giovedì 15 marzo 2012

La questione fiscale


da: la Repubblica

La stangata del 2012 e la questione fiscale
di Roberto Petrini

La stangata di marzo con l'aumento delle addizionali Irpef regionali, il venerdì nero dell'Iva che segnala la difficoltà delle imprese a svolgere i regolari versamenti per la stretta creditizia e la crisi, il rincaro dell'Imu-Ici che arriverà a giugno, l'allarme della Corte dei Conti che vede correre la pressione fiscale pericolosamente verso il 45 per cento, una delle più alte nel mondo. Sebbene, come diceva John Maynard Keynes, le tasse sono il tributo che dobbiamo pagare al consorzio civile, è innegabile che si ponga nel paese una questione fiscale. Se non altro perché, data la forte evasione, si rischia che a pagare le tasse siano solo gli onesti, i lavoratori dipendenti e i pensionati.

Dopo l'aumento dell'Iva di Tremonti nell'estate scorsa e quello che scatterà ad ottobre, deciso dal governo Monti, la tassazione sui consumi (comprese le accise che incidono, ad esempio, sulla benzina) arriverà ai livelli massimi europei. E se è vero che da noi i consumi sono meno tassati dei redditi rispetto ai partner del Vecchio Continente, è vero anche che l'Iva deprime gli acquisti, favorisce l'inflazione e colpisce i redditi bassi più di quelli alti. Questa strada sembra dunque chiusa dopo essere stata ampiamente utilizzata.

In un quadro di alto debito, finanze pubbliche a rischio, recessione (quest'anno secondo Bruxelles -1,3 per cento) e "Fiscal compact" ispirato al rigore, percorsi praticabili per ridurre la pressione fiscale se ne vedono pochi.

Ciò non toglie che non ci si possa dare un obiettivo, con termini ragionevoli, dove guardare. Dalla Corte dei Conti è giunta una utile indicazione su eventuali tagli: il prelievo sul mondo della produzione (lavoro e impresa) in Italia è di 50 miliardi superiore alla media europea. Una palla di piombo al piede del sistema Italia, sia dal punto della "competitività" sia da quello del "benessere", per riprendere liberamente il tema di un progetto di ricerca lanciato oggi dal Cer di Giorgio Ruffolo alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Se qualcuno dovrà pagare meno tasse, altri dovranno subire una maggiore pressione. Con onestà, ad esempio Francois Hollande, leader socialista francese impegnato nella corsa alle presidenziali, ha detto che introdurrà una nuova aliquota oltre i 150 mila euro ponendola al 45 per cento (oggi si paga il 41 oltre i 72 mila euro) e soprattutto che imporrà una aliquota del 75 per cento sopra il milione di euro. In Italia si è proposta una patrimoniale più forte di quanto fatto dal governo Monti, ma molto si può contare su una efficace lotta all'evasione e su tagli di spesa selettivi.

Quello che è certo è che corrono tempi difficili per gli adepti del vecchio adagio berlusconiano "meno tasse per tutti". Meno tasse sì, ma non per tutti. Altrimenti si rischia l'anacronistico hellzapoppin delle proposte dei candidati repubblicani Usa per le primarie. Il candidato, uscito di scena Herman Cain, suggeriva un sistema 9-9-9, ovvero il 9 per cento per tasse sul reddito, consumi e imprese. Ma i tre rimasti a contendersi la nomination non scherzano. Mitt Romney vuole abbattere dall'attuale 35 per cento al 25 l'aliquota massima sui redditi oltre i 372 mila euro (e viene considerato un moderato). L'ex speaker del Congresso Newt Gingrich propone addirittura una flat tax, cioè unica aliquota proporzionale per tutti, del 15 per cento. Rick Santorum si limita alle due aliquote (al posto delle cinque attuali) del 10 e del 28 per cento. C'è da chiedersi, se vincesse il partito antitasse, come farebbero gli Usa a gestire il proprio enorme debito pubblico.

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