da: https://www.lettera43.it/
- di Massimo Del Papa
Gli
insulti a Enrico Di Lauro di X Factor e la disumanità dei miseri
La
sua eliminazione dalla seconda puntata dei Live è stata salutata con prese in
giro e commenti vomitevoli. Una crudeltà imbecille il cui senso sfugge.
Enrico Di Lauro forse lo incontrerai.
Chissà se lo riconoscerai mescolato alla polvere frenetica indifferente di
Milano, ma lui era quello che per un attimo ha sfiorato la celebrità, quello
salito dalla scala di un metrò per arrampicarsi fino a X Factor a bordo della
sua chitarra. Troppo abituato alla polvere per fidarsi davvero. Così scontroso,
così taciturno, ma non era scontroso, era solo spaventato. Spaesato. Stordito
quasi incredulo.
«Adesso io non so dove andare, non so che
dire, so solo che continuerò a vivere della musica». Enrico ci ha provato, s’è
arrampicato fin dove ha potuto, poi l’inesperienza lo ha tradito e ha perso la
sua occasione: torna nei meandri dell’indifferenza, attraversato da gente che
forse non lo riconoscerà, forse non lo ascolterà. O forse sì, per un attimo
solo. Peccato. Noi lo tifavamo questo ragazzo con la luce guardinga negli
occhi, con addosso la polvere della metropoli, come uscito da un incanto degli
Anni 70 di quelli che non si usano più.
Ma che ne sanno i troll di Twitter, che
hanno salutato con ironia di vomito la sua uscita dal talent? È tutto vero e
non ci si crede: «Finalmente torni sotto la metro», «Se ti vedo ti mollo 50
centesimi», «Vai ai giardinetti», «Ciao tesoro ci vediamo in piazza Duomo»,
«Questo quando canta rischia di morir di fame». Non tutti così, è chiaro, c’è
chi è stato raggiunto dalla storia difficile di questo giovane senza bussola.
Ma il liquame degli squallidi basta e avanza.
LA
CRUDELTÀ INGIUSTIFICATA CONTRO ENRICO
Ora non ci è dato sapere se Enrico, che ha
scelto, per motivi che lui sa, di abbandonare la sua casa, spinto da un
rapporto complicato con la madre (il padre è perso, si direbbe), sia davvero
già all’ultima spiaggia: ha preferito girovagare a lungo, dormire sugli autobus
addormentati al capolinea o ancora in marcia, fermarsi dove capita, suonare
senza un domani nella polvere. Sa difendersi, conosce le arti marziali, ma
tutto è tranne che aggressivo. E non fa la vittima, prende solo la vita come
viene. È un incallito della vita, che non ha ancora perso l’illusione di una
speranza.
Incarna una storia di altri tempi, la
storia di sempre. Perché ci sarà sempre uno sbandato senz’altro da fare che
salpare in tutte le direzioni a bordo di una chitarra da due soldi. Una storia
di blues metropolitano. Sempre la solita dannata storia. Ma non è certo da dire
che, per la sua vicenda personale, meritava di proseguire al talent a tutti i
costi: è vero che non ha brillato, che non era la sua strada, che, tra l’altro,
è stato gestito malissimo dalla sua tutor, Malika. Ma il senso di una crudeltà
imbecille, quello sfugge.
CALPESTARE
L’INDIFESO, IL CINISMO DEGLI SCIACALLI
Si può capire l’antipatia per il potente,
l’attacco al politico, al predicatore, al giornalista spocchioso, al vanitoso
sempre tra le palle: se ne sta parlando, c’è chi vuol mettere la paletta anche
ai social, documenti, prego. Intanto, però, quest’odio in saldo non verrà
intercettato da nessuno, perché che ne sanno di un ragazzo di strada che torna
a cantare per la fretta di chi si sfiora i gomiti senza vedersi? Leggi, norme,
regole, noi per tutto invochiamo una legge, 300 mila ne abbiamo, e litigano fra
loro. Ma quale legge può arginare la risacca dei miseri?
Certo che sconcerta, però. Questa idiozia
di fogna, questa pochezza ringhiosa. La bassezza gratuita di chi calpesta
l’indifeso, l’ultimo, che non gli chiede niente, che non si aspetta niente, è
senza logica. Non è la Rete, non sono i social: questi siamo noi. Accanirsi
contro un figliolo aggrappato alla musica, che si gioca la carta del baraccone
televisivo e non ci specula, non sfrutta il proprio sbando, rimane scontroso,
cane randagio che non si fida, questo è disumano; nel senso che una storia così
dovrebbe smuovere l’umanità che si ha dentro, invece accade il contrario. Il
sadismo dei poveri, il cinismo degli sciacalletti.
LA
DISUMANITÀ DI CHI GODE DELLE SVENTURE ALTRUI
Quanto sarebbe bello se il tormentato
viaggio senza meta di Enrico finisse con una coda di gente che, in piazza
Duomo, o dove diavolo sia, stana il ragazzo emaciato e scontroso, lo riconosce,
lo ascolta e tutti vissero felici e contenti. Non succederà, ma è una storia da
cavarci un film: dalla strada a un talent e ritorno, ma, questa volta, da star.
Non succederà, perché la vita è un blues implacabile nelle sue false casualità.
Ma, se siamo umani, non possiamo fare a meno di sognare, guardare in alto e
cercarla la nostra stella nel cielo.
Se invece siamo disumani, scriviamo la
nostra goduria per un altro che torna a mordere la polvere. Non ci cambia
niente, la nostra vita fottuta rimane la stessa, ma possiamo godere della
nostra schifezza verbale, morale, perché c’è chi se la passa peggio. A chi dava
fastidio Enrico, in arte Harry Dila, col suo sogno fragile di musica, la sua
passione per dipingere, scattare, perdersi nella polvere degli altri? «Non so
che dire, ragazzi, io adesso non so proprio dove andare: è finita». A ventidue
anni, una frase così. E lo insultano, gli promettono monetine. Ma andate a quel
paese, detto senza affetto.
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