leggono il Giornale e Libero ma si indignano in continuazione per il Giornale e Libero. Quelli che ce l’hanno con lo Scilipoti di turno – e ce n’è sempre uno, ogni giorno.
amabilmente – sagaci – sul significato della parola lentezza e quando c’è una rivolta in qualche paese dell’Africa sub-sahariana diventano improvvisamente esperti di Africa sub-sahariana. Ci sono quelli che stanno su Twitter ma rimpiangono la carta, e non smettono mai di dirti quanto era bello quando c’era solo la carta. Ci sono quelli che lanciano hashtag per ogni occasione e altri che li riprendono solo se sei quello che lancia hashtag a ogni occasione. Quelli che usano solo locuzioni orrende come engagement e brand awareness anche se non ce n’è bisogno. Quelli che livetwittano ogni programma televisivo ma non guardano la televisione. Quelli che non leggono il Giornale e Libero ma si indignano in continuazione per il Giornale e Libero. Quelli che ce l’hanno con lo Scilipoti di turno – e ce n’è sempre uno, ogni giorno.
Ci sono quelli che
hanno la pretesa di comporre una fenomenologia della propria vita quotidiana al
tempo di Twitter e di farlo in un post scritto male, di getto e dopo 14 ore
nette filate di fronte al monitor (anche) a guardare il flusso incessante di
tweet che dovrebbero analizzare. Che magari si ritengono osservatori
imparziali, e invece hanno le stesse manie – contraddittorie, incostanti – di
chi osservano. E che tuttavia continuano a pensare che dopo tante analisi sul
significato profondo dei social media, sul loro impatto sul giornalismo la
politica la società le rivoluzioni, uno spaccato di vita quotidiana, con tutte
le sue miserie e ossessioni, sia salutare. Non per correggere o insegnare, ma
per descrivere e, chissà, curare. Una terapia, quasi. Per chi e per cosa, non è
dato sapere.
(Grazie
a Giuseppe Smorto per lo spunto)
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