da: la
Repubblica
Perchè dico che sono pochi i 140 caratteri di Twitter
di Michele Serra
L´altro
giorno ho scritto un corsivo contro il sensazionalismo urlato della stampa
italiana. Pochi commenti, quasi tutti favorevoli. Il giorno successivo (ieri)
ho scritto un corsivo contro il cicaleccio sincopato di Twitter. Moltissimi
commenti, quasi tutti ostili. Prima di replicare alle critiche, è interessante
rilevare questo: attaccare il linguaggio dei giornali equivale, oggi, a
sfondare una porta aperta.
Non
provoca reazioni corporative, nonostante quella dei giornalisti sia certamente
una corporazione, forse perfino una casta. Al contrario, esprimere dubbi su
Twitter suscita una reazione veemente e compatta dei suoi utenti. Soprattutto
su Twitter, ovviamente.
Come se
in discussione non fosse un medium, ma una comunità di persone. La sua identità
collettiva. Circostanza che solleva dubbi su uno dei principali argomenti dei
difensori di Twitter: è solo un medium, non conta in sé, conta l´uso che se ne
fa. Anche la carta stampata è solo un medium: infatti parlarne male è esercizio
corrente, e condiviso perfino da chi di quel medium fa un uso quotidiano e
addirittura professionale. Il cosiddetto “popolo del web” ha invece di sé un
alto concetto. Se mi posso permettere: leggermente troppo alto. Quasi snob, mi
verrebbe da dire per vendicarmi dell´accusa che spesso viene rivolta a chi
critica le abitudini di massa…
In realtà
entrambe le mie “Amache” – quella contro i giornali, quella contro Twitter –
trattavano lo stesso tema: l´uso frettoloso e impulsivo della parola. La
prevalenza dell´emotività sul ragionamento. Nel caso di Twitter sostenevo che
fosse la formula di quel medium (brevità più velocità) a scoraggiare un
pensiero più strutturato e più adulto. Ovviamente, solo un luddista o uno
stupido può negare l´enorme funzione che Twitter, e più in generale internet,
esercita sulla vita sociale del pianeta Terra: l´esempio classico è il ruolo
che queste forme di comunicazione veloce, pervasiva e soprattutto difficilmente
censurabile hanno avuto nei movimenti di democrazia nei paesi arabi e in Iran.
Il mio rilievo, che provo a riformulare, è però tutt´altro. E´ che quei medium
hanno sì una formidabile funzione di servizio, di messa a fuoco di argomenti
omessi o rimossi sui media “ufficiali”. Ma contengono anche una tentazione
esiziale, che è quella del giudizio sommario, della fesseria eletta a sentenza
apodittica, del pulpito facile da occupare con zero fatica e spesso zero
autorevolezza.
La parola – e questa è ovviamente solo una mia opinione – non deve rispondere solo all´ossessione di comunicare (la comunicazione sta diventando il feticcio della nostra epoca). La parola dovrebbe servire ad aggiungere qualcosa, a migliorare il già detto. Alla comunicazione bastano gli slogan. Alla cultura serve il ragionamento. Non per caso la conclusione del mio corsivo era questa: “se usassi Twitter, direi che Twitter mi fa schifo. Fortunatamente non twitto”. Traduzione per i parecchi che non hanno capito, e difatti hanno scritto “a Serra fa schifo Twitter”: ci sono cose, per esempio il mio giudizio su Twitter, che non possono essere dette su Twitter. Perché ci sono cose che sono complesse e addirittura complicate, e dunque irriducibili alle pochissime parole che Twitter concede.
I miei
critici (tra i tanti ringrazio, per l´ intelligenza dei rilievi che mi muovono,
Luca Sofri e i blogger Fabio Chiusi e Davide Bennato) negano che il medium sia
il messaggio, fanno notare che la tecnologia non determina alcunché, ma
suggerisce occasioni e apre possibilità e mi accusano di passatismo. Accetto le
critiche: è vero che gli anni passano per tutti, anche per me, ed è fortemente
possibile che io esasperi i difetti di Twitter (superficialità, ansia di
visibilità) e ne sottovaluti i vantaggi (sintesi, velocità, accessibilità,
simultaneità del dibattito). Le accetto, le critiche. Ma in cambio mi
piacerebbe molto che questa breve lite mediatica servisse anche a chi twitta.
Servisse a capire che il rispetto delle parole, anche sui nuovi media, è almeno
altrettanto importante dell´urgenza-obbligo-smania di “comunicare”. Per
comunicare basta scrivere “io esisto”. Per scrivere, spesso è necessario
dimenticarlo.
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