lunedì 20 aprile 2020

Serie tv da vedere: Diavoli, il venerdì su Sky


Tralascio quell’aspetto non irrilevante che Alessandro Borghi e Patrick Dempsey sono tra gli uomini più fighi del pianeta terra. Questo sarebbe già un ottimo motivo per vedere questa serie tv.

Se Diavoli mantiene il  livello dei primi due episodi, il venerdì sera ho degli impegni (casalinghi, ovviamente) improrogabili. Non mi telefonate, non mi mandate wahtsapp perché non rispondo.

Ah..questa serie è prodotta oltre che da Sky dalla Lux Vide di Bernabei. La stessa casa di produzione di Don Matteo. Giustamente, si deve diversificare il prodotto!

Di seguito, una recensione

da: https://www.wired.it/ - di Paolo Armelli

Diavoli, una serie sulla finanza che racconta bene ciò che sapevamo già
La nuova serie Sky ha un respiro internazionale e un protagonista magnetico e dal grande star power, ma soffre di un immaginario finanziario già visto e di questi tempi ulteriormente preoccupante


Come si fa a lanciare una serie tv, per di più importante e ambiziosa, in tempi esplosi e preoccupanti come questi dominati dal coronavirus? Ci sono due ordini di problemi, uno dal punto di vista tematico: agganciare l’attenzione, soprattutto con argomenti impegnativi, delle persone in un periodo frammentato e in cui il desiderio di “evasione” è forte, non è semplice; l’altro dal punto di vista pratico: come fare promozione? Come rendere evidente e visibile un prodotto che non può essere pubblicizzato nella maniera canonica? La sfida è evidente e lo sa bene Sky, che in questi giorni sta puntando molto su Diavoli, la produzione italiana dal respiro internazionale che parte il 17 aprile su Sky Atlantic e Now Tv e che vede Alessandro Borghi, Patrick Dempsey e Kasia Smutniak protagonisti di un intrigo finanziario-criminale.

Si sa che le crisi, spesso a malincuore, sono occasioni di rinnovarsi e trovare soluzioni inedite, e questo forse è il caso almeno per quanto riguarda la promozione seriale, spostatasi forzatamente sul digitale. Per promuovere la serie, appunto, Sky ha allestito un’ulteriore produzione molto ambiziosa e complessa, un live show con tutti i crismi: una robicam a 360° di quelle che si vedono nelle telecronache calcistiche, grafiche in realtà aumentata e poi attori, produttori e registi della serie da una parte e giornalisti dall’altra, tutti collegati in una videocall potenziata che tenta di sostituire le classiche conferenze stampa o roundtable con gli attori. Sembra un dettaglio dietro le quinte poco interessante all’interno della recensione di una serie ma lo si riporta come annotazione suggestiva: il coronavirus sta cambiando e cambierà molte procedure che davamo per assodate, questo ne è un esempio, anche di come i cambiamenti vadano affrontati con inventiva e innovazione.

Molto meno innovativa, almeno nell’impianto, è a dire il vero Diavoli stessa: tratta dal romanzo I diavoli di Guido Maria Brera, la serie vede come protagonista Massimo Ruggero (Borghi), un rampante head of trading in una grandissima banca finanziaria londinese, che in un già storicamente teso 2011 si trova coinvolto in una specie di thriller che mescola le sue ambiziosi professionali, i suoi drammi personali ma anche (esagerando, forse) le sorti della finanza e della politica internazionali. A giocare un ruolo ambiguo in tutto questo schema è Dominic Morgan (Dempsey), ceo della New York-London Investment Bank e suo mentore, ma anche uomo dalle mille ombre, anche lui segnato da un lutto che rende complicata la relazione con la moglie Nina (Smutniak). Una morte interna alla banca e una promozione mancata saranno le micce che fanno esplodere una sequela di intrighi, cospirazioni e manipolazioni, da seguire con attenzione fra termini tecnici e salti temporali talvolta disorientanti.

Tutto ovviamente si svolge in una Londra frenetica e asettica, tutta grattacieli della City e case dal lusso minimalista, in un’estetica volutamente raggelante messa in campo dai registi Nick Hurran e Jan Maria Michelini. L’humus è ovviamente quello dei classici broker finanziari, intatti nel nostro immaginario fin dagli anni Ottanta: vendono e shortano azioni in modo frenetico, guidano Ferrari e giocano a squash, sniffano cocaina e vestono abiti sartoriali, dicono frasi come “Sono nato in basso, l’unica possibilità era salire” o “Il miglior modo di prevenire una crisi è crearla“. In qualche modo è come se Diavoli per l’ennesima volta remixasse elementi di The Wolf of Wall Street e American Psycho (che proprio in questi giorni compie 20 anni), aggiornandoli però con macchinazioni alla House of Cards e scatti d’ingegno alla Sherlock.

È interessante vedere come anche l’approfondimento delle storture finanziare sia ben noto. Con intelligenza ogni episodio riprende alcuni dei fatti più noti della storia economica mondiale dell’ultimo decennio, dalla crisi argentina del 2001 allo scoppio dei subprime 2008, dalle recessioni irlandese e greca agli scandali sessuali di Dominique Strauss-Kahn dell’Fmi passando per Subterranea, un’organizzazione di hacker e whistleblower simile alle molte che abbiamo visto di recente. Ogni fatto è utilizzato, a volte forzatamente altre meno, per dare solidità alle azioni dei protagonisti, ma è anche una carrellata inquietante che ci ricorda come la finanzia sia un meccanismo invisibile che spesso schianta gli interessi delle persone comuni in nome di ambizioni e guadagni sterminati. Un tempismo non certo fausto ora che la pandemia costringerà le economie mondiali alla recessione e interrogherà molti su quali saranno le azioni dei governi e degli operatori finanziari, nel timore che ancora una volta a pagare saranno i soliti impotenti.

Ma al di là delle rigidità formali, Diavoli ha anche un cuore straordinario, un cuore gelido che si scalda pian piano, mostrando umanità oltre l’ambizione: e questo cuore è Alessandro Borghi. L’attore, forse il più in vista del nostro cinema recente, qui dimostra un’invidiabile stoffa internazionale: sfoggia un inglese British impeccabile, la cui dizione non impedisce una recitazione convinta; la sua allure e il suo aspetto magnetico (aiutato dalle giuste astuzie, come le scene sotto la doccia o i flashback arruffati) ne dimostrano ancora una volta lo star power, che praticamente regge sulle spalle l’intera serie, con buona pace di un Dempsey sì ancora affascinante ma spesso monocorde. Anche Smutniak si conferma attrice di grande intensità, pur lottando con la parte asfissiante di una madre dolente e che si spera abbia un ruolo ancor più cruciale negli ultimi episodi (e magari nella seconda stagione, già annunciata ufficialmente).

In molti episodi la serie sottolinea come il diavolo sia un‘entità che fa di tutto per nascondersi in piena vista, e si sa anche che si nasconde nei dettagli: prodotta da Sky Italia e Lux Vide per poi essere distribuita in tutto il mondo, Diavoli è sicuramente una serie dal respiro convintamente internazionale, che dimostra che la capacità italiana di realizzazione seriale si sta allineando in fretta con i più alti standard internazionali, vantando appunto anche attori che possono competere tranquillamente a livello globale. Purtroppo certe immagini e una certa retorica già viste, unite a un contesto d’incertezza socio-economica e anche psicologica, le tagliano un po’ il fiato. A meno che certi dubbi e certe preoccupazioni che instilla non possano esserci d’aiuto o ispirazione di fronte all’ennesimo scenario finanziario destinato inevitabilmente a crollare.

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