Mi chiedo, dopo aver letto questo articolo
scritto da un consigliere regionale del Pd in Emilia Romagna, se i ministri
chiamati da Conte a “portare idee” per gestire la patata bollente ArcelorMittal-ex
Ilva, nonché il presidente del consiglio medesimo, abbiano delle proposte
pertinenti e significative come quelle di Bessi, o brancolino nel buio totale della loro ignoranza e
incapacità.
La
proposta di Gianni Bessi, consigliere
regionale Pd in Emilia-Romagna e autore del libro “Gas naturale. L’energia di domani” (Innovative
Publishing), sull’ex Ilva
La vicenda Ilva finisce in tribunale ed è
in buona posizione per diventare la causa del secolo. Ma i tempi della
giustizia non si accordano con l’urgenza della situazione: dal primo gennaio
l’Italia sarà priva di uno stabilimento che nel 2012 ha sfornato quasi 9
milioni di tonnellate di acciaio e deteneva oltre il 60 per cento delle quote
del mercato. Ancora oggi, pur con la produzione ridotta, copre almeno al 40 per
cento della richiesta italiana.
Il piano
di spegnimento è stato comunicato ai sindacati ed Arcelor Mittal ha ufficialmente avviato la chiusura
produttiva di quello che era il più grande stabilimento siderurgico
europeo. Basterebbe qualche telefonata agli operatori del settore per capire
che è già iniziata la corsa all’acquisto
di acciaio da altri siti produttivi
per coprire i fabbisogni che Ilva a breve non sarà più in grado di soddisfare.
Il primo effetto ovviamente riguarda i prezzi, che hanno ricominciato a salire per effetto delle contromosse
degli altri produttori nazionali ed internazionali. È il momento di avere idee
chiare e di fare presto. Perché oggi è già tardi.
È
POSSIBILE SALVARE L’ILVA CON L’ECONOMIA CIRCOLARE
È possibile salvare l’Ilva (Startmag
12.11.19) modificandola rispetto a com’è adesso? La risposta è sì e l’ipotesi è
ancora più attuale tenuto conto che Arcelor Mittal sarebbe comunque disposta a
tenersene una metà. La sfida è quella di iniziare un’operazione di riconversione articolata che punti a recuperare
una produzione efficiente di acciaio ma
ridimensionando il sito (e bonificandolo), costruendo una nuova catena a monte.
L’obiettivo è trasformare l’Ilva nella
piattaforma italiana (e del sud Europa) di economia circolare per alcuni
ambiti oggi non affrontati che richiedono interventi di scala.
LE
ATTIVITÀ ‘GREEN’ PER UN’ILVA RINNOVATA
Il riciclo
del settore automotive e in particolare carrozzerie e altri componenti e
rottami metallici che andrebbero ad alimentare il forno elettrico chiudendo
un primo cerchio; partendo da una posizione vantaggiosa visto che l’Italia è
già all’avanguardia nell’economia circolare da rottami ferrosi.
Il riciclo
fotovoltaico, visto che fra pochi
anni ci ritroveremo con migliaia di pannelli fotovoltaici da smontare e
riciclare. Non siamo preparati, non
abbiamo infrastrutture e nessuno dei piccoli produttori sta accantonando le
risorse per il decommissioning (questo è per esempio un provvedimento che
andrebbe messo in cantiere per non ritrovarsi con impianti abbandonati i cui
proprietari sono andati con i soldi degli incentivi). In questo caso abbiamo
sia alluminio, sia silicio, sia rame, sia vetro da recuperare.
Il ciclo
delle batterie per stoccaggio dell’elettricità e per le automobili. Non
passerà molto tempo che dovremo cominciare a preoccuparci di recuperare il litio delle batterie esauste
dei mezzi di trasporto. Se si diffonde come immaginiamo la mobilità elettrica, il litio diventerà una risorsa scarsissima
(oggi il primo produttore è il Cile ma non ha molta capacità aggiuntiva;
inoltre è una produzione ambientalmente impattante). Questa può essere una
opportunità a livello europeo.
Gli pneumatici, un altro problema irrisolto
e su cui insiste anche la normativa dell’end of waste. I cicli industriali di recupero e smaltimento di fanghi, residui
industriali, etc, come si fa per esempio nel polo di Ravenna. Un field per
l’implementazione, lo sviluppo e la manutenzione del campo eolico della wind
farm che sta per essere realizzata davanti al golfo di Taranto. La filiera
della vetroresina degli scafi dismessi, oggi abbandonati ovunque o affondati
nel Mediterraneo.
IL
BUSINESS DEI ROTTAMI È DI PORTATA MONDIALE
Gli altiforni
delle acciaierie italiane mangiano ogni anno 20 milioni di tonnellate di
rottami. E così fanno anche le fonderie di alluminio, di rame, di ottone,
etc. etc. Non è certo un mistero che per tutte le aziende siderurgiche una
delle preoccupazioni principali sia quella di trovare forniture adeguate e costanti di rottami metallici, per sfamare i
propri forni. I trader di rottami di tutto il mondo si arrovellano alla
ricerca di nuovi fornitori, dalla Cina all’Africa, dalla Russia all’Italia.
In fatto di rottami, anche l’Italia fa la
sua parte. Pur non avendo risorse minerarie significative, il nostro paese è una miniera a cielo aperto di rottami metallici.
E per tutte le fonderie e raffinerie italiane si tratta di rottami a chilometro
zero. Soltanto per i rottami di ferro il nostro paese ne produce poco meno di
20 milioni di tonnellate all’anno. Si tratta di un quantitativo comunque
inferiore alla domanda, che ammonta a poco più di 20 milioni di tonnellate
all’anno.
A livello mondiale la disponibilità stimata
è di 700 milioni di tonnellate, ma è destinata a crescere fino a 1.100 milioni
di tonnellate nel 2030. L’industria del
riciclo di rottami di ferro è strategica nell’ambito dello sviluppo dell’economia
circolare. Il riciclo dell’acciaio rappresenta, non solo un mezzo per acquisire
una materia prima per la produzione siderurgica, ma consente anche di
risparmiare risorse naturali.
Ogni tonnellata di acciaio riciclato
permette di risparmiare 1,6 tonnellate di minerale di ferro, 630 chili di carbone,
55 chili di calcare, 52 chilowattora di energia elettrica, 1,8 barili di
petrolio e 2,3 metri cubi di spazio in discarica. La produzione di acciaio
utilizzando rottami di ferro consuma il 74% in meno di energia, il 90% di
materie prime “vergini” ed il 40% di acqua rispetto alla produzione di acciaio
con ciclo integrale. Inoltre, produce il 76% in meno di inquinanti, l’86% di
emissioni in atmosfera ed il 97% di rifiuti di miniera». Basterebbero solo
questi numeri per capire come in un mondo in cui l’attenzione all’ambiente
diventa sempre più importante, vi sarà un maggior ricorso a questa tecnologia.
LA
CINA PROTAGONISTA DEL MERCATO DEI ROTTAMI
La disponibilità di rottami di ferro a
livello globale sarà condizionata soprattutto dalla Cina, che fino al 2020 sarà ancora importatrice netta,
mentre negli anni successivi potrebbe diventare esportatrice netta. La
maggiore disponibilità di rottame, i vincoli ambientali più stringenti e la
necessità di ridurre l’intensità di capitale della produzione siderurgica
spingeranno verso un maggiore utilizzo degli impianti elettrosiderurgici.
La produzione di acciaio con forno
elettrico passerà dagli attuali 520 milioni di tonnellate a 733 milioni di
tonnellate nel 2030, con un’incidenza sulla produzione totale che salirà dal
28,8% al 38,4%. Conseguentemente, la domanda di rottame aumenterà dagli attuali
708 milioni di tonnellate a 1.067 milioni di tonnellate nel 2030.
La domanda di rottami di ferro in Italia è
passata da quasi 24 milioni di tonnellate nel 2008 a 22 milioni di tonnellate
nel 2018 con un calo dell’8,2%. Nello stesso periodo, l’offerta di rottame è
diminuita da 18,6 a 16,9 milioni di tonnellate, con una contrazione del 9,4%.
Il gap negativo fra domanda ed offerta nell’ultimo decennio è rimasto intorno a
5 milioni di tonnellate, con un calo del 3% rispetto al periodo pre-crisi».
Occorre avere ben presente che circa il 95% dei rottami importato
dall’Italia proviene dai paesi dell’UE, in primis Germania (34,2%), seguita
da Austria (15,8%), Francia (11,4%) e Ungheria (10,7%). L’import dalla UE
rappresenta il 26 % del totale degli arrivi e il mercato nazionale copre il 72
% degli arrivi di rottame. La presenza di materia prima estera in prospettiva
condizionerà anche il sistema nazionale della commercializzazione e questo
fenomeno va tenuto sotto controllo.
IN
CONCLUSIONE, L’ILVA È UNA NUOVA SFIDA PER CASA DEPOSITI E PRESTITI
Sono chiare la necessità e l’opportunità di
considerare l’Ilva come una nuova e
aggiornata dimensione produttiva che sotto il profilo tecnologico e
ambientale sia stabile, competitiva nel tempo e pienamente integrata nel quadro
di economia circolare nazionale e del sud Europa. Ed è una sfida che
corrisponde alla nuova mission di Cassa depositi e prestiti.
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