domenica 17 novembre 2019

Gianni Bessi: Ex Ilva? Diventi fulcro del sistema di economia circolare


Mi chiedo, dopo aver letto questo articolo scritto da un consigliere regionale del Pd in Emilia Romagna, se i ministri chiamati da Conte a “portare idee” per gestire la patata bollente ArcelorMittal-ex Ilva, nonché il presidente del consiglio medesimo, abbiano delle proposte pertinenti e significative come quelle di Bessi, o brancolino nel buio totale della loro ignoranza e incapacità.



La proposta di Gianni Bessi, consigliere regionale Pd in Emilia-Romagna e autore del libro “Gas naturale. L’energia di domani” (Innovative Publishing), sull’ex Ilva

La vicenda Ilva finisce in tribunale ed è in buona posizione per diventare la causa del secolo. Ma i tempi della giustizia non si accordano con l’urgenza della situazione: dal primo gennaio l’Italia sarà priva di uno stabilimento che nel 2012 ha sfornato quasi 9 milioni di tonnellate di acciaio e deteneva oltre il 60 per cento delle quote del mercato. Ancora oggi, pur con la produzione ridotta, copre almeno al 40 per cento della richiesta italiana.

Il piano di spegnimento è stato comunicato ai sindacati ed Arcelor Mittal ha ufficialmente avviato la chiusura produttiva di quello che era il più grande stabilimento siderurgico europeo. Basterebbe qualche telefonata agli operatori del settore per capire che è già iniziata la corsa all’acquisto di acciaio da altri siti produttivi per coprire i fabbisogni che Ilva a breve non sarà più in grado di soddisfare.

Il primo effetto ovviamente riguarda i prezzi, che hanno ricominciato a salire per effetto delle contromosse degli altri produttori nazionali ed internazionali. È il momento di avere idee chiare e di fare presto. Perché oggi è già tardi.

È POSSIBILE SALVARE L’ILVA CON L’ECONOMIA CIRCOLARE

È possibile salvare l’Ilva (Startmag 12.11.19) modificandola rispetto a com’è adesso? La risposta è sì e l’ipotesi è ancora più attuale tenuto conto che Arcelor Mittal sarebbe comunque disposta a tenersene una metà. La sfida è quella di iniziare un’operazione di riconversione articolata che punti a recuperare una produzione efficiente di acciaio ma ridimensionando il sito (e bonificandolo), costruendo una nuova catena a monte. L’obiettivo è trasformare l’Ilva nella piattaforma italiana (e del sud Europa) di economia circolare per alcuni ambiti oggi non affrontati che richiedono interventi di scala.

LE ATTIVITÀ ‘GREEN’ PER UN’ILVA RINNOVATA
Il riciclo del settore automotive e in particolare carrozzerie e altri componenti e rottami metallici che andrebbero ad alimentare il forno elettrico chiudendo un primo cerchio; partendo da una posizione vantaggiosa visto che l’Italia è già all’avanguardia nell’economia circolare da rottami ferrosi.
Il riciclo fotovoltaico, visto che fra pochi anni ci ritroveremo con migliaia di pannelli fotovoltaici da smontare e riciclare. Non siamo preparati, non abbiamo infrastrutture e nessuno dei piccoli produttori sta accantonando le risorse per il decommissioning (questo è per esempio un provvedimento che andrebbe messo in cantiere per non ritrovarsi con impianti abbandonati i cui proprietari sono andati con i soldi degli incentivi). In questo caso abbiamo sia alluminio, sia silicio, sia rame, sia vetro da recuperare.
Il ciclo delle batterie per stoccaggio dell’elettricità e per le automobili. Non passerà molto tempo che dovremo cominciare a preoccuparci di recuperare il litio delle batterie esauste dei mezzi di trasporto. Se si diffonde come immaginiamo la mobilità elettrica, il litio diventerà una risorsa scarsissima (oggi il primo produttore è il Cile ma non ha molta capacità aggiuntiva; inoltre è una produzione ambientalmente impattante). Questa può essere una opportunità a livello europeo.
Gli pneumatici, un altro problema irrisolto e su cui insiste anche la normativa dell’end of waste. I cicli industriali di recupero e smaltimento di fanghi, residui industriali, etc, come si fa per esempio nel polo di Ravenna. Un field per l’implementazione, lo sviluppo e la manutenzione del campo eolico della wind farm che sta per essere realizzata davanti al golfo di Taranto. La filiera della vetroresina degli scafi dismessi, oggi abbandonati ovunque o affondati nel Mediterraneo.

IL BUSINESS DEI ROTTAMI È DI PORTATA MONDIALE
Gli altiforni delle acciaierie italiane mangiano ogni anno 20 milioni di tonnellate di rottami. E così fanno anche le fonderie di alluminio, di rame, di ottone, etc. etc. Non è certo un mistero che per tutte le aziende siderurgiche una delle preoccupazioni principali sia quella di trovare forniture adeguate e costanti di rottami metallici, per sfamare i propri forni. I trader di rottami di tutto il mondo si arrovellano alla ricerca di nuovi fornitori, dalla Cina all’Africa, dalla Russia all’Italia.

In fatto di rottami, anche l’Italia fa la sua parte. Pur non avendo risorse minerarie significative, il nostro paese è una miniera a cielo aperto di rottami metallici. E per tutte le fonderie e raffinerie italiane si tratta di rottami a chilometro zero. Soltanto per i rottami di ferro il nostro paese ne produce poco meno di 20 milioni di tonnellate all’anno. Si tratta di un quantitativo comunque inferiore alla domanda, che ammonta a poco più di 20 milioni di tonnellate all’anno.

A livello mondiale la disponibilità stimata è di 700 milioni di tonnellate, ma è destinata a crescere fino a 1.100 milioni di tonnellate nel 2030.  L’industria del riciclo di rottami di ferro è strategica nell’ambito dello sviluppo dell’economia circolare. Il riciclo dell’acciaio rappresenta, non solo un mezzo per acquisire una materia prima per la produzione siderurgica, ma consente anche di risparmiare risorse naturali.

Ogni tonnellata di acciaio riciclato permette di risparmiare 1,6 tonnellate di minerale di ferro, 630 chili di carbone, 55 chili di calcare, 52 chilowattora di energia elettrica, 1,8 barili di petrolio e 2,3 metri cubi di spazio in discarica. La produzione di acciaio utilizzando rottami di ferro consuma il 74% in meno di energia, il 90% di materie prime “vergini” ed il 40% di acqua rispetto alla produzione di acciaio con ciclo integrale. Inoltre, produce il 76% in meno di inquinanti, l’86% di emissioni in atmosfera ed il 97% di rifiuti di miniera». Basterebbero solo questi numeri per capire come in un mondo in cui l’attenzione all’ambiente diventa sempre più importante, vi sarà un maggior ricorso a questa tecnologia.

LA CINA PROTAGONISTA DEL MERCATO DEI ROTTAMI
La disponibilità di rottami di ferro a livello globale sarà condizionata soprattutto dalla Cina, che fino al 2020 sarà ancora importatrice netta, mentre negli anni successivi potrebbe diventare esportatrice netta. La maggiore disponibilità di rottame, i vincoli ambientali più stringenti e la necessità di ridurre l’intensità di capitale della produzione siderurgica spingeranno verso un maggiore utilizzo degli impianti elettrosiderurgici.

La produzione di acciaio con forno elettrico passerà dagli attuali 520 milioni di tonnellate a 733 milioni di tonnellate nel 2030, con un’incidenza sulla produzione totale che salirà dal 28,8% al 38,4%. Conseguentemente, la domanda di rottame aumenterà dagli attuali 708 milioni di tonnellate a 1.067 milioni di tonnellate nel 2030.

La domanda di rottami di ferro in Italia è passata da quasi 24 milioni di tonnellate nel 2008 a 22 milioni di tonnellate nel 2018 con un calo dell’8,2%. Nello stesso periodo, l’offerta di rottame è diminuita da 18,6 a 16,9 milioni di tonnellate, con una contrazione del 9,4%. Il gap negativo fra domanda ed offerta nell’ultimo decennio è rimasto intorno a 5 milioni di tonnellate, con un calo del 3% rispetto al periodo pre-crisi».

Occorre avere ben presente che circa il 95% dei rottami importato dall’Italia proviene dai paesi dell’UE, in primis Germania (34,2%), seguita da Austria (15,8%), Francia (11,4%) e Ungheria (10,7%). L’import dalla UE rappresenta il 26 % del totale degli arrivi e il mercato nazionale copre il 72 % degli arrivi di rottame. La presenza di materia prima estera in prospettiva condizionerà anche il sistema nazionale della commercializzazione e questo fenomeno va tenuto sotto controllo.

IN CONCLUSIONE, L’ILVA È UNA NUOVA SFIDA PER CASA DEPOSITI E PRESTITI
Sono chiare la necessità e l’opportunità di considerare l’Ilva come una nuova e aggiornata dimensione produttiva che sotto il profilo tecnologico e ambientale sia stabile, competitiva nel tempo e pienamente integrata nel quadro di economia circolare nazionale e del sud Europa. Ed è una sfida che corrisponde alla nuova mission di Cassa depositi e prestiti.

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