martedì 12 novembre 2019

Caro mattone


da: Il Fatto Quotidiano - di Patrizia De Rubertis

11,4% La quota massima che dal prossimo anno potrà essere decisa e applicata dai sindaci.
Ad essere penalizzati saranno i locatori: a carico dei proprietari andrà anche quella parte di imposta che prima veniva pagata dall’affittuario

Negli scorsi giorni è iniziata al Senato la discussione sulla prossima manovra che dovrà ricevere il via libera entro la fine dell’anno. Tante le misure che impatteranno dal 2020 sulla vita quotidiana, a partire dai risvolti che avranno sui proprietari di casa. Del resto gli immobili sono uno dei bersagli preferiti dalla politica, da sempre considerati un facile bancomat visto che otto famiglie su dieci possiedono la casa in cui abitano. Così tra il debutto del “bonus facciate” al 90%, che va ad affiancare le confermate detrazioni per ristrutturazioni, risparmio energetico e acquisto di mobili e grandi elettrodomestici, alla messa a regime della cedolare secca al 10% sulle locazioni a canone concordato, farà il suo ingresso anche l’unificazione di Imu (imposta municipale unica) e Tasi (tributo per i servizi indivisibili) – dal 2016 si applicano solo sulle seconde case e sugli immobili di lusso – che vengono pagate due volte l’anno da 25 milioni di italiani. Tanto che nel 2018 nelle casse dei Comuni sono entrati 34,3 miliardi di euro di cui 21,983 miliardi per l’Imu/Tasi, 4,6 miliardi per l’addizionale comunale Irpef e 9 miliardi per la Tari. Balzelli che, secondo il dossier della Uil sulla tassazione locale, portano il gettito medio pro capite dei contribuenti a 1.340 euro annui, con l’esborso che sale a 2.267 euro a Roma, 1.952 euro a Torino, 1.923 euro a Genova; 1.888 euro a Milano e 1.791 euro a Napoli.


Il ritorno alla tassa unica sul mattone è uno degli snodi della legge di Bilancio. Se ne parla da un paio di anni. Nel governo gialloverde della nuova Imu se ne è occupata a lungo la Lega che puntava a unificare le tasse sul mattone non per fusione, ma per abolizione secca della Tasi. Ipotesi però accantonata perché sarebbe costata 1,1 miliardi di euro. Ora, invece, i giallorosa hanno deciso di dire addio al paradosso della doppia tassa sullo stesso immobile con l’accorpamento dei due balzelli in chiave antievasione e semplificazione delle aliquote.

In altre parole, dovrebbe essere concessa la possibilità di far partire davvero il modello precompilato da spedire
ai contribuenti, promesso fin dal 2011 ma finora impantanato nelle circa 300mila variabili che caratterizzano l’Imu-Tasi. Ma il rischio che, anche attraverso questa nuova formulazione, ci scappi la possibilità che i proprietari paghino di più è assai probabile, come ha denunciato la proprietà edilizia. “Non è mai successo, nella storia della fiscalità, che quando è stata data ai Comuni la possibilità di aumentare le tasse sulla casa, abbiano resistito a questa tentazione. Succederà anche questa volta. E sarà una nuova patrimoniale”, tuona Corrado Sforza Fogliani, presidente del Centro Studi di Confedilizia.
Timori che il governo ha però smentito, perché in effetti non ci saranno nuovi balzelli nascosti, ma solo un
gioco di aliquote che potrebbe tentare molti Comuni a fare cassa.

Facciamo un po’ po’ di chiarezza.
Attualmente l’Imu massima ha un’aliquota è al 10,6 per mille e la Tasi all’1 per mille. Ma il massimo di Imu e Tasi può arrivare, con la maggiorazione speciale dello 0,8 per mille, solo all’11,4 per mille, cioè esattamente l’aliquota massima fissata per la nuova Imu. In manovra è, infatti, previsto che l’aliquota base dell'imposta venga fissata all’8,6 per mille, ma i sindaci potranno ridurla fino a zero ma anche aumentarla fino a un massimo dell’11,4 per mille.

Quindi, potrebbero esserci eventuali aumenti da parte dei Comuni che ancora non hanno toccato il massimo livello di tassazione, mentre chi già c’è arrivato – è il caso di Roma, Milano, Bologna e Firenze – non può ricorrere a ulteriori aggravi. Non è quindi possibile prevedere cosa succederà l’anno prossimo, ma le tentazioni si moltiplicheranno per i Comuni, sia per quelli in buono stato economico (che comunque beneficeranno dell’aumento dell’aliquota minima Imu dal 7,6 all’8,6 per mille se la applicavano), sia per quelli in crisi che troveranno certo più semplice un innalzamento generale senza ricorrere all’istituzione della Tasi con relativa indicazione di specifici servizi.

Ad essere penalizzate saranno le poche abitazioni principali che oggi pagano (ville, case storiche e abitazioni signorili), perché l’aliquota passa dal 4 al 5 per mille, salva la possibilità di esenzione da parte dei Comuni. E andrà a carico del proprietario anche quella parte di Tasi (dal 10 al 30% dell’imposta decisa dai Comuni) che attualmente è a carico di chi utilizza gli immobili, come nel caso dell’inquilino nei contratti di locazione.
Sul fronte delle scadenze, le date restano due: a metà giugno e dicembre. Ma per la prima rata si dovrà versare la metà di quanto pagato nel 2019 in attesa che i sindaci, con apposite delibere, decidano se aumentare o diminuire l’aliquota base (all’8,6 per mille).

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