giovedì 15 marzo 2012

La “filosofia” di Goldman Sachs: il pentito di Wall Street



Wall Street colpita al cuore dal pentito di Goldman Sachs
di Francesco Manacorda

Gli interessi dei clienti continuano ad essere penalizzati dal modo in cui l’azienda pensa e agisce quando si tratta di fare soldi». Il re di Wall Street è nudo. E’ chi lo grida al mondo non è un bambino, o un contestatore anti-sistema, ma un navigato banchiere d’affari che fino a ieri ricopriva un posto di non infimo rango alla corte di Goldman Sachs; come dire la real casa della finanza Usa con 143 anni di tradizione alle spalle.

Ora non più. Sbatte la porta Greg Smith - dodici anni in Goldman fino a guidare il business dei derivati azionari americani in Europa, Medio Oriente ed Africa - lanciando un anatema che colpisce ancora più duro proprio perché arriva dal cuore stesso dell’impero finanziario. E per sovrammercato lo fa tradendo la regola aurea della discrezione: la sua lettera di dimissioni non plana silenziosa sulla scrivania del supercapo globale Lloyd C. Blankfein, ma esplode dalla pagina dei commenti del New York Times, lasciando ko la banca e deflagrando nell’intero universo di Wall Street.

Dunque l’ambiente di Goldman Sachs - scrive Smith nel suo testamento professionale - «è oggi così tossico e distruttivo come non l’ho mai visto», mentre alle riunioni di lavoro «non si spende un singolo istante per chiedersi
come possiamo aiutare i clienti. Si tratta solo di come possiamo fare più soldi possibile levandoli a loro». Parole forti. Ma sono notizie? Probabilmente no. Forse si tratta addirittura di parole banali, che anche molti di noi - plebei della finanza lontani anni luce da Wall Street - potrebbero tranquillamente sottoscrivere anche dopo un’occhiata al loro desolante estratto conto. La denuncia risuona però fortissima perché a pronunciarla non sono i ragazzi barbuti e le signore di mezza età che da mesi sfilano al grido di «Occupy Wall Street». No, questa volta c’è un «insider», uno dei dodicimila vicepresidenti - non è un errore di stampa - sui trentamila dipendenti, segretarie comprese, di Goldman che all’improvviso decide di dire basta.

Nella lettera di Smith ci sono altri dettagli che spiegano più di molti trattati le ragioni del divorzio tra la grande finanza e il mondo reale: «Negli ultimi dodici mesi ho visto almeno cinque manager riferirsi ai loro clienti chiamandoli “muppets”»; intesi non tanto come i pupazzi dell'omonimo show, ma come l’equivalente di «idioti». E poi il breviario per far carriera in Goldman: dal «persuadere i tuoi clienti a investire in azioni o altri prodotti di cui noi stiamo cercando di sbarazzarci», alla «caccia all’elefante», leggasi «portare i tuoi clienti a vendere o comprare quello che fa fare i maggiori profitti a Goldman».

Ieri, mentre le parole del «pentito di Wall Street» - come è stato facile soprannominarlo al volo - facevano il giro del mondo, la macchina ufficiale di Goldman si è messa al lavoro per contenere i danni e quella ufficiosa della maldicenza si è attivata per derubricare le sue parole al mugugno di un frustrato che - spiegano alcuni suoi colleghi - guadagnava «solo» 750 mila dollari l’anno. «Ovviamente le asserzioni di questa persona non riflettono i nostri valori e la nostra cultura», replicano i vertici della banca in una lettera dove non mancano gli «impegni a lungo termine» e la «cultura del cliente». Per Goldman Sachs, già colpita un anno fa da un’inchiesta della Sec - la Consob americana - che l’accusava di scommettere contro gli stessi strumenti finanziari che vendeva ai propri clienti, il «fuoco amico» di Smith rischia di provocare danni enormi. Per Wall Street tutta il messaggio è che il nemico non è più laggiù, nei cartelloni che riempiono le strade sotto i grattacieli, ma potrebbe essere nel cuore stesso di un sistema che non sa - e non vuole - cambiare.

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