da: Il Fatto Quotidiano -
di Salvatore Cannavò
Verso
l’azzeramento dei vecchi patti: adesso si profila la cassa integrazione
Abbiamo riaperto un tavolo, ma è solo un
punto di partenza”. A palazzo Chigi si commenta così l’incontro con
ArcelorMittal che riapre da capo i destini dell’Ilva. “Si avvierà una
negoziazione che sarà faticosa e complicata, ci saranno tanti risvolti
economici, produttivi, tecnici, giuridici...”ha detto Giuseppe Conte al termine
di un confronto serrato, durato a lungo e conclusosi poco prima di mezzanotte.
Da una parte il presidente del Consiglio,
il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri e quello dello Sviluppo economico,
Stefano Patuanelli; dall’altra Lakshmie Aditya Mittal. I quali, ha annunciato
Conte, “si sono resi disponibili ad avviare immediatamente una interlocuzione
volta a definire un percorso condiviso sul futuro delle attività dello
stabilimento ex Ilva”. Ieri mattina la conferma di Mittal: “Investco conferma
che l’incontro tenutosi con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ed altri
membri del Governo per discutere possibili soluzioni per gli impianti ex Ilva è
stato costruttivo. Le discussioni continueranno con l’obiettivo di raggiungere
al più presto un accordo per una produzione sostenibile di acciaio a Taranto”.
Fin qui i convenevoli e le dichiarazioni di
intenti. Ma la strada da percorrere è lunga e non è detto che la conclusione sarà
positiva. Troppe le variabili ancora sul tavolo, troppi gli elementi da discutere,
i conti di fare e i costi da valutare.
Giuseppe Conte, per far capire il proprio
approccio, ha regalato a Lakshmi Mittal, padre di Aditya, una copia del suo libro L’impresa responsabile. Ma Mittal sembra soprattutto orientata a
minimizzare i costi e ottenere vantaggi ben superiori a quelli ottenuti con la
sigla, a settembre del 2018, del Verbale di accordo sull’Ilva.
A sentire l’umor e di palazzo Chigi, le
preoccupazioni espresse ieri dal sindaco di Taranto e i paletti posti dal
segretario della Cgil, Maurizio Landini, la preoccupazione è quanta occupazione
sarà possibile conservare. La cifra di 2 o 3000 dipendenti di troppo non sembra
campata in aria. “Quali che siano i numeri non si tratterà di esuberi, ricorreremo
agli ammortizzatori sociali” assicurano al ministero dello Sviluppo economico. Mentre
il governo si dice “disponibile a sostenere questo processo anche con misure
sociali, ove mai necessarie, in accordo con le associazioni sindacali".
Duemila unità, del resto, era la differenza
tra la prima e la seconda offerta di Arcelor-Mittal (8.000 e 10.000) che poi,
in sede di trattativa finale, firmò l’accordo con 10.700 addetti da assumere.
Il rischio che si possa tornare indietro è alto e non è un caso che Landini
insista sulla salvaguardia della base occupazionale e chieda la garanzia dell’intervento
pubblico.
“Questa ossessione di far entrare il
pubblico per controllare l’azienda è l’ossessione di mettere soldi pubblici dove
avrebbe dovuto metterli il privato” scrive su Twitter il segretario della Fim-Cisl
Marco Bentivogli che pure è d’accordo sulla salvaguardia dell’occupazione.
Di “scudo penale” nell’incontro dell’altra
sera non si è parlato, segno che ormai il contenzioso riguarda come garantire a
Mittal la convenienza dell’investimento più che gli aspetti legali. Per questo il
secondo nodo complicato è quello, come spiega ancora Conte, “di un
coinvolgimento pubblico in ragione dell’importante ruolo dell’Ilva
nell’economia italiana”.
L’intervento pubblico equivale a un
ulteriore costo per lo Stato e quindi a un alleggerimento dei conti per Mittal.
Ad oggi non è ancora chiaro la forma che questo intervento potrà assumere, se tramite
la Cassa Depositi e Prestiti oppure con un intervento più specifico di
Fincantieri o altro ancora.
Ma la questione è ormai posta e, un po’ alla
volta, si rischia di tornare all’offerta di acquisto dell’Ilva, quella di AcciaItalia,
che fu scartata dai commissari, sotto la supervisione dell’allora ministro Carlo
Calenda, formata da Jindal, Arvedi e dalla Cdp. Allora fu scelta Mittal perché offriva
di più anche se il piano industriale della concorrente era migliore. Lo ha
sottolineato polemicamente ieri, intervenendo alla festa del Foglio, Matteo
Renzi:“Qualcuno ha scelto, sbagliando, e oggi fa finta di niente, dando più valore
al prezzo che al ritorno di quell'investimento” ha detto l’ex premier
affondando il colpo contro Calenda oggi si suo rivale politico.
Ma al di là delle contraddizioni del
passato, su cui però sarà anche utile fare più chiarezza, il problema è la
strada in salita che si presenta per risolvere il nodo di Taranto. A spostare
l’azienda e convincerla a trattare è stata certamente anche l’azione della magistratura
e infatti il governo ha garantito che per avviare la trattativa “inviterà i
commissari dell’Ilva ad acconsentire a una breve dilazione dei termini
processuali e a un rinvio dell’udienza fissata per il prossimo 27 novembre
dinanzi al Tribunale di Milano. Ma ArcelorMittal devemantenere “il normale
funzionamento degli impianti” e “garantire la continuità produttiva anche
durante la fase negoziale".
E ieri sera una nota di agenzia faceva
sapere che “nell’acciaieria ex Ilva di Taranto gli ordinativi dei clienti nella
settimana appena conclusa sono soddisfacenti, la produzione è in marcia secondo
un normale livello di funzionamento degli impianti e le materie prime sono
state ordinate secondo i consueti programmi di approvviggionamento.
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