giovedì 29 marzo 2012

Le mosse di Monti su lavoro, giustizia e Rai


da: la Repubblica

Riforma del lavoro, giustizia e Rai
le mosse del premier da Tokyo
Il governo studia una exit strategy sull'articolo 18. "Voglio unire, non dividere", dice Monti. Severino dirà no alla proposta di abolire la concussione. Sul dg di Viale Mazzini scelte in "totale autonomia" 
di Massimo Giannini

“Io voglio unire, non dividere. Voglio trovare soluzioni che facciano avanzare il Paese, non creare problemi che spacchino partiti o parti sociali...". Mario Monti è appena rientrato dalla cena ufficiale con le autorità giapponesi, e al telefono con la squadra dei suoi collaboratori di Palazzo Chigi tiene il briefing di fine giornata. 

Una giornata che ruota intorno a due "fusi" diversi. A Tokyo mancano pochi minuti alla mezzanotte. A Roma sono quasi le cinque del pomeriggio. In Giappone il presidente del Consiglio incassa l'ennesimo successo in termini di credibilità e prestigio internazionale. In Italia registra invece un ulteriore inasprimento dei rapporti politici con la sua non-maggioranza, e in particolare con il Pd.

Per questo, sia pure a dodicimila chilometri di distanza, Monti ci tiene a raffreddare il clima. "Non ho mai inteso mancare di rispetto alle forze politiche - chiarisce con il suo 'team' - e sono io il primo a lavorare per cercare misure condivise. Anche sulla riforma del mercato del lavoro".

Dopo l'evocazione del motto andreottiano sul "meglio tirare a campare che tirare le cuoia", ora la coalizione tripartita fibrilla per il nuovo avvertimento montiano che rimbalza dall'Asia: "Il governo ha il consenso, i partiti no". Benzina sul fuoco delle polemiche, in un momento in cui le fiamme sono già altissime per lo scontro
sull'articolo 18. Il premier osserva: frasi estrapolate da ragionamenti più ampi, che non volevano "irridere nessuno".

Monti sa bene che non può fare a meno del sostegno dei partiti. E come ha provato a spiegare a più riprese a tutti i suoi interlocutori, prima e durante questo viaggio asiatico, non vuole in alcun modo che nel Palazzo e nel Paese si generi la sensazione di una "asimmetria politica": con "un Pdl che supporta il governo, e un Pd che lo sopporta". Sarebbe inaccettabile. Ma è quello che rischia di succedere, se non si riporta il conflitto sui licenziamenti su un terreno di ragionevolezza.

Non è facile. Per ragioni politiche: la svolta decisionista e post-concertativa voluta dal premier sull'articolo 18 ha creato una frattura oggettiva con il centrosinistra e con il sindacato. E poi anche per ragioni personali: si racconta che Monti sia rimasto "profondamente dispiaciuto" per le parole di Bersani, che mercoledì della scorsa settimana, dopo la prima rottura con le parti sociali, alla direzione del Pd ha detto "il presidente del Consiglio non ha mantenuto le promesse".

Per un politico di professione sarebbe normale. Per il Professore non lo è affatto. "Si può non condividere una mia proposta, ma non si può dire che non mantengo la parola...", si è sfogato allora con i suoi collaboratori. Secondo la sua ricostruzione dei fatti, al vertice di maggioranza di venerdì 16 marzo, immortalato dalla famosa foto di gruppo trasmessa da Casini su Twitter, il premier aveva spiegato per filo e per segno la proposta sull'articolo 18, compresa la riscrittura della norma sui licenziamenti per motivi economici senza più la possibilità del reintegro.

Comunque siano andate le cose, ora i "pontieri" di Palazzo Chigi e quelli di Largo del Nazareno (Dario Franceschini in testa) sono al lavoro per ricucire lo strappo. Monti ci tiene a lanciare segnali distensivi, e lo ripete al telefono da Tokyo ai suoi luogotenenti: "Sono convinto che il varo di questa riforma sia importante, nell'interesse dei lavoratori, dei giovani, dei precari, dei disoccupati. Confido nel senso di responsabilità di tutti". Ma perché il varo di questa riforma unisca e non divida coalizione e partiti, come il premier auspica, è necessario sciogliere il nodo della tutela prevista nei "licenziamenti oggettivi o economici".

Il punto è delicatissimo. Monti al telefono mette a punto la "road map" delle prossime ore. Lo staff della Presidenza del Consiglio si riunirà oggi, insieme al ministro del Welfare Fornero e con gli uffici giuridici del Quirinale, per ragionare sulla stesura del testo del ddl. Lunedì sera, al rientro dall'Estremo Oriente, il premier troverà quel testo sulla sua scrivania, e deciderà il da farsi sul capitolo "Disciplina sulla flessibilità in uscita e tutele del lavoratore".

Si devono vagliare rilevanti profili di costituzionalità, sui quali si stanno applicando i giuristi del Colle. Si possono esaminare graduazioni diverse nell'applicazione delle tutele tra vecchi e nuovi assunti, sulle quali sta facendo approfondimenti il ministro Fornero. Si possono studiare correttivi alla fase giurisdizionale, che nell'accertamento della natura dei licenziamenti impugnati potrebbero assegnare un ruolo diverso al giudice, sui quali si sta esercitando il Guardasigilli Severino.

Una cosa è certa, e Monti lo ribadisce ai suoi anche da Oltre-Oceano: "Qui non c'è qualcuno che deve fare passi indietro, semmai tutti insieme dobbiamo fare un passo avanti". Il premier vuole evitare una "conta" in Parlamento sull'articolo 18, che spaccherebbe la maggioranza e i partiti che la compongono. Sarà il governo, pare di capire, a prendere un'iniziativa autonoma. Prima o all'avvio dell'iter parlamentare. Proprio per far sì che sulla riforma si arrivi a un via libera condiviso, almeno a livello politico.

I rapporti di forza dentro la maggioranza devono essere salvaguardati. Una logica di vincitori e vinti sarebbe esiziale per la vita stessa dell'esecutivo. A dispetto delle apparenze, che riflettono il grande gelo tra Monti e Bersani, il capo del governo percepisce il beneficio di un Pd convinto e coeso alle sue spalle, e intuisce il maleficio di un Pdl che aspetta solo di potergli rinfacciare un "cedimento alla sinistra" sui licenziamenti, per imporgli un cedimento uguale e contrario sulle questioni che stanno più a cuore alla destra. Due su tutte: la giustizia e la Rai. Sono dossier velenosi, di cui Monti conosce la pericolosità. Anche per questo continua a monitorarli anche dall'altra parte del mondo.

Sulla giustizia, dopo l'incidente della telefonata di Cicchitto e alla vigilia del vertice di domani tra la Severino e i tecnici del tripartito, il "mandato" è chiaro: non si accettano mercanteggiamenti, e se qualcuno pensa di bussare alla porta del governo per chiedergli di far suo l'emendamento Pd che abolisce la concussione e cancella i processi in corso (a partire da quello di Silvio Berlusconi sul caso Ruby per arrivare a quello di Filippo Penati sul caso Falck) ha sbagliato indirizzo.

Sulla Rai i tempi sono più lunghi e se ne riparlerà dopo il primo turno delle amministrative, ma anche qui la linea è tracciata: il premier vaglierà i nomi del nuovo cda e sceglierà il nuovo direttore generale (resistendo alle pressioni di chi in queste ore punta a una riconferma di Lorenza Lei) in totale autonomia dalle segreterie di partito.

Queste sono le "pratiche" che lo aspettano lunedì prossimo, al suo ritorno a Roma. Pratiche roventi che per un attimo, sabato scorso, avevano quasi convinto il premier a rinunciare al suo viaggio in Asia. Poi ha prevalso un altro ragionamento, con il quale Monti conclude il suo briefing telefonico: "Dopo Wall Street e la City, il Nikkei e soprattutto la Cina sono troppo importanti per riaffermare la credibilità dell'Italia e ristabilire la fiducia dei mercati".

L'operazione sembra riuscita. L'America di Obama, che ha decretato a suo tempo la "liquidazione" per via finanziaria del governo Berlusconi (al quale non ha mai perdonato i rapporti con Putin e Gheddafi), ha già ricominciato a "comprare Italia", e ora pare ci sia addirittura una lista di multinazionali già pronte a investire da noi, in attesa di capire l'esito della partita sui licenziamenti.

In Europa il premier ha giocato di sponda con le istituzioni comunitarie e con la Bce. Ha potuto contare su Mario Draghi, il cui ragionamento è stato chiarissimo: se aderite al "fiscal compact", per la Banca centrale è più facile lanciare il maxi-piano di rifinanziamento per le banche. E se passa questo, le banche italiane faranno provvista all'Eurotower all'1%, e con quei fondi potranno ricominciare a comprare Btp, accelerando la riduzione dello spread. È quello che è accaduto e sta accadendo. Ha potuto contare sul sostegno di Angela Merkel, presso la quale è interceduto personalmente Papa Ratzinger.

Per completare l'operazione "Salva-Italia" all'estero mancava solo l'Asia. "E l'Asia sta rispondendo con entusiasmo", è l'ultimo messaggio che arriva da Tokyo, quando lì è quasi l'una di notte e in Italia sono le sei del pomeriggio. Anche grazie al lavoro di un "ambasciatore" che finora è rimasto dietro le quinte, ma che ha aiutato e sta aiutando Monti passo passo, nella prossima due giorni cinese: Romano Prodi, che a Pechino è più apprezzato e coccolato che a Roma. Che sia il destino dei Professori prestati alla politica? Tocca a Monti, da martedì prossimo, dimostrare il contrario.

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