Wall Street colpita al cuore dal pentito di Goldman
Sachs
di Francesco
Manacorda
Gli interessi dei
clienti continuano ad essere penalizzati dal modo in cui l’azienda pensa e
agisce quando si tratta di fare soldi». Il re di Wall Street è nudo. E’ chi lo
grida al mondo non è un bambino, o un contestatore anti-sistema, ma un navigato
banchiere d’affari che fino a ieri ricopriva un posto di non infimo rango alla
corte di Goldman Sachs; come dire la real casa della finanza Usa con 143 anni di
tradizione alle spalle.
Ora non più. Sbatte la porta Greg Smith - dodici anni in Goldman fino a guidare il business dei derivati azionari americani in Europa, Medio Oriente ed Africa - lanciando un anatema che colpisce ancora più duro proprio perché arriva dal cuore stesso dell’impero finanziario. E per sovrammercato lo fa tradendo la regola aurea della discrezione: la sua lettera di dimissioni non plana silenziosa sulla scrivania del supercapo globale Lloyd C. Blankfein, ma esplode dalla pagina dei commenti del New York Times, lasciando ko la banca e deflagrando nell’intero universo di Wall Street.
Dunque l’ambiente di Goldman Sachs - scrive Smith nel suo testamento professionale - «è oggi così tossico e distruttivo come non l’ho mai visto», mentre alle riunioni di lavoro «non si spende un singolo istante per chiedersi
Ora non più. Sbatte la porta Greg Smith - dodici anni in Goldman fino a guidare il business dei derivati azionari americani in Europa, Medio Oriente ed Africa - lanciando un anatema che colpisce ancora più duro proprio perché arriva dal cuore stesso dell’impero finanziario. E per sovrammercato lo fa tradendo la regola aurea della discrezione: la sua lettera di dimissioni non plana silenziosa sulla scrivania del supercapo globale Lloyd C. Blankfein, ma esplode dalla pagina dei commenti del New York Times, lasciando ko la banca e deflagrando nell’intero universo di Wall Street.
Dunque l’ambiente di Goldman Sachs - scrive Smith nel suo testamento professionale - «è oggi così tossico e distruttivo come non l’ho mai visto», mentre alle riunioni di lavoro «non si spende un singolo istante per chiedersi
come possiamo aiutare i clienti. Si tratta solo di come possiamo fare più soldi
possibile levandoli a loro». Parole forti. Ma sono notizie? Probabilmente no.
Forse si tratta addirittura di parole banali, che anche molti di noi - plebei
della finanza lontani anni luce da Wall Street - potrebbero tranquillamente
sottoscrivere anche dopo un’occhiata al loro desolante estratto conto. La
denuncia risuona però fortissima perché a pronunciarla non sono i ragazzi
barbuti e le signore di mezza età che da mesi sfilano al grido di «Occupy Wall
Street». No, questa volta c’è un «insider», uno dei dodicimila vicepresidenti -
non è un errore di stampa - sui trentamila dipendenti, segretarie comprese, di
Goldman che all’improvviso decide di dire basta.
Nella lettera di Smith ci sono altri dettagli che spiegano più di molti
trattati le ragioni del divorzio tra la grande finanza e il mondo reale: «Negli
ultimi dodici mesi ho visto almeno cinque manager riferirsi ai loro clienti
chiamandoli “muppets”»; intesi non tanto come i pupazzi dell'omonimo show, ma
come l’equivalente di «idioti». E poi il breviario per far carriera in Goldman:
dal «persuadere i tuoi clienti a investire in azioni o altri prodotti di cui noi
stiamo cercando di sbarazzarci», alla «caccia all’elefante», leggasi «portare i
tuoi clienti a vendere o comprare quello che fa fare i maggiori profitti a
Goldman».
Ieri, mentre le parole del «pentito di Wall Street» - come è stato facile
soprannominarlo al volo - facevano il giro del mondo, la macchina ufficiale di
Goldman si è messa al lavoro per contenere i danni e quella ufficiosa della
maldicenza si è attivata per derubricare le sue parole al mugugno di un
frustrato che - spiegano alcuni suoi colleghi - guadagnava «solo» 750 mila
dollari l’anno. «Ovviamente le asserzioni di questa persona non riflettono i
nostri valori e la nostra cultura», replicano i vertici della banca in una
lettera dove non mancano gli «impegni a lungo termine» e la «cultura del cliente».
Per Goldman Sachs, già colpita un anno fa da un’inchiesta della Sec - la Consob
americana - che l’accusava di scommettere contro gli stessi strumenti
finanziari che vendeva ai propri clienti, il «fuoco amico» di Smith rischia di
provocare danni enormi. Per Wall Street tutta il messaggio è che il nemico non
è più laggiù, nei cartelloni che riempiono le strade sotto i grattacieli, ma
potrebbe essere nel cuore stesso di un sistema che non sa - e non vuole -
cambiare.
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