giovedì 28 novembre 2019

Ecco come nasce l’asse tra Grillo e i cinesi (c’entra la Casaleggio)


da: https://www.linkiesta.it/it/ - di Nicola Biondo

Beppe Grillo fu cacciato dalla Rai per una battuta sui socialisti, ma adesso che in Cina sono tutti grillini, come fa Pechino a non fallire? La foto con Gianroberto e l’ambasciatore nella sede della srl milanese


La domanda è: quando nasce l'asse tra il Movimento cinque stelle e la Cina?

La risposta è in questa foto scattata il 24 giugno 2013 nella quale compaiono i due fondatori, Gianroberto Casaleggio e Beppe Grillo, accanto all’ambasciatore cinese Ding Wei. Più che una stretta di mano sembra una rimpatriata tra vecchi amici, la stipula di un patto, una mano sopra l’altra.

È una foto poco conosciuta per una precisa volontà. Di quella visita infatti non fu data alcuna notizia, né sul blog di Grillo né agli organi di stampa. L’unica traccia è rimasta in un laconico comunicato pubblicato dall'Ambasciata cinese. Anche questo rimosso poco tempo dopo la pubblicazione (questo il link originale, http://it.chineseembassy.org/ita/xwdt/t1053951.htm).

L’ambasciatore cinese Wei affermava di aver incontrato i fondatori del M5s «con i quali ha scambiato vedute sui temi di comune interesse». L’incontro era informale e avvenne, non all’ambasciata cinese, ma nella sede della srl in via Morone a Milano.

Due particolari che fanno supporre che il rapporto fosse solido e presistente. Quali fossero però «i temi di comune interesse» non è mai stato esplicitato. È di certo l’attivismo

mercoledì 27 novembre 2019

U.E, Corrao (M5S) non vota la Von der Leyen: “squadra peggio di quella di Junker, siamo diventati la copia sbiadita del PD”



M5s, 4 eurodeputati non votano Von der Leyen. Corrao: “Squadra peggio di quella Juncker. Siamo diventati la copia sbiadita del Pd”

Il gruppo 5 stelle non ha sostenuto in maniera unanime la nuova commissione. Corrao e Pedicini si sono schierati contro, mentre Evi e D'Amato si sono astenute. Di Maio era stato avvertito la sera precedente, al momento i vertici non valutano sanzioni per la posizione di dissenso espressa dai parlamentari

Il Movimento 5 stelle si è spaccato in Europa sull’elezione della commissione Ue guidata da Ursula Von der Leyen. Dopo che avevano dato il via libera alla presidente a luglio scorso, oggi in quattro su 14 hanno deciso di far mancare il loro voto. Ignazio Corrao e Piernicola Pedicini hanno votato contro, mentre Eleonora Evi e Rosa D’Amato hanno deciso di astenersi. Luigi Di Maio è stato avvertito nella serata di ieri e ha cercato di far desistere i colleghi, ma senza successo.

La scelta nasce in un clima di forti malumori a Roma come in Europa dentro il gruppo del Movimento 5 stelle. Al momento i vertici dicono che non saranno valutati provvedimenti disciplinari perché “le loro sono solo posizioni di dissenso”. Proprio Corrao, considerato uno degli esponenti di riferimento del M5s in Europa, ha spiegato su Facebook con un lungo post la scelta di andare in direzione contraria al gruppo: “Me ne assumo la piena responsabilità politica“, ha esordito l’eurodeputato. “E’ una commissione peggio di quella di Juncker”. E ancora: “Siamo diventati la copia sbiadita del Pd”.
L’altro ad esporsi è stato Pedicini che ha messo in discussione le nomine in Europa del Pd che “hanno escluso i 5 stelle”. In generale per il gruppo 5 stelle è stata una scelta sofferta: “La fiducia che abbiamo deciso di dare oggi”, si legge nella nota ufficiale, “è una fiducia condizionata al rispetto della sua linea programmatica”.

I 5 stelle e il controllo sociale modello Cina



L'emendamento alla manovra di Bottici e Fenu, poi bocciato dalla Ragioneria generale, puntava a far gestire allo Stato l’identità digitale degli italiani. Copiando il sistema di sorveglianza della Repubblica popolare. Chissà se Grillo ne ha parlato con l'ambasciatore di Pechino a Roma.


Quando si dice ispirarsi a modelli democratici e liberali. Se per la nazionalizzazione dell’acqua pubblica (proposta di legge Daga), il modello del Movimento 5 stelle è stato il Venezuela di Maduro, per la gestione dell’identità digitale il modello è quello della Cina

IL TENTATIVO DI NAZIONALIZZARE IL SISTEMA SPID
Due senatori grillini, Laura Bottici, diplomata analista contabile all’Istituto professionale per il Commercio di Carrara, e Emiliano Fenu, commercialista nuorese, hanno infatti presentato un emendamento alla legge di Bilancio che punta a far gestire allo Stato l’identità digitale degli italiani. Nel piano ordito dai pentastellati, la nazionalizzazione di Spid, lo strumento ora privato che serve a questo scopo, dovrebbe avvenire attraverso PagoPa, struttura nata per centralizzare i pagamenti a favore della Pubblica amministrazione. La piattaforma è un caso unico in Europa, dove le amministrazioni hanno semplicemente optato per rapporti di concessione aperti con i circuiti di pagamento. 

I COSTI A CARICO DELLO STATO
In Italia, invece, come se la burocrazia non fosse già mortifera, si vuole creare un ulteriore

Mina e Fossati un album insieme: recensione



Mina Fossati, canzone per canzone
Abbiamo ascoltato in anteprima l'album che riporta il cantautore ligure sulle scene ad 8 anni dal ritiro, per collaborare con la grande voce


Ivano Fossati si era ritirato: l’ultimo concerto nel 2012, poi qualche collaborazione a distanza, e qualche canzone scritta qua e là, qualche progetto sparso. Chi avrebbe mai pensato ad un suo disco, nel 2019? E chi ad un disco intero con Mina, con cui si era solo incrociata qualche volta? Eppure, ha raccontato, i due avevano in progetto di lavorare assieme 20 anni fa, non se ne fece niente, ma Mina non ha mai dimenticato e ha tirato Fossati fuori dalla tana in cui si era ritirato.
In Mina Fossati c’è più quest’ultimo, anche solo per il fatto che ha scritto lui le canzoni. Poi le voci si inseguono, certe volte duettano, altre sono protagoniste quasi solitarie. Un disco d’altri tempi nella scrittura, che guarda alla storia di entrambi nei suoni, e guarda nel presente nei temi e nelle storie. Lo abbiamo ascoltato in anteprima: eccolo, canzone per canzone.

1. L’infinito di stelle
Piano e voce, molto semplice. Una canzone fossatiana che introduce il tema del presente che permea il disco: “Un caffè in due, qualche stella di carta/ E nel buio del cielo là fuori / È già domani/Ecco perché siamo qui”

2. Farfalle
Molto fossatiana anche questa canzone, nella cadenza e nella scansione delle strofe, tanto da ricordare la sua versione de “Le pioggia di marzo”. Ritmata e minimale, voce e chitarra, con una piccola invettiva alla stampa: “Se ne scrivono di cose/Dalle stelle alle stalle/Signori giornalisti Non rompeteci le.. /Farfalle farfalle/Il segno dell’estate/Arrivano le rondini/Appaiono le fate/Farfalle farfalle”
Anche se il tono è più giocoso: Il segno dell’estate/Arrivano le rondini/Appaiono le fate /Farfalle farfalle/L’aria dell’estate/S’accorciano le gonne delle prime fidanzate /Farfalle farfalle Farfalle farfalle…”

Guido Scorza: Privacy online, Tim Berners-Lee propone il ‘contratto per il web’. Ma è difficile che basti



Si chiama “contratto per il web” e si tratta di un nuovo “www” che, questa volta, non significa “world wide web” ma “web we wont”, il web che vogliamo.

È il progetto che dopo una lunga gestazione Tim Berners-Lee – il geniale papà del web creato e regalato al mondo poco più che trentenne – frattanto divenuto “Sir”, propone per salvare la sua stessa creatura dalle derive che ne hanno segnato la crescita e lo sviluppo negli ultimi decenni: “Se non riusciamo a difendere la libertà del web ‘aperto’, rischiamo una distopia digitale di disuguaglianza radicale e abuso dei diritti. Dobbiamo agire ora”, è l’accorato appello lanciato ieri via Twitter dal papà di una delle invenzioni che, più di ogni altra, ha cambiato la società e il corso della storia dell’umanità.

A year ago I called for governments, companies & citizens to come together to protect the web as a force for good.
Today, we launch the Contract for the Web — the first global plan of action to build the #WebWeWant.
— Tim Berners-Lee (@timberners_lee) November 25, 2019

E l’idea è, nella sostanza, quella di un nuovo contratto sociale per effetto del quale governi, Società private – colossi del web in primis – e cittadini del mondo potrebbero garantire uno sviluppo sostenibile della società globale attorno al web.

martedì 26 novembre 2019

Governo Conte 2, manovra finanziaria 2020: la tassa sulla plastica è una tassa idiota


Quando nei primi giorni del 2018 - governo Gentiloni - fu introdotto il pagamento dei sacchetti biodegradabili a parecchi, me compresa, girarono le palle.
Alcuni commentarono le reazioni nel web come esagerate. C’era altro di cui indignarsi, per cui incazzarsi. Dopo tutto, si trattava solo di un centesimo.

Il punto della questione non era però 1 centesimo o due o quattro. Il punto della questione era che il costo di quei sacchetti lo pagavamo già. I commercianti, le catene di supermercati, ribaltavano già quel costo su quello dei prodotti. Il “solo un centesimo” significava pagare due volte il sacchetto biodegradabile. Ergo: essere presi per il sedere.

Novembre 2019, manovra finanziaria del 2020. Stavolta tocca alla tassa sulla plastica. Che, ovviamente, aumenterà il prezzo dei prodotti.
Il governo Conte 2 - con l’eccezione di Renzi, impegnato giornalmente a picconarlo in attesa di staccargli la spina - sostiene che tale tassa è “virtuosa”. In questo modo si spingerebbero le aziende a sostituire la plastica con materiale compostabile. I contrari all’applicazione di questa tassa sostengono che bisognerebbe introdurre incentivi anziché applicare tasse per indurre all’abbandono della plastica. Tra i detrattori della tassa ci sono i produttori di plastica in Emilia Romagna. Poiché le elezioni regionali in questa regione sono a fine gennaio, la tassa sarà “rimodulata” o abolita.
Del resto, si tratta di una tassa idiota

La plastica - come i sacchetti - la paghiamo già. Non ci viene certo scontato il costo della plastica. Se verrà introdotta una tassa, il prezzo del prodotto aumenterà. Ma anche l’incentivo impatterà nelle nostre tasche.

lunedì 25 novembre 2019

Gli odiosi pregiudizi degli italiani sulla violenza sessuale contro le donne



Il 23,9% pensa che possano essere loro a provocare lo stupro con il modo di vestire. E il 10,3% ritiene che spesso le accuse siano false. Gli stereotipi da abbattere fotografati dall'Istat.

Pregiudizi odiosi e stereotipi pericolosi, da smontare pezzo dopo pezzo. Secondo l’Istat, per il 6,2% degli italiani le “donne serie” non vengono violentate.

Il 39,3% ritiene che una donna sia in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole. E il 23,9% – cioè quasi una persona su quattro – pensa che possano essere loro a provocare lo stupro con il modo di vestire, mentre il 15,1% è convinto che una donna che subisce violenza quando è ubriaca o sotto l’effetto di droghe sia almeno in parte responsabile.

I dati – inquietanti – sono contenuti nel report “Gli stereotipi sui ruoli di genere e l’immagine sociale della violenza sessuale”, diffuso dall’istituto di statistica in occasione della Giornata mondiale per l’eliminazione della violenza sulle donne.

Come se non bastasse, per il 10,3% della popolazione italiana spesso le accuse di violenza

Chi controlla i viadotti? Non esiste una mappa precisa dei rischi


da: https://www.corriere.it/ - di Marco Imarisio

L’agenzia per monitorare i 7.317 ponti e galleria italiani lanciata dall’ex ministro Toninelli è rimasta sulla carta. Il dossier del Cnr e l’inchiesta della procura genovese

A ogni emergenza meteo viene giù un pezzo di viadotto ligure. Durante la penultima, era la fine di settembre, dal ponte Bisagno dell’autostrada A12 si è staccato un pluviale, un tubo per lo scolo dell’acqua piovana, che è precipitato in mezzo a una strada della periferia di Genova. Il giorno dopo gli abitanti del quartiere hanno dato vita a un breve corteo per chiedere lumi sulle condizioni di quella striscia di asfalto che scorre sopra le loro teste. Peccato che non ci sia ancora nessuno a cui chiedere, a parte i gestori privati che nel recente passato non hanno certo dato grande prova di sé. Il passaggio «istantaneo» dalla logica dell’emergenza delle infrastrutture a quello della prevenzione annunciato nel trigesimo della tragedia del ponte Morandi dall’allora ministro Danilo Toninelli risulta ancora in corso oggi, a un anno e mezzo di distanza da quella mattina del 14 agosto. Doveva chiamarsi Ansfisa, complicato acronimo di Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie e delle infrastrutture stradali e avrebbe dovuto superare la vecchia e poco utilizzata Direzione generale per la vigilanza sui concessionari, carrozza pubblica di limitate risorse e ancor meno potere, impossibilitata com’era a operare veri controlli sulle 7.317 «opere d’arte», ovvero tutti i ponti, i viadotti e i tunnel che rientrano nelle concessioni dei 19 gestori autostradali in teoria monitorati dall’Anac.

domenica 24 novembre 2019

Il M5S può (o deve) fare solo opposizione?


Secondo alcuni, come Paolo Natale, autore dell’articolo che trovate nel post sotto, il M5S dovrebbe tornare a fare opposizione dura e pura contro le malefatte, pena: l’estinzione.

Non sono d’accordo.
Non riguarda solo il M5S, riguarda tutti i movimenti, partiti, associazioni che dir si voglia, che nascono come opposizione a un sistema politico e/o culturale (ogni sistema politico ha un sistema culturale o sottoculturale che lo supporta, lo mantiene, lo sviluppa). 

Si nasce “contro” purchè si abbiano valori, principi, idee, proposte. Ma questo paese ha l’urgenza di una classe politica che sappia governare, gestire.
Quindi, nel momento in cui il “contro” vince e arriva nella stanza dei bottoni, deve saper governare. Con errori, limiti, qualche contraddizione, ma dovrà saper realizzare in tempi ragionevoli e con gli inevitabili compromessi, ciò che lo distinguerebbe dal sistema che - temporaneamente - aveva sconfitto. 

A che serve opporsi a certi partiti, a un certo sistema politico, se non per cambiarlo. Si vuole l’opposizione permanente o si vuole governare, legiferare in modo differente verso una società diversa? Il potere non è amico. E’ uno strumento che devi saper usare. E’ tanto lusinghiero quanto ingannevole. Per questo devi possedere valori, principi, idee, capacità di proposta e di gestione. Nonché, capacità comunicativa.

Se un movimento, un partito, non sa “occupare la stanza dei bottoni” per realizzare i cambiamenti che chiedeva e/o urlava dall’opposizione, è condannato a perdere. A sparire.

Paolo Natale: Il declino dei 5 stelle (?)



Cosa sta accadendo al Movimento 5 stelle e, più in generale, a quei movimenti che, nati circa un decennio fa, sembravano poter mutare in maniera sensibile il modo di far politica, e il rapporto che si instaura tra attori politici e cittadini?

Non solo in Italia, ma anche in alcuni altri paesi europei (prima di tutto in Germania, con i Piraten, e poi in Spagna, con Podemus e Ciudadanos) erano nate “dal basso” forze politiche che si ponevano in netta ed evidente contrapposizione con i tradizionali partiti, con l’idea che per rivalutare la politica occorresse rimettere al centro i cittadini, gli elettori, impostando una rinascita a partire da loro stessi: uno vale uno. Niente più caste, niente più professionisti della politica, niente più consumati attori che recitavano su un loro palcoscenico senza interessarsi realmente al paese e ai suoi veri bisogni.

Solo cittadini che si impegnavano a intervenire personalmente, senza (troppi) tornaconti economici, senza sporcarsi troppo le mani con gli antichi giochi di potere, tentando di legiferare con azioni portate avanti dalla base, dai militanti, dagli attivisti. La politica dal basso, sottosopra. E gli eletti dovevano essere persone qualsiasi, senza appartenenze, dotate di senso comune e capaci di agire politicamente per cambiare le cose realmente, senza finzioni né patti con il Palazzo, come avrebbe detto Pasolini.

Ex Ilva: Conte conquista un tavolo, ma servirà un nuovo piano


da: Il Fatto Quotidiano - di Salvatore Cannavò

Verso l’azzeramento dei vecchi patti: adesso si profila la cassa integrazione

Abbiamo riaperto un tavolo, ma è solo un punto di partenza”. A palazzo Chigi si commenta così l’incontro con ArcelorMittal che riapre da capo i destini dell’Ilva. “Si avvierà una negoziazione che sarà faticosa e complicata, ci saranno tanti risvolti economici, produttivi, tecnici, giuridici...”ha detto Giuseppe Conte al termine di un confronto serrato, durato a lungo e conclusosi poco prima di mezzanotte.

Da una parte il presidente del Consiglio, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e quello dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli; dall’altra Lakshmie Aditya Mittal. I quali, ha annunciato Conte, “si sono resi disponibili ad avviare immediatamente una interlocuzione volta a definire un percorso condiviso sul futuro delle attività dello stabilimento ex Ilva”. Ieri mattina la conferma di Mittal: “Investco conferma che l’incontro tenutosi con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ed altri membri del Governo per discutere possibili soluzioni per gli impianti ex Ilva è stato costruttivo. Le discussioni continueranno con l’obiettivo di raggiungere al più presto un accordo per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto”.

Fin qui i convenevoli e le dichiarazioni di intenti. Ma la strada da percorrere è lunga e non è detto che la conclusione sarà positiva. Troppe le variabili ancora sul tavolo, troppi gli elementi da discutere, i conti di fare e i costi da valutare.

Giuseppe Conte, per far capire il proprio approccio, ha regalato a Lakshmi Mittal, padre di Aditya, una copia del suo libro L’impresa responsabile. Ma Mittal sembra soprattutto orientata a minimizzare i costi e ottenere vantaggi ben superiori a quelli ottenuti con la sigla, a settembre del 2018, del Verbale di accordo sull’Ilva.

A sentire l’umor e di palazzo Chigi, le preoccupazioni espresse ieri dal sindaco di Taranto e i paletti posti dal segretario della Cgil, Maurizio Landini, la preoccupazione è quanta occupazione sarà possibile conservare. La cifra di 2 o 3000 dipendenti di troppo non sembra campata in aria. “Quali che siano i numeri non si tratterà di esuberi, ricorreremo agli ammortizzatori sociali” assicurano al ministero dello Sviluppo economico. Mentre il governo si dice “disponibile a sostenere questo processo anche con misure sociali, ove mai necessarie, in accordo con le associazioni sindacali".

Antonio Padellaro: Care sardine, attente ai falsi amici pronti a cucinarvi


da: Il Fatto Quotidiano 

Adesso all’informazione tutta, e in primis a noi giornalisti, sarebbe consigliabile maneggiare con grande cautela il fenomeno delle “sardine”, esploso dieci giorni fa nella piazza di Bologna e che si avvia a spopolare da Nord a Sud, da Genova a Roma, a Napoli, a Palermo.

Chi fa questo mestiere (a cominciare da chi scrive) dovrebbe tenere le antenne sempre alzate (o se preferite l’orecchio a terra come gli indiani) per cogliere in tempo quelle particolari vibrazioni da cui potrebbero scaturire sommovimenti e movimenti, soprattutto se imprevisti.

Diciamo la verità, eravamo così concentrati a spaccare in quattro ogni sospiro di Salvini, Di Maio o Zingaretti che non ci siamo accorti di quanto stava maturando nel corpo di una generazione ormai lontana anni luce dai teatrini della politica, e dalle edicole. Ragion per cui eviteremo analisi tardive del sorprendente fenomeno in atto dedicandoci piuttosto a rievocare (con qualche flash soltanto) ciò che accadeva diciassette anni fa nelle strade e nelle piazze italiane. Protagonisti di allora potevano essere i padri o gli zii di chi oggi si ispira ai simpatici pesciolini azzurri: si chiamavano girotondi.

Per non farla tanto lunga ricorderò che il 14 settembre del 2002 piazza San Giovanni a Roma si riempì a tal punto che la folla invase altre strade e altre piazze nei dintorni e fu calcolata in centinaia di migliaia di persone. Una manifestazione convocata nell’arco di pochi giorni

giovedì 21 novembre 2019

MES (Meccanismo Europeo di Stabilità): Salvini e Di Maio, la “coppia” ritrovata ciurla nel manico…



La riforma che non piace a Salvini e Di Maio, senza che si capisca perché
Stanno attaccando duramente la riforma di un trattato europeo – il MES – che loro stessi avevano avviato e votato più di un anno fa

  
Il secondo governo Conte sta ricevendo molte critiche dall’opposizione ma anche da una parte importante della maggioranza a causa delle nuove regole in discussione in Europa per cambiare il Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), il fondo incaricato di aiutare i paesi in crisi che adottano l’euro, che da oltre un anno sta subendo un complesso processo di riforma.

Il primo a criticare la riforma è stato il capo della Lega Matteo Salvini, che ne ha parlato ieri così: «Il “Sì” alla modifica del MES sarebbe la rovina per milioni di italiani e la fine della sovranità nazionale». Il Movimento 5 Stelle ha reagito quasi immediatamente all’attacco di Salvini. Prima un gruppo di parlamentari ha criticato la riforma e chiesto al presidente del Consiglio Giuseppe Conte di riferire sulla materia. Il capo politico Luigi Di Maio si è subito schierato con i suoi deputati e oggi ha detto al Corriere della Sera che «una riforma del MES che stritola l’Italia non è accettabile».

Gli attacchi di Salvini e Di Maio sono arrivati in maniera abbastanza inaspettata, non solo perché in questo momento non ci sono novità particolari su questo fronte, ma anche poiché è la prima volta che i due leader politici – prima avversari, poi alleati, oggi di nuovo avversari – criticano una riforma con cui hanno avuto a che fare sin dall’inizio del suo percorso, nel giugno del 2018. I principi su cui si basa il testo in

lunedì 18 novembre 2019

Papa Francesco: il danno sociale dei dilitti economici, il peccato di ecocidio


Ecco un eccellente discorso - pieno di Verità - che non piacerà agli stolti. Cattolici o laici che siano.  
Solo Papa Francesco riesce ad analizzare la società attuale, ad affrontare con verità le distorsioni, le  incoerenze, le ingiustizie.
Quindi, non può piacere ai farisei.



Discorso ai partecipanti al XX Congresso Mondiale dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale

Circa lo stato attuale del diritto penale

Da vari decenni, il diritto penale ha incorporato – soprattutto da contributi di altre discipline – diverse conoscenze circa alcune problematiche legate all’esercizio della funzione sanzionatoria. Ad alcune di esse mi sono riferito nell’incontro precedente.

Tuttavia, malgrado questa apertura epistemologica, il diritto penale non è riuscito a preservarsi dalle minacce che, ai nostri giorni, incombono sulle democrazie e la piena vigenza dello Stato di diritto. D’altro canto, il diritto penale spesso trascura i dati della realtà e in questo modo assume la fisionomia di un sapere meramente speculativo

Vediamo due aspetti rilevanti del contesto attuale.
1. L’idolatria del mercato. La persona fragile, vulnerabile, si trova indifesa davanti agli interessi del mercato divinizzato, diventati regola assoluta (cfr Evangelii gaudium, 56; Laudato si’, 56). Oggi, alcuni settori economici esercitano più potere che gli stessi Stati (cfr Laudato si’, 196): una realtà che risulta ancora più evidente in tempi di globalizzazione del capitale speculativo. Il principio di massimizzazione del profitto, isolato da ogni altra considerazione, conduce a un modello di esclusione – automatico! - che infierisce con violenza su coloro che patiscono nel presente i suoi costi sociali ed economici, mentre si condannano le generazioni future a pagarne i costi ambientali.

domenica 17 novembre 2019

Gianni Bessi: Ex Ilva? Diventi fulcro del sistema di economia circolare


Mi chiedo, dopo aver letto questo articolo scritto da un consigliere regionale del Pd in Emilia Romagna, se i ministri chiamati da Conte a “portare idee” per gestire la patata bollente ArcelorMittal-ex Ilva, nonché il presidente del consiglio medesimo, abbiano delle proposte pertinenti e significative come quelle di Bessi, o brancolino nel buio totale della loro ignoranza e incapacità.



La proposta di Gianni Bessi, consigliere regionale Pd in Emilia-Romagna e autore del libro “Gas naturale. L’energia di domani” (Innovative Publishing), sull’ex Ilva

La vicenda Ilva finisce in tribunale ed è in buona posizione per diventare la causa del secolo. Ma i tempi della giustizia non si accordano con l’urgenza della situazione: dal primo gennaio l’Italia sarà priva di uno stabilimento che nel 2012 ha sfornato quasi 9 milioni di tonnellate di acciaio e deteneva oltre il 60 per cento delle quote del mercato. Ancora oggi, pur con la produzione ridotta, copre almeno al 40 per cento della richiesta italiana.

Il piano di spegnimento è stato comunicato ai sindacati ed Arcelor Mittal ha ufficialmente avviato la chiusura produttiva di quello che era il più grande stabilimento siderurgico europeo. Basterebbe qualche telefonata agli operatori del settore per capire che è già iniziata la corsa all’acquisto di acciaio da altri siti produttivi per coprire i fabbisogni che Ilva a breve non sarà più in grado di soddisfare.

Il primo effetto ovviamente riguarda i prezzi, che hanno ricominciato a salire per effetto delle contromosse degli altri produttori nazionali ed internazionali. È il momento di avere idee chiare e di fare presto. Perché oggi è già tardi.

È POSSIBILE SALVARE L’ILVA CON L’ECONOMIA CIRCOLARE

U.E, salvataggio banche: sì, se sono tedesche…



NordLb, per il salvataggio della banca tedesca interverrà lo Stato. L'Italia ancora una volta umiliata dalle "regole comuni"

Salvataggi bancari. Berlino può, gli altri muoiano…
di Claudio Conti - Contropiano

Quelli che l’Unione Europea ci insegnerà a rispettare le regole comuni, oh yeah…

Qualche tempo fa, qui in Italia, un bel gruppo di banche è andato ad un pelo dal fallimento e il salvataggio – essendo vietato l’intervento dello Stato, secondo le regole europee – è costato un patrimonio soprattutto a chi aveva depositanto i propri risparmi presso quelle banche. Particolarmente rilevante il caso di Banca Etruria – casualmente vicediretta dal padre di Maria Elena Boschi, fedele “fiancheggiatrice” di tal Matteo Renzi – che aveva convinto-costretto-turlupinato parecchi correntisti facendo loro sottoscrivere obbligazioni emesse dalla stessa banca e non vendibili sul mercato.

Si disse: per casi come questi le “regole europee” sono chiarissime: in sostanza, cavoli loro… Il meccanismo è diventato famoso come bail in, e Crozza – da buon genovese – ci ha costruito su diversi sketch.

Si dirà: beh, una regola dura, ma è una regola uguale per tutti, italiani e non…

Manco per niente. I tedeschi sono tedeschi, mica italiani. E quindi, se debbono salvare la NordLb – una della più grandi landesbanken del paese – possono fare come vogliono, con l’approvazione della Commissaria alla concorrenza, la presunta “dura” Margrete Vestager.

Lo smog è tra le principali cause di morte in Italia


da: https://www.agi.it/ - di Vincenzo Castellano

Secondo un report pubblicato da Lancet, tra le principali minacce per il Paese ci sono anche le ondate di calore e la riduzione del potenziale di resa delle colture

"Le principali minacce per l'Italia sono le morti per inquinamento atmosferico, le ondate di calore e la riduzione del potenziale di resa delle colture". Lo ha detto all'AGI Marina Romanello della University College London, una delle autrici del report pubblicato su The Lancet.

"Dagli anni '60, il potenziale di resa delle colture per il mais si è ridotto del 10,2 per cento, quello per il grano invernale è diminuito del 5 per cento, il potenziale del grano primaverile si è ridotto del 6 per cento, quello della soia è diminuito del 7 per cento e il potenziale di resa del riso è diminuito del 5 per cento", riferisce la scienziata, secondo la quale i numeri parlano chiaro.

 "L'Italia è esposta a livelli molto elevati di inquinamento atmosferico, che portano a circa 46.000 decessi prematuri a causa dell'esposizione al PM2,5. E' il più alto tasso di mortalità d'Europa - riferisce Romanello - e l'undicesimo più alto del mondo e ha causato una perdita di 20,2 milioni di euro in Italia".

Niente norma anti-Benetton, ora bisogna “salvare ” Alitalia


da: Il Fatto Quotidiano - di Carlo Di Foggia

L’emendamento Toninelli voleva una modifica che rendesse più facile la revoca delle concessioni autostradali: pure i 5 Stelle hanno detto di no

Due semplici commi da inserire nella manovra, ma con un effetto dirompente: eliminare lo scudo che oggi protegge la generosa concessione della Autostrade dei Benetton. Uno dei principali ostacoli alla revoca ipotizzata dal governo gialloverde, 5Stelle in testa, all’indomani del disastro del ponte Morandi, e oggi impossibile visto che il governo ha accettato di far salvare Alitalia anche ad Atlantia, la holding controllata dalla famiglia veneta.

Non è un caso che che il tentativo di riaprire la guerra ai Benetton si arrivato proprio da uno dei più contrari a quella scelta, Danilo Toninelli. Nei giorni scorsi l’ex ministro dei Trasporti ha cercato di presentare un emendamento alla legge di Bilancio, in discussione al Senato. Il tentativo in commissione Trasporti è però andato a vuoto: l’emendamento - hanno fatto intendere a Toninelli gli stessi senatori 5 Stelle - è “inopportuno”.

Il testo si aggancia all’articolo 91 della legge di bilancio, che riduce la deducibilità degli ammortamenti operati dai concessionari (vale 340 milioni nel 2020). Ci aggiunge due commi esplosivi. Il primo elimina l’approvazione per legge delle convenzioni, in primis quella di Autostrade, operata dal governo Berlusconi nella primavera 2008, appena insediato, in sede di conversione di un decreto del governo Prodi. La mossa blindò per legge dei contratti privati e servì a superare le critiche degli organi tecnici di controllo, col Parlamento tenuto all’oscuro della portata della novità.

Bologna, sardine» contro Salvini: come sono nate e perché si chiamano così


da: https://www.corriere.it/ - di Valentina Santarpia

L’idea di 4 trentenni non impegnati in politica, lanciata su Facebook, è diventata la protesta di migliaia di persone in piazza


Le sardine sono diventate il simbolo della protesta anti-Salvini, dopo la mobilitazione di giovedì sera a Bologna. Ma perché si chiamano così? E da dove viene l’idea? A spiegarla sono i quattro ideatori della chiamata, 4 trentenni- Mattia Santori, Andrea Garreffa, Giulia Trappoloni e Roberto Morotti- che in sei giorni hanno ideato uno slogan («L’Emilia Romagna non abbocca», ma anche «Bologna non si Lega») a sostegno di un simbolo, le sardine, piccoli pesci che si stringono e si spostano in gruppo. Di fronte allo «squalo» dell’ex ministro dell’Interno, le sardine rappresentano pesci piccoli e indifesi, che insieme però si muovono compatti e fanno quindi «massa». I partecipanti erano stati invitati a presentarsi in piazza con una sardina, disegnata su cartone. La mobilitazione era stata lanciata qualche giorno fa via Facebook, poi è stata rilanciata con volantinaggi e campagne social, tramite gruppi WhatsApp, e ha trasformato la piazza di Bologna da un raduno informale in una massa di protesta che adesso è già pronta al bis, a Modena.

La chiamata su Facebook
Il lancio era divertente quanto geniale: «Partecipa al primo flash mob ittico della storia», si leggeva sul gruppo «6000 sardine contro Salvini». La premessa era cronachistica: «L'ultima volta che Salvini è venuto a Bologna ha dichiarato che in Piazza Maggiore c’erano 100.000 persone a sostenerlo - scrivevano gli organizzatori - Una bufala colossale (saranno stati si e no 10.000) che però è in linea con lo stile della Lega di costruire consensi a partire dalla pancia e dalle bugie. Giovedì 14 novembre Salvini torna a Bologna e questa volta fa sul serio: vuole l’Emilia Romagna, vuole noi. Ma questa volta non può barare sui numeri. Già. Perché il Paladozza ha una capienza massima di 5.570 persone. Non puoi andare oltre, per problemi di sicurezza e soprattutto di spazio.

venerdì 15 novembre 2019

Venezia allagata: le città che possono insegnare come difendersi dall'acqua


da: https://www.agi.it/ - di Veronique Virgilio

Le città che possono insegnare a Venezia come difendersi dall'acqua
L'Olanda, la Russia, la Gran Bretagna e gli Usa possono ispirare la futura difesa della città lagunare attraverso modelli virtuosi e funzionanti

Dighe, polder, dune, sbarramenti: sono tanti gli impianti in servizio nel mondo per proteggere città e intere regioni da un eventuale innalzamento del livello delle acque, che in questi giorni infligge danni incalcolabili a Venezia: dall'Olanda, modello in questo settore, alla Gran Bretagna passando per Russia e Stati Uniti.

Olanda
Con un territorio per il 40% sotto il livello del mare, senza i suoi 18 mila chilometri di dighe, dune e sbarramenti l'Olanda sarebbe solo una grande palude e non la quinta economia dell'Eurozona. Da decenni non solo si sta proteggendo da un potenziale innalzamento del livello delle acque del Mare del Nord ma sta anche esportando le sue soluzioni in tutto il mondo, con 7 miliardi di fatturato annuo.

Nei Paesi Bassi, dopo la grande inondazione della Zelanda nel 1953, è stato realizzato il mega progetto del Piano Delta, andato avanti tra il 1954 e il 1997. Si tratta del più grande sistema al mondo di protezione dal mare a tutela della zona densamente popolata della foce del Reno, della Mosa e della Schelda. Il Piano Delta è costituito da 13 opere idrauliche diverse e innovative: 3 chiuse, 6 dighe e 4 barriere anti mareggiata. Sono tutt'ora una grande attrattiva e caratteristica dell'Olanda, oltre a collegare tra loro in maniera innovativa le isole.

Luca Casarini: "Basta fare di Venezia un luna park"


da: https://www.huffingtonpost.it/  - di Giuseppe Colombo

Intervista a Luca Casarini, veneziano e attivista No Mose: "Se è successo questo è colpa dell’incuria, dei miliardi buttati in una grande opera inutile come il Mose, solo un volano per intascare tangenti"

“Mi fa male vedere Venezia così perché Venezia è la mia città. Ma c’è anche tanta rabbia perché se è successo questo è colpa dell’incuria, dei miliardi buttati in una grande opera finta e inutile come è il Mose, solo un volano per intascare tangenti. Si dovrebbe smettere di trattare Venezia come un luna park”. Luca Casarin, volto storico del movimento no global e attivista No Mose, è uno che conosce bene Venezia. Perché a Venezia ci è nato. E proprio lui, quindici anni fa, da una spiaggia occupata nella zona di San Nicoletto, ha guidato l’occupazione dei cantieri della grande opera. “Già allora - dice in un’intervista a Huffpost - avevamo capito cosa sarebbe successo”.

Casarini, sono passati quindici anni da quella famosa occupazione. Venezia oggi ha rischiato di affondare e il Mose è ancora un’opera incompiuta, però da più parti è indicato come la soluzione. Pensa ancora che sia un’opera inutile?
“Mi lasci dire innanzitutto che anche se sono lontano da Venezia da tanti anni mi fa male vedere la città ridotta così perché Venezia è un bene inestimabile dell’umanità. Ed è sempre la mia città. Sono vicino ai veneziani, in queste ore penso a quello che stanno passando”. 

A che punto è il MOSE a Venezia?





Pochi giorni fa era stato rinviato uno degli ultimi collaudi, e ad oggi la consegna è prevista per la fine del 2021

Con l’allagamento straordinario di mercoledì a Venezia, dove l’acqua alta ha raggiunto i 187 centimetri sfiorando il massimo storico registrato durante l’alluvione del 1966, si è tornati a parlare del MOSE, l’imponente struttura in costruzione ormai da oltre quindici anni che dovrebbe riparare la città dall’alta marea. Secondo i suoi progettisti il MOSE, che sta per MOdulo Sperimentale Elettromeccanico, è quasi finito: ma anche gli ultimi cinque anni della sua storia sono stati caratterizzati da grandi ritardi e imprevisti che hanno aumentato lo scetticismo intorno a un’opera già controversa.

Attualmente l’opera è realizzata al 94 per cento, secondo i suoi costruttori, e la data annunciata per la sua entrata in funzione è la fine del 2021. Ancora mercoledì, dopo l’acqua alta, il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro ha ribadito l’urgenza dell’entrata in funzione dell’impianto.

Gli ultimi ritardi sono molto recenti. Soltanto a fine ottobre, infatti, era stato rinviato a data da definirsi un collaudo che prevedeva il sollevamento completo di una delle barriere che costituiscono la diga mobile del MOSE, quella della bocca di porto di Malamocco, uno dei tre passaggi che collegano la laguna di Venezia al mare, insieme a quelle del Lido e di Chioggia.

Mahmood: video, Barrio

mercoledì 13 novembre 2019

Internet: C’è un’emergenza invisibile da affrontare, guai a voltarsi dall’altra parte


da: https://www.ilfattoquotidiano.it - di Guido Scorza

È inquietante e fa riflettere l’edizione 2019 del rapporto Freedom on the net pubblicata nei giorni scorsi da Freedom House, think tank americano fondato nel 1941 da Eleonor Roosevelt.

L’immagine complessiva del web – social network in particolare – che ne esce è quella di un’enorme riserva di pesca nella quale gli utenti giocano il ruolo dei pesci e una pletora di soggetti pubblici e privati, in tutto il mondo, quello dei pescatori che, lanciando grandi reti a strascico, raccolgono quantità industriali di dati personali per gli scopi più disparati – anche se il rapporto si concentra quelli pubblici – e con esche di ogni genere orientano i banchi di pesci in una direzione o nell’altra a seconda delle esigenze politiche del momento. O, se si preferisce, per usare una metafora più digitale, l’immagine potrebbe essere quella della Rete e dei social network in particolare come un videogioco, il Pacman di altri tempi con i nostri dati personali nella veste dei puntini gialli dei quali è ghiotta la creatura sferica protagonista del gioco ormai cult.

Ma che l’immagine sia l’una oppure l’altra Freedom House non ha dubbi: la Rete, complessivamente, oggi, per il nono anno consecutivo, è meno libera che in passato e diritti e libertà fondamentali come quello alla privacy, alla parola e alla manifestazione del pensiero sono più in pericolo di sempre.

Sui 65 Paesi oggetto dello studio, nell’ultimo anno, in 47 le forze dell’ordine hanno