Due
storie su quello che successe il 9 novembre 1989, uno dei giorni più importanti
del Ventesimo secolo
La caduta del Muro di Berlino iniziò il 9
novembre 1989, trent’anni fa oggi. Fu uno degli eventi più importanti della
storia del Ventesimo secolo, un giorno che segnò la fine di uno dei più
importanti simboli della divisione del mondo tra est e ovest. La caduta del
Muro di Berlino fece anche capire a tutto il mondo che oramai i regimi
comunisti dell’Europa orientale avevano i giorni contati.
Quel giorno, per la prima volta dal 1961, quando
il Muro venne costruito, decine di migliaia di abitanti della parte
orientale della città si riversarono in quella occidentale. Gli incredibili
avvenimenti del 9 novembre 1989 furono causati da due eventi quasi fortuiti e
imprevedibili: l’errore di un funzionario della Germania orientale durante una
conferenza stampa e il buon senso di una guardia di frontiera.
La
conferenza stampa
Il Wall Street Journal ha
scritto che la caduta del Muro di Berlino è forse uno dei pochi eventi
nella storia che non furono soltanto raccontati, ma in una certa misura causati
dai giornalisti. Furono quattro giornalisti, infatti, a mettere alle strette un
importante funzionario della Germania orientale. Le loro domande lo misero così
tanto sotto pressione e lo mandarono in una tale confusione che il funzionario
fece un annuncio storico, e completamente sbagliato.
In quel momento la situazione per il
governo della Germania Est (la cosiddetta Repubblica Democratica Tedesca o DDR)
non era per niente facile: da mesi erano in corso grandi proteste contro il
regime comunista. Nella Germania orientale, all’epoca, non c’era democrazia o
libertà di parola. L’economia era stagnante e in difficoltà oramai da decenni.
Nell’ottobre del 1989, a Lipsia, in Germania Est, erano scese in piazza circa
250 mila persone: fu un avvenimento di grande portata, visto che in pratica nei
precedenti quarant’anni non si erano viste manifestazioni con più di una decina
di persone.
Il leader della Germania Est, Erich
Honecker, in carica dal 1971, si dimise il 18 ottobre. I suoi successori,
spaventati dalle proteste, cercarono di concedere qualcosa ai manifestanti nel
tentativo di mantenere in vita il regime.
Il Politburo – così si chiamava il gruppo
dirigente della DDR – decise di organizzare una conferenza stampa per
annunciare una serie di nuove riforme e di aperture nei confronti
dell’occidente. Robert McCartney, allora corrispondente del Washington Post, ha
ricordato come, insieme ad altre decine di giornalisti, quel giorno
cercasse di tenere traccia sul suo taccuino di tutte le piccole modifiche e
aperture che il portavoce del governo, Günter Schabowski, stava elencando. Lo
stile della DDR era lento e pomposo, e McCartney ricorda come tutti i presenti
alla conferenza stampa fossero annoiati. Nessuno pensava di essere a un passo
da uno dei momenti più importanti della storia del Novecento.
Improvvisamente, nel mezzo di uno di questi
elenchi, Schabowski fece una dichiarazione incredibile e inaspettata. Il
corrispondente dell’agenzia di stampa italiana ANSA, Riccardo Ehrman, chiese a
Schabowski se il governo non fosse pentito per una serie di restrizioni ai
viaggi verso alcuni paesi comunisti che poco tempo prima il governo aveva
imposto. Schabowski rispose che no, il governo non era pentito. Poi, leggendo
confusamente tra le sue carte, aggiunse: «Ah…oggi abbiamo deciso su un nuovo
regolamento che rende possibile per ogni cittadino della Repubblica Democratica
Tedesca di…uscire attraverso i posti di confine…della…Repubblica Democratica
Tedesca».
In altre parole, senza alcun preavviso e
con molta incertezza, il portavoce del governo tedesco sembrava stesse dicendo
a decine di giornalisti di tutto il mondo che il Muro di Berlino era caduto.
Immediatamente Schabowski venne messo sotto pressione da tutti i presenti. Il Wall
Street Journal ha ricordato i quattro giornalisti che furono al centro dei
minuti successivi.
Il primo fu l’italiano Ehrman, che aveva
fatto la prima domanda a Schabowski. Il secondo fu Peter Brinkmann, un
giornalista del quotidiano tedesco Bild, che per i minuti successivi continuò a
gridare domande a Schabowski, contribuendo a tenerlo sotto pressione. Il terzo
fu Krzysztof Janowski di Voice of America, il network radiotelevisivo
pubblico americano.
Janowski fece una domanda che si sarebbe
rivelata fondamentale nelle ore successive: chiese a Schabowski se le nuove
regole che rendevano possibili i viaggi tra est ed ovest si applicassero anche
a Berlino. Dovette ripeterla un paio di volte prima che il sempre più confuso
Schabowski rispondesse: «Sì, sì…», mentre cercava di leggere le carte che aveva
davanti. Il più importante dei quattro giornalisti, però, fu un uomo di cui
fino allo scorso ottobre non si conosceva nemmeno l’identità: per 25 anni è
stato soltanto una voce nella registrazione della conferenza stampa (si
tratterebbe di un ex giornalista e ora uomo d’affari di nome Ralph T. Niemeyer,
che all’epoca aveva vent’anni).
Niemeyer fece a Schabowski una domanda
fondamentale: «Da quando queste nuove misure avranno effetto?». Schabowski,
sempre più confuso, tornò a leggere di nuovo le sue carte e rispose: «Che io
sappia…dovrebbero…dovrebbero avere effetto immediatamente. Da ora». Quelle
parole divennero i titoli dei telegiornali della sera in tutta la Germania
occidentale. In breve la notizia si diffuse anche a est. Entro sera una folla gigantesca
si era radunata silenziosa e timorosa davanti ai checkpoint del Muro di
Berlino. La domanda che circolava era se il Muro fosse finalmente caduto.
Ma che cosa era accaduto con Schabowski? La
leadership della Germania Est, in realtà, non aveva nessuna intenzione di
consentire il libero passaggio verso la Germania Ovest e meno che mai di
abbattere il Muro. Durante una riunione che si era tenuta quello stesso
pomeriggio era stato deciso che sarebbe stato consentito il passaggio soltanto
a chi avesse ottenuto una serie di documenti (Schabowski tentò di sottolinearlo
durante la conferenza stampa, ma senza molta convinzione). Questa decisione
sarebbe dovuta entrare in vigore dalla mattina del 10 novembre.
In altre parole, per uscire da Berlino est
i tedeschi avrebbero dovuto aspettare la mattina del 10 novembre, raggiungere
un ufficio della polizia, ottenere i permessi di transito e (se ci fossero
riusciti) solo allora avrebbero potuto raggiungere i varchi di frontiera.
Schabowski però non aveva partecipato alla riunione e tutto ciò che aveva per
rispondere ai giornalisti erano pochi fogli che contenevano soltanto
l’incompleto comunicato stampa ufficiale. I giornalisti non gli diedero il
tempo di ragionare né di allontanarsi per chiedere ulteriori chiarimenti ai
suoi superiori. Così, quando Schabowski disse che le nuove regole si
applicavano sin da subito, non ci fu nulla che poté trattenere i berlinesi dal
raggiungere il confine.
Il
checkpoint
La sera del 9 novembre il tenente
colonnello della guardia di frontiera Harald Jäger stava mangiando in una mensa
ufficiali davanti alla televisione. Quando al notiziario sentì Schabowski
contraddirsi, annunciando prima che sarebbe stato possibile viaggiare verso
ovest dopo aver ottenuto appositi documenti e poi che sarebbe stato possibile
farlo sin da subito, Jäger raggiunse il suo posto di confine a Bornholmer
Strasse. Lungo la strada guardò preoccupato i piccoli capannelli di persone che
intanto si stavano formando e che si dirigevano verso il suo stesso posto di confine.
Jäger, che qualche anno fa raccontò
la sua storia al quotidiano britannico Independent, entrò nell’edificio
dove lo aspettavano i suoi uomini. Erano tutti armati di pistola e c’erano
fucili d’assalto pronti nell’armeria.
La folla non sembrava minacciosa. Qualcuna
delle persone presenti, più coraggiosa delle altre, si avvicinò al posto di
guardia e chiese se fosse possibile attraversare il confine.
Jäger chiamò i suoi superiori e chiese
spiegazioni. Gli venne ordinato di rimandare indietro chiunque non avesse i
documenti di viaggio per poter attraversare il confine. Alle 20, quando
andarono in onda i telegiornali della Germania Ovest (che si vedevano anche
all’Est) con i titoli tutti dedicati all’apertura dei confini, la folla davanti
a Bornholmer Strasse si fece sempre più grande. E sempre più rumorosa. Alle 21
c’era così tanta gente che tra le guardie di frontiera cominciò a diffondersi
il panico. Jäger chiamò di nuovo i suoi superiori: «Dobbiamo fare qualcosa!».
Ora anche i suoi comandanti erano nel panico. Nessuno sapeva cosa fare e dal
governo non arrivavano né ordini né istruzioni.
In quel momento, nelle sale del Politburo,
i leader della Germania Est stavano discutendo su cosa fare. C’era un’unica
soluzione possibile: autorizzare la polizia a disperdere la folla, con le armi
se necessario. Ma nessuno dei presenti accettò la responsabilità di dare l’ordine
di aprire il fuoco. Jäger rimase senza ordini a dover fronteggiare una folla
che diveniva più grande e più rumorosa ogni minuto.
L’unica soluzione che gli venne in mente fu
di cercare di separare i più rumorosi e farli passare al di là del Muro. Ma
quando i presenti capirono cosa stava succedendo, le grida raddoppiarono e i
berlinesi cominciarono ad avvicinarsi sempre di più al posto di controllo. Alle
23.30 la folla era oramai incontrollabile e Jäger prese l’unica decisione che a
quel punto gli sembrava possibile. Senza istruzioni dai suoi superiori, diede
ordine ai suoi uomini di aprire i varchi tra Berlino est e Berlino ovest.
Immediatamente una folla composta da decine
di migliaia di persone si riversò dall’altro lato, accolta dagli abitanti di
Berlino ovest che si erano radunati a partire dalle otto di sera in attesa
dell’arrivo dei loro vicini orientali. Jäger ha raccontato che i primi istanti
dopo l’apertura del confine per lui e per i suoi uomini furono terribili. Era
come se in quel preciso momento avessero assistito alla rovina e alla caduta
del loro mondo. Per i primi minuti Jäger si sentì quasi paralizzato da un
sentimento di umiliazione e di sconfitta. Ma dopo mezz’ora – dopo aver visto
gli abitanti di Berlino ovest accogliere i suoi concittadini con bottiglie di
champagne, fiori e cartelloni di benvenuto, dopo averli visti salire e ballare
sul Muro, dopo aver visto sconosciuti abbracciarsi, baciarsi e piangere di
gioia – anche Jäger e i suoi uomini divennero euforici. «La nostre lacrime di
frustrazione divennero lacrime di gioia», raccontò Jäger.
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