sabato 17 marzo 2012

L’Amaca di Michele Serra


la Repubblica – 16 marzo 2012

L’altra sera guardavo un programma tivù in compagnia di un amico molto più giovane di me, e molto interconnesso. Quasi ogni minuto, dunque quasi in diretta, lui leggeva (e mi leggeva) la gragnola di commenti su Twitter. Più ancora della violenza verbale, e della sommarietà dei giudizi (si sa, lo spazio è quello che è), mi ha colpito la loro assoluta drasticità: il conduttore era per alcuni un genio, per altri un coglione totale, e tra i due “insiemi”, quello pro e quello contro, non esisteva un territorio intermedio. Era come se il mezzo (che mai come in questo caso è davvero il messaggio) generasse un linguaggio totalmente binario, o X o Y, o tesi o antitesi. Nessuna sintesi possibile, nessuna sfumatura, zero possibilità che dal cozzo dei “mi piace” e “non mi piace” scaturisse una variante dialettica, qualcosa che sposta il discorso in avanti, schiodandolo dal puerile scontro tra slogan eccitati e frasette monche.
Poiché non è data cultura senza dialettica, né ragione senza fatica di capire, la speranza è che quel medium sia, specie per i ragazzi, solo un passatempo ludico, come era per le generazioni precedenti il telefono senza fili. E che sia altrove, lontano da quel cicaleccio impotente, che si impara a leggere e a scrivere. Dovessi twittare il concetto, direi: Twitter mi a schifo. Fortuna che non twitto…

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