venerdì 30 marzo 2012

Cinema: ‘Romanzo di una strage’, recensione / 2


da: la Repubblica

Il romanzo di piazza Fontana ma il finale bipartisan non regge
La storia secondo il testimone oculare Giordana
di Curzio Maltese

Quel pomeriggio del 12 dicembre 1969 che ha cambiato per sempre l’Italia c’era anche Marco Tullio Giordana in piazza Fontana, uno dei tanti studenti sul tram che porta alla Statale. Un boato, i vetri saltati, i biglietti per aria come coriandoli e la vita di tutti i giorni precipitata in un secondo nell’incubo. La scena autobiografica del tram è per paradosso la più genialmente visionaria di Romanzo di una strage. Soltanto Leone, Coppola o Scorsese sarebbero riusciti in una sola immagine a racchiudere i significati di un evento epocale.

Romanzo di una strage è uno dei rari film da vedere per poterne discutere. Da discutere in effetti c’è molto. Non il talento dell’autore di La meglio gioventù e de I cento passi, due fra i film italiani più belli degli ultimi decenni. Tanto meno la prova di un cast strepitoso che raccoglie le meglio gioventù di tre generazioni, da Omero Antonutti nella parte di Saragat, a Favino e Mastrandea (Pinelli e il commissario Calabresi), a Gifuni e Lo Cascio (Aldo Moro e il giudice Paolillo), fino ai giovani e sorprendenti Freda e Ventura, Giorgio Marchesi e Denis Fasolo.
Quello che si può discutere è la scrittura di Romanzo di una strage. Ci voleva coraggio per fare a distanza di quarant’anni il primo film su piazza Fontana ed è indubbio che Giordana e gli sceneggiatori Rulli e Petraglia ne abbiano avuto. Ma forse ne occorreva una dose supplementare per affrontare un vero viaggio negli orrori dell’eterna guerra civile italiana. Il film è piuttosto legato all’attualità della riflessione politica. Per dirla con Mario Calabresi, bravo collega e figlio del commissario, è un’opera «sulla linea del presidente Napolitano,
che si è impegnato a restituire umanità alle persone, liberandole dalla condizione di simboli».
Calabresi poi lamenta che a suo padre non sia stata restituita abbastanza e troppa invece ai nemici, censurando la campagna infame e assassina di Lotta Continua. Qualcuno obietterà che il dolente, solitario e candido commissario Calabresi di Valerio Mastandrea non assomiglia allo stesso che fece incarcerare per mesi senza prova decine di anarchici e sottopose Pinelli a un interrogatorio feroce e illegale, concluso con la morte di un cittadino innocente.
Ma alla fine Romanzo di una strage è un film molto personale di un testimone oculare d’eccezione, non un’inchiesta. Quelli sono il Calabresi e il Pinelli di Marco Tullio Giordana, non un’impossibile verità umana sui personaggi reali. Dove invece il film lascia perplessi è nell’estendere il mistero ai fatti storici. Se è vero che i colpevoli sono rimasti impuniti e i processi si sono conclusi con la vergognosa richiesta di spese ai parenti delle vittime, è falso però che non si siano chiarite le responsabilità. A mettere le bombe sono stati gli estremisti di destra, con la regia dei servizi segreti italiani e americani, in vista di un golpe fascista che si sarebbe realizzato se la sinistra avesse vinto le elezioni, come avvenne poi nel Cile di Allende. Nessun mistero, nessuna «doppia pista» bipartisan, a cavallo fra anarchici e neo fascisti, come si ipotizza nel finale del film. Sostenere questa tesi non serve a pacificare gli animi, com’è forse nelle intenzioni di Rulli e Petraglia, ma soltanto a spargere un inaccettabile perdonismo generale.

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