venerdì 30 novembre 2018

Alberto Negri: Poche storie, la verità sul caso Regeni non la sapremo mai (ed è tutta colpa nostra)


Condivido e sottoscrivo l’articolo di un vero giornalista quale è Negri. Eccetto per una definizione. Non si tratta di realpolitik. La realpolitik è un do ut des. E’ un mediare, negoziare, accettare anche situazioni, scelte, decisioni che non dovrebbero essere accettate per un obiettivo di interesse generale. L’Italia non sa cosa sia la realpolitik. Non riceve nulla in cambio quando si piega, ignora, mente, accetta situazioni che dovrebbe respingere. L’Italia non conta un organo sessuale maschile nel panorama internazionale. E’ un non contare a doppia corsia. Nel senso che: non contiamo nulla nei confronti di altri paesi, altri paesi possono fare quel che vogliono a casa nostra restando impuniti. Pensiamo a Ustica, alla strage del Cermis e tante altre vicende che ci hanno visti usati e piegati. Altre vicende che attendono ancora verità e giustizia. 




Il presidente della Camera, Fico, sospende le relazioni con l’Egitto. Ma la verità è che l’Italia non ha gli strumenti, la potenza, e forse nemmeno la volontà di mettere sotto pressione Al Sisi

Il caso di Giulio Regeni, come in parte quello dell’omicidio del giornalista saudita Jamal Khashoggi, è irresolubile. A meno che non si accettino verità di comodo che non mettano in discussione il potere assoluto dei dittatori alleati dell’Occidente. Nel caso di Khashoggi è quello della casa regnante saudita, in quello di Regeni l’autorità dittatoriale del generale Al Sisi, che per altro abbiamo ricevuto con tutti gli onori alla conferenza libica di Palermo perché, insieme ai buoni uffici dei russi, ci ha portato come omaggio la visita del generale Khalifa Haftar nemico del governo Sarraj di Tripoli sostenuto da Italia, Turchia e Qatar.

Al Cairo sono andati in visita Salvini, Moavero, Di Maio e cosa hanno portato a casa? Un bel nulla. Anzi, l’impressione è che i loro viaggi abbiano seppellito il caso Regeni come del resto intendeva fare il governo precedente quando ha rimandato al Cairo l’ambasciatore: è servito agli affari bilaterali e ma non a sapere la verità. Ora il presidente della Camera Roberto Fico sospende le relazioni con il Parlamento egiziano: si tratta ovviamente di un atto puramente simbolico, come lo sono le indagini della procura sugli agenti egiziani che resteranno al loro posto e mai il generale Al Sisi ce li consegnerà.

Lorenzo Jovanotti: video, Chiaro di Luna


Stefano Feltri: Reddito di cittadinanza, il problema sono i poveri non le tessere



Chi stamperà le tessere ricaricabili è l’ultimo dei problemi del reddito di cittadinanza. Il progetto continua a restare fumoso nei suoi tratti fondamentali ma emergono già alcune serie questioni cui i Cinque Stelle dovrebbero porre rimedio finché sono ancora in tempo.

Secondo il Sole 24 Ore, nelle prime bozze del decreto legge sul reddito sono previsti incentivi per le imprese che assumono disoccupati di lunga durata, sopra i 24 mesi, pari a sei mensilità, tre mensilità per tutte le altre assunzioni.

Per non fare il bis di quanto visto negli anni renziani – incentivi a pioggia – bisogna assicurarsi che questi soldi vadano soltanto per assunzioni aggiuntive rispetto agli organici attuali. Oppure si cade nel solito rischio di trasformare l’incentivo in un mero sussidio: l’impresa non riconferma un contratto a termine (magari proprio per i nuovi vincoli del decreto Dignità) e assume il disoccupato beneficiario del reddito di cittadinanza. Zero nuova occupazione, ma risparmia. E per le mansioni a basso valore aggiunto, in cui la formazione acquisita vale poco, tutto il guadagno è per l’impresa mentre l’occupazione non aumenta. Da dove arriveranno questi soldi? Se dai 7,1 miliardi previsti per il reddito di cittadinanza (e non si vede da dove altro potrebbero arrivare, visto che nuovi stanziamenti sono esclusi), la platea dei beneficiari potenziali del sussidio si restringerebbe di molto.

Francesco Cancellato: Lasciate perdere il deficit, il governo sta barando sulla crescita




Mentre si discute di limare il deficit di due decimali, nessuno contesta la previsione di crescita all’1,5%, clamorosamente errata. Eppure la chiave è tutta lì: perché a crescita dimezzata corrisponde un deficit oltre il 3%. Non se ne sono accorti, a Bruxelles, o stanno giocando un’altra partita?

Fateci capire, che magari siamo tonti noi. Per la Federal Reserve americana dall’Italia arrivano rischi di recessione. Contemporaneamente l’indice Pmi di Markit scende sotto la soglia psicologica dei 50 punti, attestando di fatto una contrazione dell’attività manifatturiera italiana. Mentre tutte le previsioni elaborate da centri di ricerca non governativi - dall’Ocse al Fondo Monetario Internazionale - indicano una crescita per l’Italia attorno o inferiore all’1%. Nei fatti, non c’è un dato uno che non dice che l’economia italiana sta rallentando.

Eppure, mistero dei misteri, nella trattativa col l’Europa si parla solo di modificare il rapporto deficit/Pil, dal 2,4% al 2,2% secondo Salvini, fino al 2% per Tria, ma nessuno pare mettere in discussione la più grande impostura della manovra gialloverde: le previsioni di crescita all’1,5%. Eppure il problema è tutto lì, se ci pensate, nelle premesse. Basterebbe scrivere 0,8%. Basterebbe smettere di far finta che un sussidio a qualche disoccupato e un anticipo pensionistico che penalizza chi sceglie di farne ricorso

giovedì 29 novembre 2018

Il governo Maduro di comprendonio


“Riassumiamo:
·          Gli scappati di casa se la fanno addosso per timore di perdere l’accesso ai mercati;
·          Quindi cercano di vendere la fontana di Trevi alla Commissione Ue ed agli altri paesi dell’Unione;
·          Manipolano e comprimono gli esborsi per il 2019, nel disperato tentativo di arrivare alle elezioni di maggio (per fare cosa, è sempre meno chiaro);
·          Così facendo, non incidono sul deficit-Pil strutturale ma depotenziano l’impatto espansivo delle misure, che viene peraltro già soffocato anche dall’esplosione dello spread;”



Quindi, pare che i nostri scappati di casa, spinti a più miti consigli dall’eventualità di perdere l’accesso al mercato già a gennaio, siano intenzionati a modificare la Manovra del Popolo. Da quanto emerge in queste ore, tuttavia, non si tratterebbe di nulla di sostanziale ma dell’abituale tentativo di smerciare pacchi nel parcheggio dell’autogrill, che pare essere diventata l’attività prevalente degli italiani nel rapporto con la realtà. Un vero peccato che quest’ultima non si faccia turlupinare.

I nostri eroi hanno comunque già fatto sapere che aspettano le “relazioni tecniche” su reddito e pensioni
«[…] al fine di quantificare con precisione le spese effettive. Le somme recuperate saranno riallocate, privilegiando la spesa per investimenti»

Proviamo a decodificare. Intanto, fa davvero tenerezza che si invochi, esattamente come

Milano è la città italiana che offre più opportunità di lavoro. Ma è solo 82ª al mondo. Vince Boston


da: https://it.businessinsider.com/ - di Chiara Merico

È Milano la città d’Italia che offre le migliori opportunità di trovare un lavoro: il capoluogo lombardo è all’86esimo posto su 100 città del mondo secondo la classifica stilata da Movinga, società specializzata in trasferimenti, che ha preso in esame indicatori come la solidità economica, i livelli di vita e la capacità di inclusione di donne, giovani ed expat. La ricerca rientra in un progetto più ampio focalizzato sulle Cities of Opportunity, e il primo studio si concentra proprio sull’aspetto lavorativo, visto che le prospettive professionali sono una delle principali ragioni che spingono le persone a spostarsi. L’unica altra città d’Italia in classifica è Roma, al 92esimo posto. 
Secondo lo studio, Boston è la migliore città del mondo per chi è in cerca di nuove opportunità di lavoro, grazie a un’economia solida, un alto reddito disponibile e buone possibilità per le donne.

Ecco le prime 10 città della classifica


Per i giovani il posto su cui puntare è Dubai, che presenta una scena di startup in rapida espansione e un elevato tasso di occupazione degli expat.

Ecco le 10 città migliori per i giovani

Tim: quarto cambio al vertice in quattro anni, e Vivendi prepara il nuovo ribaltone




Tim senza pace, quarto cambio al vertice in 4 anni. E Vivendi prepara il nuovo ribaltone
di Giovanni Pons

Quello che si diceva ad aprile scorso, al momento dell’assemblea che ha portato il fondo Elliott a conquistare la maggioranza del board di Tim, si è puntualmente verificato. Il compromesso su Amos Genish era a tempo determinato, giusto per non irritare i grandi fondi internazionali con un cambio di ad a distanza di pochi mesi dall’ultimo ribaltone. Poi si sarebbe fatto largo a un manager più vicino alla lobby che lavora al fianco di Elliott da quando quest’ultimo ha deciso di entrare a piedi uniti nel capitale della società telefonica. Una lobby che fa perno su Roberto Sambuco, partner della Vitale & Associati e ha solide ramificazioni nel sottobosco politico romano. Il manager in questione si chiama Luigi Gubitosi e nella sua carriera è stato alla Fiat, a Wind, a Merrill Lynch Italia, alla Rai, all’Alitalia e ora è considerato l’uomo giusto per flirtare con l’attuale governo e realizzare quello che i suoi predecessori in Tim non sono mai riusciti neanche a ipotizzare: un vero spezzatino della società. Per massimizzare il ritorno finanziario degli investitori.
E’ questo infatti il mandato che Gubitosi ha ricevuto da Elliott, dopo sei mesi nel ruolo di consigliere d’amministrazione passati a mettere i bastoni tra le ruote ad Amos Genish, l’israeliano che era stato scelto da Vivendi e che è riuscito nell’intento di far crollare il titolo fino ai minimi storici, da 0,8 fino a 0,5 euro. Colpa della concorrenza dei francesi di Iliad,

mercoledì 28 novembre 2018

Feodor Dostoevskij: Delitto e castigo / 1




Capitolo I

In una giornata straordinariamente calda del principio di luglio, un giovane, uscito dalla stanzetta che aveva in subaffitto nel vicolo di S. scese in strada e lentamente, con l’aspetto di una persona indecisa, s’avviò verso il ponte K.
Per la scala riuscì ad evitare l’incontro con la sua padrona di casa. La stanzetta del giovane era situata proprio sotto il tetto di un alto casamento a cinque piani e rassomigliava piuttosto a un armadio che a un’abitazione. La padrona di casa, che gli dava in fitto quel bugigattolo, includendo nel prezzo desinare e servizio, dimorava una tesa di scala più in basso, in un quartierino separato; quindi, per scendere in strada, egli non poteva fare a meno di passare davanti alla cucina della donna, la cui porta era quasi sempre spalancata sulla scala. Ogni volta che passava provava una sensazione di paura morbosa della quale si vergognava e che gli faceva aggrottare le ciglia: aveva un grosso debito verso la padrona di casa e perciò temeva d’incontrarla.
Egli non era pauroso, un uomo avvilito, tutt’altro, ma da qualche tempo era in uno stato di irritabilità e di tensione che rasenta l’ipocondria: s’era tanto sprofondato in se stesso e tanto allontanato da tutti, che temeva qualsiasi incontro, non solo quello della padrona di casa. Era oppresso dalla miseria, ma negli ultimi tempi neppure le ristrettezze finanziarie gli pesavano. Aveva smesso di occuparsi delle sue faccende abituali e non aveva voglia di ritornarvi.

martedì 27 novembre 2018

Ecco perché Raffa è ancora la numero uno, alla faccia delle influencer



da: https://www.linkiesta.it/it/ - di Irene Cosul Cuffaro

La Carrà, con caschetto biondo, mosse e Tuca Tuca, è stata la prima femminista italiana. E ora presenta un disco di Natale più d’avanguardia delle avanguardie

In tempi in cui la popolarità (la cuginetta zoccola del prestigio, cit.) si raggiunge partecipando ai reality, facendo le influencer, caricando video su Yotube o altre amenità simili, si tende a relegare nel dimenticatoio o etichettare come trash o nazionalpopolari personaggi che i costumi degli italiani li hanno cambiati davvero. Anche perché una come Raffaela Carrà alle influencer fa tranquillamente le scarpe. Anche a 75 anni.

Ne ha dato prova, oltre che negli ultimi 50 anni, anche alla conferenza stampa di presentazione del suo nuovo disco di canzoni natalizie alla Sony Music di Milano. Tacchi a spillo, figura asciutta e slanciata (Raffa è l’archetipo immutabile di Raffa) caschetto platino che negli anni Sessanta liberò molte donne dalla noia della cotonatura e dei bigodini, fragorosa risata diventata familiare grazie ai suoi programmi di punta che tutti abbiamo guardato.

Perché, attenzione, oltre a far rincontrare parenti persi di vista in Venezuela trent’anni prima, Nostra Signora della tv ha fatto molto di più. Senza nemmeno rendersene conto, dando scandalo, ha contribuito a rompere gli schemi di un Paese ancora bigotto e facilmente

Marco Lillo: Luigi Di Maio ceda le quote della società del padre, il vicepremier non può restare ostaggio


da: https://www.ilfattoquotidiano.it/

Luigi Di Maio non ha fatto nulla di male ma il suo ruolo di leader del primo partito italiano gli impone di cedere le quote della Ardima Srl. Per rispetto agli italiani che hanno votato M5s deve porre fine allo stillicidio sulle presunte irregolarità commesse nel precedente decennio dalla Ardima Costruzioni di Paolina Esposito, gestita dal padre e intestata alla mamma. La difesa del vicepremier è nota: la sua società – Ardima Srl – non è quella che avrebbe commesso le irregolarità denunciate in tv da Le Iene. Tutto vero. Il vicepremier è socio al 50 per cento con la sorella Rosalba nella Ardima Srl nata dopo le irregolarità presunte, nel 2012. Però tra le due Ardima c’è un legame: l’azienda, cioè il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore, in pratica l’anima dell’impresa.

La prima Ardima, quella della mamma con sede a Mariglianella, era gestita da papà Di Maio ed è nata nel 2006. Quella di Luigi e Rosalba Di Maio è una srl con sede a Pomigliano d’Arco. Però l’azienda della prima impresa è stata donata ai figli Rosalba e Luigi dalla mamma.

La Ardima Srl, nata nel 2012, era poco più di un guscio vuoto che prende il volo nel 2014 quando i due figli conferiscono l’azienda materna: comprendente una betoniera, un autocarro, quattro perforatori, due elevatori, un banco sega, più flex, trapani, ponteggi e

lunedì 26 novembre 2018

Digital e Web Tax, l’Europa vuole costringere una buona volta i big del tech a pagare le tasse


da: https://www.linkiesta.it/it/ - di Nicola Grolla

Le aziende di Internet attive nell’Ue pagano, in media, un’aliquota di imposta effettiva del 9,5% contro il 23,2% pagato dalle aziende tradizionali. L’Ecofin del 4 dicembre potrebbe essere l’occasione per fare fronte comune sulla digital tax

La caccia al gigante digitale potrebbe presto arrivare a un punto di svolta: con la digital tax. In ambito europeo e nazionale se ne parla da qualche tempo. Anche all’ultimo Ecofin di novembre, l’agenda dei ministri delle finanze dei 28 Stati membri conteneva il tema di una tassa sul fatturato delle grandi aziende online. A parole, infatti, sembrano tutti concordi: c’è bisogno di una misura condivisa con cui evitare che i big del settore aggirino la normativa fiscale o riescano a trovare soluzioni per cui pagano le tasse in Paesi con un trattamento favorevole rispetto a quello in cui effettivamente operano. D’altronde, secondo alcuni calcoli, le aziende di Internet attive nell’Ue pagano, in media, un’aliquota di imposta effettiva del 9,5% contro il 23,2% pagato dalle aziende tradizionali. Una sperequazione a cui porre rimedio. Peccato che l’accordo sia ancora lontano.

In campo, ci sono due schieramenti. Il primo, capitanato dalla Germania, vorrebbe trovare una soluzione di portata globale all’interno dell’ambito Ocse. Una possibilità che secondo le più rosee aspettative potrebbe diventare realtà non prima del 2020. L’altro schieramento, a guida francese (con il supporto dell’Italia), vorrebbe accelerare i tempi così da intestarsi, a livello internazionale, il primo punto della contesa.

sabato 24 novembre 2018

I soldi contro la violenza alle donne? Vanno a cantanti, rugbisti e calciatori


da: https://www.linkiesta.it/it/ - di Lidia Baratta

Mentre i centri antiviolenza arrancano, associazioni e onlus si sono buttate nella difesa delle donne vittime di violenza. Basta guardare gli 11,7 milioni distribuiti dal Dipartimento Pari opportunità tra società sportive, comuni, enti religiosi e agenzie di comunicazione

La Giornata contro la violenza sulle donne arriva puntuale anche quest’anno il 25 novembre. Le iniziative e gli eventi di sensibilizzazione si moltiplicano. E si citano i dati: le donne uccise nel 2017 sono state 123, nel 2018 da inizio anno i femminicidi sono stati 32. Ma mentre i centri antiviolenza vivono ancora di volontarie che lavorano gratis, con i pochi spiccioli che arrivano sempre tardi e a singhiozzo, il pinkwashing di tanta politica, gli slogan della lotta alla violenza di genere e i milioni a disposizione per prevenirla hanno fatto miracolosamente moltiplicare le iniziative in “rosa”. Anche chi prima si occupava di tutt’altro, si è buttato nella difesa delle donne. E i fondi hanno cominciato a cadere a pioggia.

Basta guardare i 121 beneficiari dell’ultimo bando del Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio, con cui sono stati distribuiti 11,735 milioni, divisi tra progetti di inserimento lavorativo, comunicazione, educazione e trattamento degli uomini maltrattanti. Così, ad esempio, ben 175mila euro sono andati alla Nazionale Cantanti e alla Associazione italiana calciatori. La stessa cifra – per fare un paragone – destinata a Dire, Donne in rete contro la violenza, la rete dei centri antiviolenza italiani. La nazionale degli attori ha incassato

venerdì 23 novembre 2018

Adoro il Sirtaki: Raffaella Carrà e Demis Russous

Paul Anka: Diana



Raj Patel, economista pentito della Banca Mondiale: “Chicken nugget e salario minimo di Amazon uccidono il pianeta”.



Condivido e sottoscrivo, in particolare, queste parole: "Più che pensare a colonizzare Marte (come sta provando a fare Elon Musk) o a trasferirci sulla Luna (come immaginato da Jeff Bezos) perché le risorse si stanno esaurendo o la vita diventerà sempre più difficile, bisogna lavorare duramente per cambiare il sistema economico e sociale attuale che abita il nostro pianeta, restituendo dignità alle persone che ci vivono e lavorano. La corsa alla conquista dello spazio, che a seconda dei punti di vista può essere letta come la forma massima di esplorazione ma anche quella più estrema di colonialismo, non è certo la soluzione ai nostri problemi".


da: https://it.businessinsider.com/    

‘Chicken nugget e salario minimo di Amazon uccidono il pianeta’. Parla Raj Patel, economista pentito della Banca Mondiale
di Marco Cimminella

Se è vero che l’uomo è ciò che mangia, allora il capitalismo estremo ci ha ridotto davvero male. Perché per far arricchire pochi, in molti hanno dovuto accontentarsi di salari miseri, cibo a basso costo e scarse cure mediche. E tutti ora dobbiamo affrontare le conseguenze di scelte poco sostenibili, che hanno devastato l’ambiente in cui viviamo, contribuendo a quel riscaldamento globale che di fatto minaccia la sopravvivenza del genere umano.
È un meccanismo che va avanti da tempo, dalla scoperta del nuovo mondo di Cristoforo Colombo secondo il professore Raj Patel, attivista ed esperto di crisi alimentare mondiale. E che continua ancora oggi: “Ci sono delle somiglianze”, ci spiega Patel, tra le modalità di sfruttamento delle risorse (umane e materiali) adottate dai conquistatori europei dopo il 1492 e il modo in cui, oggi, i fondatori di colossi internazionali – da Jeff Bezos a Elon Musk – hanno impostato il lavoro e strutturato il proprio modello di business.

La Rai strapazza Mediaset negli ascolti: Confalonieri chiede aiuto a governo e Agcom




da: https://it.businessinsider.com/ - di Giuliano Balestreri

Paralizzare la Rai per ridurre i danni al minimo. Forza Italia e Mediaset sono allineate sull’obiettivo, con il sostegno del commissario Agcom Antonio Martusciello, mentre la Lega prende tempo. Il Movimento 5 Stelle ripete come un mantra di voler fissare nuovi tetti all’affollamento pubblicitario, ma per il momento non tocca palla. Nel frattempo, Viale Mazzini resta nell’impasse: gli ascolti sono in crescita, il vantaggio nei confronti del Biscione si allarga, ma da quasi un anno Rai Pubblicità – la concessionaria della tv di Stato – è senza amministratore delegato. Dopo l’uscita di Fabrizio Piscopo è tutto nella mani del presidente Antonio Marano, in quota Lega.

Il numero uno di Mediaset, Fedele Confalonieri, è stato chiaro: “La Rai non può svendere la propria merce con sconti del 90-95 per cento, solo perché ha la riserva del canone. La pubblicità è contingentata, con questo comportamento la Rai butta via la merce. Ecco perché faccio appello all’arbitro. Fatevi aiutare dalla Var se ritenete, ma intervenite”.

Un appello che il commissario Martusciello ha fatto proprio da tempo proponendo – senza successo – l’applicazione su ogni singola rete Rai, e non cumulativamente per i tre canali generalisti, del limite del 4 per cento di affollamento pubblicitario settimanale. Al momento, la Rai ha per legge un doppio limite all’affollamento pubblicitario: uno orario fissato al 12%

lunedì 19 novembre 2018

Il ruggito di Merkel e Macron: ora la guerra ai populisti è iniziata davvero


da: https://www.linkiesta.it/it/ - di Francesco Cancellato

Prima l’iniziativa congiunta sulla nascita di un esercito europeo, che ha scatenato le ire di Trump. Poi, il piano sugli investimenti che esclude chi non rispetta le regole, che suona come un messaggio all’Italia euroscettica. I due motori dell’integrazione continentale si sono rimessi in moto

Due indizi fanno una prova: prima l’uno-due sull’esercito europeo, approfittando di due occasioni importanti come il centenario dell’armistizio della Grande Guerra e il discorso in plenaria al Parlamento Europeo. Poi il piano per un budget europeo per gli investimenti che esclude dalla divisione della torta i Paesi che non rispettano le regole. Merkel e Macron, Germania e Francia, i due veri motori dell’integrazione europea sembrano essersi finalmente svegliati. Soprattutto, sembrano essere intenzionati a recuperare l’iniziativa perduta, a non lasciare più spazio all’euroscetticismo, a combattere le forze distruttrici dell’Unione Europea con la costruzione di un’Europa più integrata, più politica, più ambiziosa.

L’accelerazione sull’esercito europeo di qualche giorno fa, evidentemente coordinata tra i due, ha colto tutti di sorpresa. Trump per primo, soprattutto per la virulenza dell’attacco di entrambi all’America, che Macron ha addirittura dipinto come una potenziale minaccia per gli interessi europei, andando a mettere in discussione - senza dirlo, ma lasciandolo intendere - la sopravvivenza stessa della Nato. Non solo: indipendentemente dallo schiaffo a Washington, l’accelerazione sulla difesa comune è un segnale fortissimo in direzione di un’accelerazione del processo di integrazione. Come ebbe a dire a suo tempo Giulio Tremonti,

domenica 18 novembre 2018

Fulvio Abbate: “Per capire il paese reale vinci l’orrore, e guarda ‘Uomini e donne’



Ode al programma che più di ogni altro definisce le dinamiche sociali e amorose del Belpaese, il vero capolavoro di Berlusconi e Maria De Filippi. Che non è trash. È la realtà italiana

Poche cose al mondo della nostra televisione credo sappiano raccontare l’Italia, i suoi balconi affacciati sulle umane attese, allo stesso modo di “Uomini e donne”, capolavoro mediatico di Maria De Filippi, un dating show pomeridiano da lei condotto con distaccato interesse, postura da attesa dell’aliscafo sui gradini, Canale 5, fascia cruciale per un pubblico sinceramente, spietatamente popolare.

Lo scrittore Goffredo Parise, commentando le foto del barone Von Gloeden, aristocratico omosessuale tedesco che tra ‘800 e ‘900 amava ritrarre nudi i ragazzi di Taormina ispirandosi alla Grecia e all’Arcadia, provò a ravvisare in quei volti i progenitori dei nostri contemporanei, destinati a diventare chi assessore e chi carabiniere. I pronipoti dei fauni ritratti dal barone si sono forse spettacolarmente reincarnati nelle creature presenti negli studi dove Maria De Filippi li rende “tronisti” o “troniste”, ancora meglio se “Over”, spettacolo dedicato agli ultraquarantenni e perfino più su; i protagonisti di “Uomini e donne” sono infatti lo spietato

giovedì 15 novembre 2018

Rai Uno, I Bastardi di Pizzofalcone: nonostante il finale, ci sarà una terza stagione



Se c’è il lieto fine arrivano le lamentele: meglio le serie americane, sono più realistiche, ecc..ecc.. (come se non ci fossero serie americane dell’organo sessuale maschile). Se il finale è con il botto, in tutti i sensi, lamentele comunque.

La seconda serie dei Bastardi di Pizzofalcone ha mantenuto un livello di qualità anche se, rispetto alla prima stagione, sono mancate alcune caratterizzazioni dei personaggi recuperate solo nelle ultime puntate.
L’ultima puntata è stata avvincente anche se, era facile prevedere che Loiacono non fosse “sporco”.

Perché le serie riescano a mantenere un livello di qualità non devono protrarsi per troppe stagioni, a meno che, i personaggi protagonisti non siano man mano sostituiti da nuovi

martedì 13 novembre 2018

Le parole di Di Battista sui giornalisti: ciò che serve a questo paese


Dopo la sentenza di assoluzione per il sindaco di Roma Virginia Raggi, Alessandro Di Battista ha postato queste parole verso i giornalisti: “Oggi la verità giudiziaria ha dimostrato solo una cosa: che le uniche puttane qui sono proprio loro, questi pennivendoli che non si prostituiscono neppure per necessità, ma solo per viltà".

Ovviamente, la categoria dei giornalisti si è “risentita”, si aspetta innanzitutto delle scuse.

Personalmente, trovo la categoria dei giornalisti della stampa mediamente fatta di gente con la schiena piegata, servi, faziosi, autoreferenziali. Ergo: non fanno informazione.
Oggettività, indipendenza, senso critico, professionalità, volontà e capacità di informare, tutte caratteristiche rarissime. Non parliamo degli editorialisti che scrivono per “rispondere” ai colleghi dell’altra sponda…intesa come sponda politica.

Detto quanto penso dei giornalisti, ritengo però che a questo paese servono più le puttane che Di Battista. Servono più le puttane che giornalisti leccaculo

venerdì 9 novembre 2018

Marco Mengoni, nuovo singolo: Voglio



Canzone da impatto immediato, funzionale al proprio pubblico e anche ad attirare nuovi ascoltatori.

Non siamo al livello di Guerriero, per me il top raggiunto finora da un artista di indubbio talento quale è Marco Mengoni, ma lui sa, appunto, cosa e come funziona il giro del fumo…e non fallisce.