Da:
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Chissà
se qualcuno di voi, nell’ansia di scoprire se la vaiassa di Chigi avrebbe o no
difeso il suo pistolero di Biella, se avrebbe fatto muro o meno attorno al suo
alleato scomodo Salvini “in Verdini”, nota famiglia ai domiciliari per
definizione, ha preso coscienza dell’ennesimo trappolone nascosto nella sua
conferenza stampa fiume della scorsa settimana?
Ebbene,
ci scommetto: pochi, pochissimi erano attenti quando la Meloni ha rivelato
che per rispettare i nuovi vincoli di bilancio (che si è fatta imporre da
Bruxelles, ovvero da Germania e Francia), il suo governo sta mettendo mano,
per il triennio 2024/2026, ad un nuovo piano di privatizzazioni di ben 20
miliardi. Questo, almeno, è quanto è stato messo nero su bianco nella
Nadef, ovvero nelle previsioni economiche e finanziarie dello Stato. E ad
essere messe in vendita non saranno società minori, ma quel poco che ci resta
dei nostri gioielli di famiglia: parlo dei pezzi da novanta Poste
Italiane e Ferrovie dello Stato. Stavolta non si tratta quindi di
sbarazzarsi di carrozzoni improduttivi e succhia soldi come l’ex Alitalia o
come il MPS il cui 25% il suo tesoriere Giorgetti ha ceduto al prezzo
d’affezione di 920 milioni, bensì di due aziende floride, che producono
reddito per le casse dello Stato.
Due
dati ufficiali: nel 2023 solo Poste ha realizzato un utile netto di 2,5
miliardi di euro, ben +5,8% dell’anno precedente e il Gruppo Ferrovie dello
Stato, dati ad aprile 2022, ha registrato ricavi in crescita a 13,7
miliardi di euro. È appena il caso di dire che l’entrata di capitale privato in
due aziende statali di queste dimensioni porterà un ulteriore aumento dei costi
a carico dei cittadini.