Non
si tratta solo di Roma. Della Roma criminale che ha visto
l’ennesimo omicidio per una storia di droga. È un clima generale quello che
ormai in Italia rende sempre più difficile per tutti affrontare la fatica della
vita quotidiana.
Sempre di più, infatti, capita ogni giorno
di dover sottostare ai comportamenti offensivi, aggressivi, illegali, talora
violenti, di troppi nostri concittadini. Specie nei centri urbani e nelle grandi città siamo circondati da persone che
sui mezzi pubblici, sui treni, si abbandonano
a comportamenti incivili e arroganti, si divertono a danneggiare sedili,
panchine, cassonetti e cestini dei rifiuti, cartelli stradali e quant’altro, a
scrivere sui muri qualunque cosa, a sporcare parchi e strade; che negli alloggi in specie dell’edilizia
popolare se ne infischiano di qualsiasi regola; che la sera schiamazzano fino a tardi nei luoghi della
movida, che addirittura non esitano a fare i loro bisogni in pubblico.
Siamo alle prese in ogni momento con automobilisti
e motociclisti che soprattutto la sera passano ai semafori con il rosso,
rompono i timpani con le loro sgassate e accelerazioni repentine o con le loro
autoradio a tutto volume: e anche loro come tutti gli altri, se qualcuno osa
protestare non ci pensano un secondo ad aggredirlo minacciando di passare alle
vie di fatto. Si aggiungono le molte periferie dove in pratica la sera scatta
il coprifuoco, dove specie per le donne è un rischio avventurarsi a piedi.
Ancora: intere zone delle città sequestrate dallo spaccio a causa di quell’uso
ormai di massa delle sostanze stupefacenti denunciato qualche giorno fa da
Antonio Polito proprio sul Corriere(8 milioni di consumatori!), per finire gli
atti più o meno gravi ma innumerevoli di bullismo
spicciolo, i mille disgusti e irritazioni frutto della micro violenza diffusa dovunque.
Insomma qui da noi la vita sociale moderna — che anche se
accresce la solitudine reale degli individui tuttavia moltiplica i contatti
interpersonali — rende sempre più evidente un dato: la maleducazione diffusa, l‘istinto di sopraffazione, il disprezzo
delle regole, che sembrano ormai radicati e quasi congeniti in Italia. Non
a caso molti studiosi parlano di un deficit storico nella Penisola di
«disciplinamento sociale», cioè di quel processo storico che — grazie
soprattutto all’azione delle Chiese e dello Stato assoluto — ha fatto sì che
all’inizio dell’età moderna, tra ‘5 e ‘600, cominciasse a svilupparsi nelle
masse una capacità di autoregolazione dei propri comportamenti in obbedienza a
norme imposte dall’alto per esigenze di ordine e di convivenza, di un minimo di
disciplinamento dei rapporti sociali e dei costumi. In Italia, però, tale
processo, per ragioni che qui è inutile indagare, ha avuto una portata debole e
limitata. Siamo rimasti una popolazione
tra le più ineducate del continente, con una scarsa propensione alla civile
convivenza, al rispetto verso gli altri. In generale con un’ancora più
scarsa attitudine ad obbedire alle regole e ai comandi dell’autorità. È il noto
anarchismo del carattere italiano, si dice, quasi a mo’ di giustificazione. Ma
non è così: si tratta piuttosto di sciatto menefreghismo e d’indifferenza
sprezzante, d’ incapacità di rinunciare al gesto violento e all’intimidazione
non appena si capisca che ce lo si può permettere.
Non appena si capisca cioè che non si rischia nulla. Questo è il punto
decisivo. Storicamente infatti il disciplinamento sociale di cui sto parlando è
stato anche il prodotto di un sistema di sanzioni, spesso anche assai dure.
Oggi quell’antico sistema è stato ovviamente cancellato, ma non è scomparso,
anzi si è in un certo senso di molto accresciuto il bisogno di regole di
convivenza e dei modi di farle rispettare. È vero, formalmente un sistema di
sanzioni esiste anche oggi, ma esso scatta
solo quando si arriva a fattispecie di reato particolarmente gravi. Di fatto, chi imbratta un muro o urina
all’angolo di una strada, chi danneggia una panchina o tiene un’autoradio a un
volume assordante, chi minaccia di aggredire lo sventurato che in una di queste
occasioni osa protestare, è sicuro della più assoluta impunità. Non solo ma
anche quando si arriva alla sanzione, questa o è di natura pecuniaria e finisce
virtualmente in un niente, ovvero si risolve in una condanna penale che grazie
ai tre gradi di giudizio, alla prescrizione, alla virtuale assenza di
detenzione fino a quattro anni, fa in pratica la stessa fine. È giusto? È
giusto, soprattutto, mi chiedo, che a subire le conseguenze di tutto questo
siano soprattutto le fasce più deboli della popolazione, le donne e le persone
anziane, chi vive nelle periferie o è più a contatto con situazioni di degrado?
Per tutta una serie di comportamenti diciamo così asociali, di violenza minuta ma di forte
impatto anche emotivo sulla qualità della vita quotidiana, un legislatore intelligente avrebbe da tempo pensato a un sistema
sanzionatorio specifico, diverso e più efficace rispetto a quello generale
vigente per le violazioni della legge più gravi. E se del caso avrebbe anche
pensato a proporre i necessari cambiamenti del dettato costituzionale (ricordo
che ne sono stati introdotti a decine). Avrebbe insomma fatto qualcosa invece
dell’inerzia che domina sovrana.
Un’inerzia e un’indifferenza che non
riguardano solo i legislatori in senso stretto, vale a dire i politici. Infatti
sollevare questi problemi — che, ripeto, sono i problemi che milioni d’italiani
avvertono quotidianamente con maggiore angustia — produce abitualmente in tutta
la classe dirigente del Paese, a cominciare dai soloni accreditati del discorso pubblico, dai padroni dei talk show
che vanno per la maggiore e dagli intellettuali pensosi della sorte della
democrazia, l’unico effetto di un’alzata di spalle o nel caso migliore di una
sorta di benevolo cenno di consenso destinato a lasciare invariabilmente il
tempo che trova. Non ci si rende conto che però così facendo si scherza davvero
con il fuoco, che la richiesta di vivere
in pace e al riparo dalla prepotenza, non
è una richiesta «securitaria», non è l’anticamera di alcuna «onda nera».
Che semmai proprio non facendo nulla si
lascia tutta questa materia infiammabile a disposizione della demagogia e
delle sue pericolose tentazioni. Non sarebbe in fin dei conti un ottimo antidoto al deprecato populismo
decidere di occuparsi un po’ di meno delle battute di Renzi e delle felpe di Salvini
e un po’ di più del popolo?
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