da: https://www.ilfattoquotidiano.it/
Pubblichiamo
l’intervento di Demetrio Guzzardi, ricercatore post-dottorato presso la Scuola
Superiore Sant’Anna di Pisa.
Il
sistema fiscale italiano attuale favorisce i più ricchi. Nonostante l’Irpef sia
progressiva, questa non è sufficiente a rendere progressivo l’intero sistema
fiscale quando consideriamo tutte le imposte e tasse pagate annualmente.
Infatti, il 5% degli italiani più ricchi gode di un’aliquota fiscale via via
decrescente (totale di tutte le imposte pagate diviso la totalità dei redditi
guadagnati), con lo 0,1% più ricco degli italiani che paga un’aliquota fiscale
inferiore rispetto al resto della popolazione nonostante abbia guadagni che
superano i 500mila euro.
Questo è uno dei risultati di uno studio condotto in collaborazione con le economiste e gli economisti Elisa Palagi, Andrea Roventini e Alessandro Santoro, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Journal of the European Economic Association. Nel nostro studio, mostriamo che il sistema fiscale italiano, considerando tutte le imposte e le tasse versate, non è affatto progressivo; anzi, risulta solo debolmente progressivo e diventa addirittura regressivo per il 5% degli italiani più ricchi. Il top 0,1%, coloro con guadagni totali oltre i 500mila euro, versa un’aliquota effettiva del 36%, inferiore a quella della popolazione più povera che versa invece un’aliquota effettiva poco sopra il 40%.
Questo
fenomeno è causato della composizione del sistema fiscale italiano. L’Irpef,
sebbene sia l’unica imposta progressiva, contribuisce solo al 25% del totale
delle imposte e delle tasse pagate e, per comprendere perché il sistema
fiscale sia regressivo, è necessario analizzare come il restante 75% delle
imposte incide sui contribuenti. Dal nostro studio possiamo riassumere
questa regressività del sistema basandoci su tre fattori principali.
Le
imposte indirette sui consumi, come l’Iva, rappresentano una
parte significativa delle entrate fiscali dello Stato, corrispondenti al 28%
del totale. Queste sono imposte totalmente regressive. La ragione è semplice: le
persone con redditi più modesti tendono a spendere la maggior parte del loro
reddito in consumi, senza poter risparmiare molto. Di conseguenza,
pagano un’ampia percentuale delle loro entrate sotto forma di tasse
indirette sui consumi. Al contrario, le persone più ricche destinano una
parte minore del loro reddito ai consumi, permettendo loro di risparmiare di
più. Di conseguenza, pagano una quota inferiore del loro reddito in
imposte sui consumi. Questo meccanismo rende le imposte indirette sui
consumi, come l’Iva, regressive.
Anche
i contributi sociali diventano regressivi per i livelli di reddito più
elevati. In teoria, i contributi sociali dovrebbero essere proporzionali ai
redditi da lavoro; tuttavia, esiste un massimale contributivo, per cui i
contributi sociali non devono essere più versati oltre i 100mila euro di
reddito da lavoro. Questo significa che per i redditi più alti, i contributi
rappresentano una quota sempre minore del reddito totale diventando perciò
regressivi.
Infine,
i redditi finanziari derivanti dagli investimenti, che sono predominanti
soprattutto tra i più ricchi, godono di un trattamento fiscale privilegiato.
Questi redditi sono soggetti solo a una flat tax inferiore rispetto alle
aliquote applicate sui redditi da lavoro e non sono soggetti a nessun
contributo sociale.
L’insieme
di questi tre fattori porta alla conseguenza che il sistema fiscale diventa
regressivo per il 5% degli italiani più ricchi, i quali si trovano soggetti
a un’aliquota effettiva che diminuisce man mano che il guadagno aumenta. Questa
aliquota raggiunge il minimo per il top dello 0,1%, che beneficia di
un’aliquota effettiva del 36%. Inoltre, è importante tenere presente che alti
redditi e grandi patrimoni sono strettamente correlati. Chi possiede grandi
patrimoni tende anche ad ottenere maggiori redditi, anche grazie a investimenti
finanziari e attività redditizie. Infatti, ordinando gli individui in base al
proprio patrimonio anziché al reddito, si osserva che il sistema fiscale è sempre
regressivo: l’aliquota fiscale è più elevata per coloro che hanno patrimoni
vicini allo zero o debiti, come i mutui da pagare, e diventa sempre più bassa,
raggiungendo il 36% per chi ha i patrimoni più elevati, con oltre 5 milioni di
patrimonio netto.
La
nuova riforma fiscale non risolve questa situazione, anzi la peggiora. Alla
luce di questi dati, ci si augurerebbe che il governo prendesse in
considerazione questi elementi per riordinare il sistema fiscale nel suo
complesso, rendendolo più equo, in modo che chi possiede di più contribuisca in
misura maggiore e chi ha meno venga assistito attraverso un carico fiscale
ridotto. Purtroppo, sembra che la prospettata riforma fiscale non si muova
affatto in questa direzione. Se analizziamo gli elementi principali della
riforma che in qualche modo influenzano la progressività, diventa chiaro che il
sistema potrebbe addirittura peggiorare. I tre elementi principali sono:
Revisione
delle aliquote Irpef – Questa revisione comporta la riduzione
delle aliquote da 4 a 3. Il problema sorge dal fatto che, riducendo le aliquote
per i redditi più modesti, non si affronta efficacemente la regressività per i
redditi più alti. Per rendere il sistema più progressivo, sarebbe necessario
introdurre aliquote più elevate per i redditi più alti anziché appiattire il
sistema su un’unica aliquota. Inoltre, l’Irpef è già poco efficace nel
garantire la progressività al top, poiché attualmente solo alcuni lavoratori
autonomi, insieme a pensionati e dipendenti, sono soggetti a un’imposta
progressiva. Alcuni lavoratori autonomi, infatti, possono optare per il regime
forfetario, il quale consente loro di pagare un’aliquota del 15% fino a redditi
di 85.000 euro, una percentuale molto inferiore rispetto agli altri cittadini
con redditi simili.
Revisione
delle aliquote Iva sui beni di prima necessità –
Questa misura ridurrà marginalmente il carico fiscale per i redditi più
modesti, ma non sarà in grado di correggere la regressività dell’Iva nel suo
complesso. Infatti, il problema principale non risiede tanto nell’aliquota,
bensì nel fatto che i redditi più elevati hanno la capacità di risparmiare di
più, e di conseguenza pagano meno Iva complessivamente. È proprio questo
fenomeno che contribuisce maggiormente alla regressività dell’IVA e non può
essere risolto esclusivamente attraverso una revisione delle aliquote per
alcuni beni.
Il
concordato preventivo biennale – L’idea dietro il
concordato consiste nel proporre al lavoratore autonomo un livello specifico di
reddito da dichiarare: accettando tale proposta, il contribuente, si impegna a
pagare le relative imposte per i due anni successivi, ottenendo come principale
vantaggio una ridotta probabilità di verifica fiscale. Questo implica che, una
volta accettato il concordato, il lavoratore autonomo sarà tenuto a pagare un
importo fisso di imposte, indipendentemente dal suo effettivo reddito. La
domanda da porsi quindi è: perché mai si dovrebbe accettare questa proposta? La
risposta è semplice: se il contribuente prevede di avere maggiori guadagni
nei due anni successivi, sarà incentivato ad accettare e, nel caso in cui
la sua previsione si riveli corretta, questo verserà meno imposte di quanto
avrebbe dovuto in assenza di concordato.
Come si risolve il problema della regressività quindi? Il sistema fiscale italiano necessita senz’altro di una revisione, ma gli attuali schemi proposti dal governo non sembrano adeguati. Ciò di cui abbiamo bisogno è un doppio approccio: da un lato, una diminuzione del carico fiscale per le fasce di reddito più basse e, dall’altro, per correggere la regressività del sistema, è fondamentale che coloro che hanno più risorse contribuiscano maggiormente. Serve coinvolgere tutti nel sistema fiscale in modo equo. Per raggiungere questo obiettivo, è necessaria un’imposta mirata che faccia contribuire equamente anche lo 0,1% più ricco del paese. Dato il considerevole patrimonio detenuto da queste persone, l’opzione più efficace sarebbe un’imposta sulle grandi fortune, applicata solo a coloro che possiedono più di 5,4 milioni di patrimonio netto. Questo garantirebbe l’esclusione completa della classe media e di coloro che hanno patrimoni e redditi più modesti. Un’imposta del genere, del solo 1,7% sulla porzione di patrimonio eccedente i 5,4 milioni, crescendo poi fino al 3,5% oltre i 20 milioni, genererebbe risorse addizionali per oltre 15 miliardi di euro all’anno, quasi il 2% del totale raccolto annualmente tramite imposte e tasse. Con queste risorse aggiuntive, potremmo investire non solo in sanità, ma anche in istruzione, politiche industriali o riduzione delle imposte per i redditi più modesti, rendendo così il sistema fiscale realmente progressivo.
Nessun commento:
Posta un commento