Bregantini: lavoratori, non merci
Riforma, il monito di monsignor Bregantini,
presidente della Commissione Lavoro della Cei: "I licenziamenti economici
rischiano di generare un clima di paura in tutto il Paese"
Monsignor
Giancarlo Bregantini, arcivescovo di Campobasso-Bojano e presidente della
Commissione Lavoro, giustizia e pace della Conferenza episcopale italiana,
docente di Storia della Chiesa con una lunga esperienza di operaio in fabbrica
negli anni della giovinezza, continua a porsi una domanda. “Con questa riforma
la precarietà sarà vinta? O resteremo comunque in un clima di precarietà? O addirittura
l’aumenteremo?”
- E ha trovato la risposta, monsignor Bregantini?
“Non entro tanto
nel merito tecnico. Ma sulla questione in atto mi permetto di fare tre rilievi
critici. Il primo è il dispiacere che provo nel vedere la Cgil lasciata fuori
da questa riforma. Un fatto che viene quasi dato come scontato, quasi che il
primo sindacato italiano per numero di iscritti non sia una cosa preziosa per
una riforma del lavoro. Dietro questa fetta di sindacato c’è tutto un mondo
importante, cruciale, da coinvolgere per camminare verso il futuro. Altrimenti
c’è il rischio che questa parte sociale, con i suoi milioni di iscritti, resti
disillusa, arrabbiata, ripiegata su atteggiamenti difensivi, su un passato che
non c’è più. Lasciare fuori la Cgil sarebbe una perdita di speranza notevole,
un grave errore”.
- Il secondo rilievo?
“Ci voleva un po'
più di tempo per mettere in atto una riforma così importante. Non era
necessaria questa fretta
così evidente. La questione è chiusa, è stato detto da
parte del premier Mario Monti. Si poteva dire: la questione è posta, ora
dialoghiamo, nelle fabbriche, negli uffici, in Parlamento, nella società
civile, ovunque perché il lavoro è il tema cruciale del nostro Paese. Ma c’è un
terzo rilievo, forse il più importante e profondo”
- E quale?
“Bisogna
chiedersi, davanti alla questione dei licenziamenti, chiamati elegantemente,
con un eufemismo, “flessibilità in uscita”, se il lavoratore è persona o merce.
E’ la grande istanza dell’enciclica sociale Rerum Novarum. La questione di
fondo. Il lavoratore non è una merce. Non lo si può trattare come un prodotto
da dismettere, da eliminare per motivi di bilancio, perché resta invenduto in
magazzino. Leone XIII lo scrisse nella pietra miliare del cattolicesimo
sociale, emanata nel 1891, più di un secolo fa. E’ un po’ come nella questione
della domenica derubricata a giorno lavorativo. In politica ormai
l’aspetto tecnico sta diventando prevalente sull’aspetto etico”.
- Del resto questo è un governo espressamente di
tecnici...
“Se con Berlusconi
la questione centrale era legata al profitto, oggi c’è l’aspetto tecnico che
domina ogni questione politica. Ma alla fine tra profitto e aspetto tecnico si
crea una sintonia eccessiva. L’aspetto etico nella politica è necessario. E
invece non è più tenuto in considerazione”.
- Il Capo dello Stato ha invitato il Paese a
riflettere sul fatto che non abbiamo più risorse e che l’articolo 18 dello
Statuto dei lavoratori è solo un aspetto della riforma.
“La tematica
di fondo dell’articolo 18 dovrebbe coprire tutti i lavoratori, non solo quelli
con più di 15 dipendenti, già garantiti. Va estesa come valori di dignità e
difesa come normativa. Ma più in generale, come sollecita il Capo dello Stato,
riflettendo sulla riforma decisa dal governo nel suo complesso mi chiedo:
diminuirà o aumenterà il precariato dei nostri ragazzi? Riusciremo ad attrarre
capitali ed investimenti dall'estero solo perché è più facile licenziare?
Sarà snellita la burocrazia? Daremo con questa riforma più vigore
all’esperienza imprenditoriale? Ma non vorremmo nemmeno che la cosa fosse
schiacciata su questi temi, perché ripeto, al centro di tutto ci deve essere la
dignità dell’uomo e della famiglia”.
- Ci sono aspetti che ritiene positivi in
questa riforma?
“Siamo
contenti che i licenziamenti discriminatori vengano contemplati per tutti,
anche nelle aziende con meno di 15 dipendenti. Questo è un discorso molto
positivo. Anche la triplice distinzione dei licenziamenti in discriminatori,
economici e disciplinari è molto saggia.
Che ne pensa dei licenziamenti economici? Se passa la
riforma del governo qualunque lavoratore del privato potrà essere licenziato
per la sola motivazione che l’azienda è in crisi o che non serve più la
mansione cui era addetto…
“E’ preziosa la
distinzione, ho detto. Ma la modalità con cui è ipotizzato il licenziamento
economico potrebbe rivelarsi infausta. Ho letto che nemmeno il giudice può
intervenire. Siccome siamo in una fase di paura generalizzata è facilissimo che
si arrivi a questo in tutto il Paese”.
Teme che nelle aziende e nelle famiglie ci sia
un’ondata di terrore per paura di vedersi lasciati in una strada per
motivazioni economiche o organizzative dai datori di lavoro?
“Temo questo. Una siepe protettiva sui
licenziamenti economici bisognava metterla. Rivolgo un appello a livello
parlamentare e a livello di riflessione culturale perché si possa creare una
rete di diritti e di protezioni più solida. Del resto, di fondo, come ho
scritto nella mia diocesi in occasione di San Giuseppe, siamo molto riconoscenti
al ministro Fornero e al premier Monti e ai sindacati per questo dibattito che
ha riportato al centro il lavoro. Ci hanno ridato la consapevolezza che il
lavoro è un dono. Ma c’è una parola chiave che deve rientrare: dignità. Per i
nostri giovani e per i loro padri che temono di essere licenziati per motivi
economici. Dobbiamo puntare su questo più che sulle paure. Capisco che la
declinazione di questi temi in una norma non è facile. Ma è la dignità
che attrae gli investimenti”.
Francesco Anfossi
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