da: Il Fatto Quotidiano - di
Patrizia De Rubertis
11,4%
La quota massima che dal prossimo anno potrà essere decisa e applicata dai
sindaci.
Ad
essere penalizzati saranno i locatori: a carico dei proprietari andrà anche
quella parte di imposta che prima veniva pagata dall’affittuario
Negli scorsi giorni è iniziata al Senato la
discussione sulla prossima manovra che dovrà ricevere il via libera entro la
fine dell’anno. Tante le misure che impatteranno dal 2020 sulla vita
quotidiana, a partire dai risvolti che avranno sui proprietari di casa. Del
resto gli immobili sono uno dei bersagli preferiti dalla politica, da sempre considerati
un facile bancomat visto che otto
famiglie su dieci possiedono la casa in
cui abitano. Così tra il debutto del
“bonus facciate” al 90%, che va ad affiancare le confermate detrazioni per
ristrutturazioni, risparmio energetico e acquisto di mobili e grandi
elettrodomestici, alla messa a regime
della cedolare secca al 10% sulle locazioni a canone concordato, farà il
suo ingresso anche l’unificazione di Imu
(imposta municipale unica) e Tasi
(tributo per i servizi indivisibili) – dal 2016 si applicano solo sulle seconde
case e sugli immobili di lusso – che vengono pagate due volte l’anno da 25
milioni di italiani. Tanto che nel 2018
nelle casse dei Comuni sono entrati 34,3 miliardi di euro di cui 21,983
miliardi per l’Imu/Tasi, 4,6 miliardi per l’addizionale comunale Irpef e 9
miliardi per la Tari. Balzelli che, secondo il dossier della Uil sulla
tassazione locale, portano il gettito
medio pro capite dei contribuenti a 1.340 euro annui, con l’esborso che
sale a 2.267 euro a Roma, 1.952 euro
a Torino, 1.923 euro a Genova; 1.888
euro a Milano e 1.791 euro a Napoli.
Il ritorno
alla tassa unica sul mattone è uno degli snodi della legge di Bilancio. Se
ne parla da un paio di anni. Nel governo
gialloverde della nuova Imu se ne è occupata a lungo la Lega che puntava a unificare le tasse
sul mattone non per fusione, ma per
abolizione secca della Tasi. Ipotesi però accantonata perché sarebbe costata 1,1 miliardi di euro. Ora,
invece, i giallorosa hanno deciso di
dire addio al paradosso della doppia tassa sullo stesso immobile con l’accorpamento dei due balzelli in chiave
antievasione e semplificazione delle aliquote.
In altre parole, dovrebbe essere concessa
la possibilità di far partire davvero il modello precompilato da spedire
ai contribuenti, promesso fin dal 2011 ma
finora impantanato nelle circa 300mila variabili che caratterizzano l’Imu-Tasi.
Ma il rischio che, anche attraverso questa nuova formulazione, ci scappi la possibilità che i proprietari paghino di
più è assai probabile, come ha denunciato la proprietà edilizia. “Non è mai successo, nella storia della
fiscalità, che quando è stata data ai
Comuni la possibilità di aumentare le tasse sulla casa, abbiano resistito a
questa tentazione. Succederà anche questa volta. E sarà una nuova patrimoniale”, tuona Corrado Sforza Fogliani,
presidente del Centro Studi di Confedilizia.
Timori che il governo ha però smentito, perché in effetti non ci saranno nuovi
balzelli nascosti, ma solo un
gioco
di aliquote che potrebbe tentare molti Comuni a fare cassa.
Facciamo un po’ po’ di chiarezza.
Attualmente l’Imu massima ha un’aliquota è al 10,6 per mille e la Tasi all’1 per mille. Ma il massimo di Imu e Tasi può arrivare, con
la maggiorazione speciale dello 0,8 per mille, solo all’11,4 per mille, cioè
esattamente l’aliquota massima fissata per la nuova Imu. In manovra è, infatti,
previsto che l’aliquota base dell'imposta
venga fissata all’8,6 per mille, ma i
sindaci potranno ridurla fino a zero ma anche aumentarla fino a un massimo
dell’11,4 per mille.
Quindi, potrebbero esserci eventuali aumenti da parte dei Comuni che ancora non hanno toccato il massimo
livello di tassazione, mentre chi già c’è arrivato – è il caso di Roma,
Milano, Bologna e Firenze – non può ricorrere a ulteriori aggravi. Non è quindi
possibile prevedere cosa succederà l’anno prossimo, ma le tentazioni si moltiplicheranno per i Comuni, sia per quelli in buono
stato economico (che comunque beneficeranno
dell’aumento dell’aliquota minima Imu dal 7,6 all’8,6 per mille se la
applicavano), sia per quelli in crisi che troveranno certo più semplice un
innalzamento generale senza ricorrere all’istituzione della Tasi con relativa indicazione
di specifici servizi.
Ad essere penalizzate saranno le poche
abitazioni principali che oggi pagano (ville, case storiche e abitazioni signorili),
perché l’aliquota passa dal 4 al 5 per mille, salva la possibilità di esenzione
da parte dei Comuni. E andrà a carico del proprietario anche quella parte di
Tasi (dal 10 al 30% dell’imposta decisa dai Comuni) che attualmente è a carico di
chi utilizza gli immobili, come nel caso dell’inquilino nei contratti di
locazione.
Sul fronte delle scadenze, le date restano
due: a metà giugno e dicembre. Ma per la prima rata si dovrà versare la metà di
quanto pagato nel 2019 in attesa che i sindaci, con apposite delibere, decidano
se aumentare o diminuire l’aliquota base (all’8,6 per mille).
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