Cosa sta accadendo al Movimento 5 stelle e,
più in generale, a quei movimenti che, nati circa un decennio fa, sembravano
poter mutare in maniera sensibile il modo di far politica, e il rapporto che si
instaura tra attori politici e cittadini?
Non solo in Italia, ma anche in alcuni
altri paesi europei (prima di tutto in Germania, con i Piraten, e poi in
Spagna, con Podemus e Ciudadanos) erano nate “dal basso” forze politiche che si
ponevano in netta ed evidente contrapposizione con i tradizionali partiti, con
l’idea che per rivalutare la politica occorresse rimettere al centro i
cittadini, gli elettori, impostando una rinascita a partire da loro stessi: uno
vale uno. Niente più caste, niente più professionisti della politica, niente
più consumati attori che recitavano su un loro palcoscenico senza interessarsi
realmente al paese e ai suoi veri bisogni.
Solo cittadini che si impegnavano a
intervenire personalmente, senza (troppi) tornaconti economici, senza sporcarsi
troppo le mani con gli antichi giochi di potere, tentando di legiferare con
azioni portate avanti dalla base, dai militanti, dagli attivisti. La politica
dal basso, sottosopra. E gli eletti dovevano essere persone qualsiasi, senza
appartenenze, dotate di senso comune e capaci di agire politicamente per
cambiare le cose realmente, senza finzioni né patti con il Palazzo, come
avrebbe detto Pasolini.
Pareva così, inizialmente. Soprattutto in
Italia e Spagna questi movimenti sembravano trovare un buon appoggio dalla
popolazione elettorale, denunciando quel che di male c’era nella Politica
ufficiale, proponendo un percorso affatto differente: meno soldi, meno caste,
meno “mafia” parlamentare, desiderosa solamente di perpetuarsi nel tempo,
indifferente alle condizioni e alle richieste della cittadinanza.
Venivano così ben giudicati, questi
movimenti, che già alle prime consultazioni legislative, e poi alle
amministrative, riuscivano a sfondare la quota di consensi del 15, del 20 per
cento, ipotizzando una vera rivoluzione nel quadro politico tradizionale. Il
nuovo che avanzava iniziava a far paura ai vecchi partiti, che cercavano di
porre rimedio, a livello comunicativo, tacciandoli di qualunquismo, di
impreparazione, di qualche pressapochismo.
Il governo locale e poi quello centrale
erano le tappe successive di questa ondata di straordinaria novità. Ma poi, poi
qualcosa si è inceppato. Una volta giunti essi stessi al potere, o nei suoi
pressi, sono iniziate le difficoltà: l’arte del buon governo non si può
improvvisare, e deve essere accompagnata da idee forti sul paese,
sull’indirizzo delle politiche economiche e sociali, sulla capacità di gestire
l’estrema complessità delle nostre democrazie. Non bastano le parole, sia pure
“nuove”.
Così, si avvicina il declino, forse
irreversibile stando su quel lato della barricata, nei ruoli di comando. Se questi movimenti non tornano a fare ciò
in cui riescono meglio, l’antica opposizione dura e pura contro le malefatte
degli “altri”, rischiano di scomparire,
così repentinamente come sono nati. Il potere, se non si è ben preparati,
logora chi ce l’ha.
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