da: https://left.it/
- di Stefano Galieni
La
farsa crudele del rinnovo “con modifiche” dell’accordo Italia-Libia sui
migranti
Di fronte al rinnovo del Memorandum osceno tra Italia e sedicente governo libico,
quello riconosciuto dalla Comunità internazionale ma che non controlla che parti marginali di quell’immenso Paese, (il
quarto in Africa per estensione) c’è da rabbrividire davanti all’ipocrisia
governativa. Proviamo a spiegare le ragioni partendo forse da lontano, per
arrivare al presente.
Un presupposto è necessario. La Libia, come comunemente la chiamiamo
non esiste, è morta con l’uccisione del
suo dittatore Muhammar al Gheddafi. La Libia
è una invenzione coloniale italiana realizzata nel 1911 che nel quadro
delle spartizioni coloniali, ebbe la possibilità di prendere tre regioni
distinte, Tripolitania, Cirenaica e poi Fezzan e unificarli in un unico Stato.
Neanche nel periodo del regno di Re Idriss (fino al 1969 con il golpe di
Gheddafi) si riuscì a creare un vero e proprio Stato libico, impresa riuscita al
dittatore caduto nel 2011 attraverso una particolare gestione di un processo
definito “rivoluzionario”.
La Libia di oggi sembra essere un ritorno
al passato. Milizie e divisioni tribali
parcellizzate, interessi internazionali, legati non solo al controllo delle
fonti energetiche, traffici di petrolio (raffinato o meno), di armi, di droga e
di persone, sono i reali fattori economici di un Paese attraversato da una vera
e propria guerra civile. In cui, oltre le fazioni più forti e quotate nel gioco
micidiale della geopolitica, rivestono un ruolo micidiale alleanze e scontri
fragili e friabili.
Ebbene, con un Paese in così tragiche condizioni, in cui l’autorità
riconosciuta a livello internazionale, il Governo
di accordo nazionale (Gna), di Mustafà al Serraj, non controlla neanche
l’intera città di Tripoli e sopravvive unicamente grazie ai finanziamenti
dall’estero e ad accordi temporanei con alcune delle forze che lo contrastano,
l’Europa stringe accordi e l’Italia firma Memorandum di durata triennale.
Ci si riferisce ovviamente al Memorandum of understanding (Mou) che
sarebbe dovuto servire a fermare
l’ingresso illegale di richiedenti asilo in Europa. Missione in parte riuscita, verrebbe da dire cinicamente, almeno 40mila persone partite dai porti libici sono
stati riprese e riportate nei campi di detenzione del Paese, finanziati dal governo italiano con centinaia di milioni
di euro che servono a pagare gli aguzzini (che continuano a fare i trafficanti)
a fornire mezzi militari come le motovedette, ad addestrare personale.
Ora ad accordo
“tacitamente” rinnovato – i tempi per stralciarlo come abbiamo scritto sono
scaduti il 2 novembre – si parla di modifiche
da effettuare e si chiede al governo libico di discuterne. Ora, al di là
dei tempi necessari – ogni giorno si traduce in ulteriori lutti provocati – si tratta di una promessa o falsa, per silenziare la parte più sensibile
dell’opinione pubblica, o irrealizzabile in queste condizioni. La
Commissione che si dovrebbe riunire è mista e composta da egual numero di
membri per ciascun Paese. Da parte libica è già stata chiarita la disponibilità
a discutere ma a condizione di veder tutelati gli interessi libici. La
traduzione? Poca disponibilità ad
interferenze sul proprio territorio rispetto ai centri di detenzione, fondi
maggiori per la cosiddetta Guardia costiera, eliminazione dell’intralcio delle Ong (è già stato chiarito che
dovranno chiedere il permesso a Tripoli prima di effettuare soccorsi) maggiori
finanziamenti per il controllo dei propri confini.
Il rischio
verso cui si va, ammettendo che il
governo Serraj regga al punto da poter arrivare alle sempre rinviate
elezioni nazionali, è quello di finanziare,
come in Turchia, alcuni centri ben tenuti in cui si dimostra che la Libia
rispetti i diritti umani, ma in cui finiranno pochi fortunati. Il rischio è
quello che il governo si senta in pace
con la coscienza avendo la possibilità di far giungere in Italia poche
centinaia di persone dalla Libia, quelle ritenute le più vulnerabili in una
terribile selezione fra sommersi e salvati.
Il rischio è che ci si accontenti della presenza in Libia di un numero maggiore di
funzionari delle organizzazioni umanitarie internazionali che potranno
muoversi soltanto seguendo le indicazioni (ordini) di chi amministra il
territorio. Per il resto la Libia resterà un carcere a cielo aperto, i soprusi
e le violenze all’ordine del giorno, la detenzione irregolare la norma.
Saranno
questi i miglioramenti del Memorandum? E se, in caso di
richieste più puntuali il governo libico si opponesse e i trafficanti in divisa
come quelli ricevuti nel 2017, cominciassero a mandare significativi segnali
incrementando le partenze? Il governo italiano sarebbe disposto a non cedere al
ricatto? Cosa accadrebbe in Parlamento? E soprattutto si potrebbe contare su un
sostegno europeo e una missione continentale per salvare in
mare chi fugge togliendo potere contrattuale ai trafficanti e garantendo
ingressi sicuri e legali? Difficile
crederci. Se e quando nel Parlamento italiano si voteranno le proposte di
modifica del Mou, il posizionamento delle forze politiche e dei singoli,
renderà più chiara la distanza fra chi ha compreso la portata delle vicende
libiche e chi pensa unicamente agli immediati interessi di bottega.
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