Ecco un eccellente discorso - pieno di
Verità - che non piacerà agli stolti. Cattolici o laici che siano.
Solo Papa Francesco riesce ad analizzare la
società attuale, ad affrontare con verità le distorsioni, le incoerenze, le ingiustizie.
Quindi, non può piacere ai farisei.
Discorso
ai partecipanti al XX Congresso Mondiale dell’Associazione Internazionale di
Diritto Penale
Circa
lo stato attuale del diritto penale
Da vari decenni, il diritto penale ha
incorporato – soprattutto da contributi di altre discipline – diverse
conoscenze circa alcune problematiche legate all’esercizio della funzione
sanzionatoria. Ad alcune di esse mi sono riferito nell’incontro precedente.
Tuttavia, malgrado questa apertura
epistemologica, il diritto penale non è riuscito a preservarsi dalle minacce
che, ai nostri giorni, incombono sulle democrazie e la piena vigenza dello
Stato di diritto. D’altro canto, il diritto penale spesso trascura i dati della
realtà e in questo modo assume la fisionomia di un sapere meramente speculativo
Vediamo
due aspetti rilevanti del contesto attuale.
1. L’idolatria
del mercato. La persona fragile, vulnerabile, si trova
indifesa davanti agli interessi del
mercato divinizzato, diventati regola assoluta (cfr Evangelii
gaudium, 56; Laudato
si’, 56). Oggi, alcuni settori
economici esercitano più potere che gli stessi Stati (cfr Laudato
si’, 196): una realtà che risulta ancora più evidente in tempi di
globalizzazione del capitale speculativo. Il principio di massimizzazione del profitto, isolato da ogni altra
considerazione, conduce a un modello
di esclusione – automatico! - che infierisce con violenza su coloro che
patiscono nel presente i suoi costi sociali ed economici, mentre si condannano
le generazioni future a pagarne i costi ambientali.
La prima cosa che dovrebbero chiedersi i
giuristi oggi è che cosa poter fare con il proprio sapere per contrastare
questo fenomeno, che mette a rischio le istituzioni democratiche e lo stesso
sviluppo dell’umanità. In concreto, la sfida presente per ogni penalista è
quella di contenere l’irrazionalità punitiva, che si manifesta, tra l’altro, in
reclusioni di massa, affollamento e torture nelle prigioni, arbitrio e abusi
delle forze di sicurezza, espansione dell’ambito della penalità, la
criminalizzazione della protesta sociale, l’abuso della reclusione preventiva e
il ripudio delle più elementari garanzie penali e processuali.
2.
I rischi dell’idealismo penale. Una delle maggiori sfide
attuali della scienza penale è il superamento della visione idealistica che
assimila il dover essere alla realtà. L’imposizione di una sanzione non può
giustificarsi moralmente con la pretesa capacità di rafforzare la fiducia nel
sistema normativo e nella aspettativa che ogni individuo assuma un ruolo nella
società e si comporti secondo ciò che da lui ci si attende.
Il diritto penale, anche nelle sue correnti
normativiste, non può prescindere da dati elementari della realtà, come quelli
che manifesta l’operatività concreta della funzione sanzionatoria. Ogni
riduzione di questa realtà, lungi dall’essere una virtù tecnica, contribuisce a
nascondere i lineamenti più autoritari dell’esercizio del potere.
Il
danno sociale dei delitti economici
Una delle frequenti omissioni del diritto
penale, conseguenza della selettività sanzionatoria, è la scarsa o nulla attenzione che ricevono i delitti dei più potenti, in
particolare la macro-delinquenza delle corporazioni. Non esagero con queste
parole. Apprezzo che il vostro Congresso abbia preso in considerazione questa
problematica.
Il capitale
finanziario globale è all’origine di gravi delitti non solo contro la proprietà
ma anche contro le persone e l’ambiente. Si tratta di criminalità
organizzata responsabile, tra l’altro, del sovra-indebitamento degli Stati e
del saccheggio delle risorse naturali del nostro pianeta.
Il diritto penale non può rimanere estraneo
a condotte in cui, approfittando di situazioni asimmetriche, si sfrutta una
posizione dominante a scapito del benessere collettivo. Questo succede, per
esempio, quando si provoca la diminuzione artificiale dei prezzi dei titoli di
debito pubblico, tramite la speculazione, senza preoccuparsi che ciò influenzi
o aggravi la situazione economica di intere nazioni (cfr Oeconomicae
et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa
alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario, 17).
Si tratta di delitti che hanno la gravità
di crimini contro l’umanità, quando conducono alla fame, alla miseria, alla
migrazione forzata e alla morte per malattie evitabili, al disastro ambientale
e all’etnocidio dei popoli indigeni.
La
tutela giuridico-penale dell’ambiente
È vero che la risposta penale arriva quando
il delitto è stato commesso, che con essa non si ripara il danno né si previene
la reiterazione e che di rado ha effetti dissuasivi. È vero pure che, per la
sua selettività strutturale, la funzione sanzionatoria ricade solitamente sui
settori più vulnerabili. Non ignoro neanche che c’è una corrente punitivista
che pretende di risolvere attraverso il sistema penale i più svariati problemi
sociali.
Invece, un elementare senso della giustizia
imporrebbe che alcune condotte, di cui solitamente si rendono responsabili le
corporazioni, non rimangano impunite. In particolare, tutte quelle che possono
essere considerate come “ecocidio”: la contaminazione
massiva dell’aria, delle risorse della terra e dell’acqua, la distruzione su
larga scala di flora e fauna, e qualunque azione capace di produrre un disastro
ecologico o distruggere un ecosistema. Dobbiamo
introdurre – ci stiamo pensando – nel Catechismo della Chiesa Cattolica il
peccato contro l’ecologia, il “peccato ecologico” contro la casa comune,
perché è in gioco un dovere.
In questo senso, recentemente, i Padri del
Sinodo per la Regione Panamazzonica hanno proposto di definire il peccato ecologico come azione oppure omissione contro Dio, contro il prossimo, la
comunità e l’ambiente. È un peccato
contro le future generazioni e si manifesta negli atti e nelle abitudini di
inquinamento e distruzione dell’armonia dell’ambiente, nelle trasgressioni
contro i principi di interdipendenza e nella rottura delle reti di solidarietà
tra le creature (cfr Catechismo
della Chiesa Cattolica, 340-344)[2].
Come è stato segnalato nei vostri lavori, per “ecocidio” si deve intendere la
perdita, il danno o la distruzione di ecosistemi di un territorio determinato,
in modo che il suo godimento per parte degli abitanti sia stato o possa vedersi
severamente pregiudicato. Si tratta di una quinta categoria di crimini
contro la pace, che dovrebbe essere riconosciuta tale dalla comunità
internazionale.
In questa circostanza, e per vostro
tramite, vorrei fare appello a tutti i leader e referenti nel settore perché
contribuiscano con i loro sforzi ad assicurare un’adeguata tutela giuridica
della nostra casa comune.
Circa
alcuni abusi di potere sanzionatorio
Per concludere questa parte, vorrei riferirmi
ad alcuni problemi che si sono aggravati negli anni trascorsi dal nostro
precedente incontro.
1.
L’uso improprio della custodia cautelare. Avevo segnalato con
preoccupazione l’uso arbitrario della carcerazione preventiva. Purtroppo la
situazione si è aggravata in diverse nazioni e regioni, dove il numero di
detenuti senza condanna già supera ampiamente il cinquanta per cento della
popolazione carceraria. Questo fenomeno contribuisce al deteriorarsi delle
condizioni di detenzione ed è causa di un uso illecito delle forze di polizia e
militari per questi fini. La reclusione preventiva, quando è imposta senza che
si verifichino le circostanze eccezionali o per un periodo eccesivo, lede il
principio per cui ogni imputato dev’essere trattato come innocente fino a che
una condanna definitiva stabilisca la sua colpevolezza.
2.
L’involontario incentivo alla violenza. In diversi Paesi sono
state attuate riforme dell’istituto della legittima difesa e si è preteso di
giustificare crimini commessi da agenti delle forze di sicurezza come forme
legittime del compimento del dovere. È importante che la comunità giuridica
difenda i criteri tradizionali per evitare che la demagogia punitiva degeneri
in incentivo alla violenza o in uno sproporzionato uso della forza. Sono
condotte inammissibili in uno Stato di diritto e, in genere, accompagnano i
pregiudizi razzisti e il disprezzo verso le fasce sociali di emarginazione.
3.
La cultura dello scarto e quella dell’odio. La cultura dello
scarto, combinata con altri fenomeni psico-sociali diffusi nelle società del
benessere, sta manifestando la grave tendenza a degenerare in cultura
dell’odio. Si riscontrano episodi purtroppo non isolati, certamente bisognosi
di un’analisi complessa, nei quali trovano sfogo i disagi sociali sia dei
giovani sia degli adulti. Non è un caso che a volte ricompaiano emblemi e
azioni tipiche del nazismo. Vi confesso che quando sento qualche discorso,
qualche responsabile dell’ordine o del governo, mi vengono in mente i discorsi
di Hiltler nel ’34 e nel ’36. Oggi. Sono azioni tipiche del nazismo che, con le
sue persecuzioni contro gli ebrei, gli zingari, le persone di orientamento
omossessuale, rappresenta il modello negativo per eccellenza di cultura dello
scarto e dell’odio. Così si faceva in quel tempo e oggi rinascono queste cose.
Occorre vigilare, sia nell’ambito civile sia in quello ecclesiale, per evitare
ogni possibile compromesso – che si presuppone involontario – con queste
degenerazioni.
4.
Il lawfare. Si verifica periodicamente che si faccia ricorso a
imputazioni false contro dirigenti politici, avanzate di concerto da mezzi di
comunicazione, avversari e organi giudiziari colonizzati. In questo modo, con
gli strumenti propri del lawfare, si strumentalizza la lotta, sempre
necessaria, contro la corruzione col fine di combattere governi non graditi,
ridurre i diritti sociali e promuovere un sentimento di antipolitica del quale
beneficiano coloro che aspirano a esercitare un potere autoritario.
E nello stesso tempo, è curioso che il ricorso
ai paradisi fiscali, espediente che serve a nascondere ogni sorta di delitti,
non sia percepita come un fatto di corruzione e di criminalità organizzata.
Analogamente, fenomeni massicci di appropriazione di fondi pubblici passano
inosservati o sono minimizzati come se fossero meri conflitti di interesse.
Invito tutti a riflettere a questo riguardo.
Appello
alla responsabilità
Desidero rivolgere un invito a tutti voi,
studiosi del diritto penale, e a quanti, nei diversi ruoli, sono chiamati ad
assolvere funzioni concernenti l’applicazione della legge penale. Tenendo
presente che scopo fondamentale del diritto penale è tutelare i beni giuridici
di maggiore importanza per la collettività, ogni compito e ogni incarico in
questo ambito ha sempre una risonanza pubblica, un impatto sulla collettività.
Questo richiede e implica al tempo stesso una più grave responsabilità per
l’operatore di giustizia, in qualunque grado esso si trovi, dal giudice, al
funzionario di cancelleria, all’agente della forza pubblica.
Ogni persona chiamata ad assolvere un
compito in questo ambito dovrà tenere continuamente presente, da un lato, il
rispetto della legge, le cui prescrizioni sono da osservare con un’attenzione e
un dovere di coscienza adeguati alla gravità delle conseguenze. D’altro lato,
occorre ricordare che la legge da sola non può mai realizzare gli scopi della
funzione penale; occorre anche che la sua applicazione avvenga in vista del
bene effettivo delle persone interessate. Questo adeguamento della legge alla
concretezza dei casi e delle persone è un esercizio tanto essenziale quanto
difficile. Affinché la funzione giudiziaria penale non diventi un meccanismo
cinico e impersonale, occorrono persone equilibrate e preparate, ma soprattutto
appassionate – appassionate! - della giustizia, consapevoli del grave dovere e
della grande responsabilità che assolvono. Solo così la legge – ogni legge, non
solo quella penale – non sarà fine a sé stessa, ma al servizio delle persone
coinvolte, siano essi i responsabili dei reati o coloro che sono stati offesi.
Al tempo stesso, operando come strumento di giustizia sostanziale e non solo
formale, la legge penale potrà assolvere il compito di presidio reale ed
efficace dei beni giuridici essenziali della collettività. E dobbiamo andare, certamente,
verso una giustizia penale restaurativa.
Verso
una giustizia penale restaurativa
In ogni delitto c’è una parte lesa e ci
sono due legami danneggiati: quello del responsabile del fatto con la sua
vittima e quello dello stesso con la società. Ho segnalato che tra la pena e il
delitto esiste una asimmetria e che il compimento di un male non giustifica
l’imposizione di un altro male come risposta. Si tratta di fare giustizia alla
vittima, non di giustiziare l’aggressore.
Nella visione cristiana del mondo, il
modello della giustizia trova perfetta incarnazione nella vita di Gesù, il
quale, dopo essere stato trattato con disprezzo e addirittura con violenza che
lo portò alla morte, in ultima istanza, nella sua risurrezione, porta un
messaggio di pace, perdono e riconciliazione. Questi sono valori difficili da
raggiungere ma necessari per la vita buona di tutti. E riprendo le parole che
ha detto la Professoressa Severino sulle carceri: le carceri devono avere
sempre una “finestra”, cioè un orizzonte. Guardare ad un reinserimento. E si
deve, su questo, pensare a fondo al modo di gestire un carcere, al modo di
seminare speranza di reinserimento; e pensare se la pena è capace di portare lì
questa persona; e anche l’accompagnamento a questo. E ripensare sul serio
l’ergastolo.
Le nostre società sono chiamate ad avanzare
verso un modello di giustizia fondato sul dialogo, sull’incontro, perché là
dove possibile siano restaurati i legami intaccati dal delitto e riparato il
danno recato. Non credo che sia un’utopia, ma certo è una grande sfida. Una
sfida che dobbiamo affrontare tutti se vogliamo trattare i problemi della
nostra convivenza civile in modo razionale, pacifico e democratico.
Cari amici, vi ringrazio per tre cose: per
la vostra doppia pazienza: di aspettare un’ora e, l’altra pazienza, di
ascoltare questo lungo discorso. E vi ringrazio per questo incontro. Grazie. Vi
assicuro che continuerò a esservi vicino in questo arduo lavoro al servizio
dell’uomo nell’ambito della giustizia. Non c’è dubbio che, per coloro che tra
voi sono chiamati a vivere la vocazione cristiana del proprio Battesimo, questo
è un campo privilegiato di animazione evangelica del mondo. Tutti, anche coloro
che tra di voi non sono cristiani, abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio, sorgente
di ogni ragione e giustizia. Invoco per ognuno di voi, per intercessione della
Vergine Madre, la luce e la forza dello Spirito Santo. Vi benedico di cuore e,
per favore, vi chiedo di pregare per me. Grazie.
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