da: Il Fatto Quotidiano
Resta
solo una manovrina
Il governo approva la legge di stabilità in
tempo per mandarla a Bruxelles: un po’ di spesa in deficit, anche per il
sociale, piccola riduzione delle tasse sul lavoro
di Marco
Palombi
Quella presentata ieri da Enrico Letta,
giusto in tempo per i Tg della sera, è davvero la sua manovra: leggerina e
piena di cose atte a dare l’idea del buon senso e del pragmatismo. Si tratta di
quella levità da cui scaturiscono i miracoli: il rapporto deficit/Pil migliora,
il debito cala e la crescita decolla attorno al “2 per cento” all’anno (dice il
ministro Fabrizio Saccomanni). In attesa del testo definitivo, messo a punto
nella notte a palazzo Chigi, ecco un riassunto di quel che si sa finora e degli
annunci a margine.
I
NUMERI. La manovra prevede uscite o minori entrate per 11,5
miliardi nel 2014 e per altri 15 miliardi nel biennio successivo. Le coperture
per l’anno prossimo ammontano però solo a otto miliardi e mezzo. “Merito della
flessibilità contrattata in Europa”, sorride Letta. Merito delle stangate di
Mario Monti, in realtà, i cui effetti sono ancora pienamente operanti nel
bilancio e anzi vanno
applicati (com’è il caso della spending review, con
risparmi già messi a bilancio per il 2014). È grazie alle lacrime di Elsa
Fornero, per così dire, che il governo può sostenere che il rapporto
deficit/pil sarà al 2,5 per cento l’anno prossimo: il rapporto era infatti
stimato a settembre – senza che Letta avesse fatto niente – al 2,35 per cento,
vale a dire giusto tre miliardi meglio di come sarà. Il giochino funziona solo
se i numeri del Documento di economia e finanza di settembre sono corretti. E
c’è da dubitarne: in particolare difficile che la crescita sia dell’1 per cento
e che lo spread cali improvvisamente e senza motivo a duecento punti di media.
LA
PRESSIONE FISCALE. Cala, dice Letta: dal 44,3 al 43,3 per
cento nel triennio 2014-2016. O meglio calerà, visto che nel solito Def la
pressione fiscale l’anno prossimo era prevista proprio al 44,3 per cento. Il
conto sembra tornare con le notizie disponibili: circa tre miliardi di sgravi,
infatti, sono destinati alla riduzione del cuneo fiscale, ma poi ci sono pure
due miliardi di nuove tasse tipo l’aumento dell’imposta di bollo sui prodotti
finanziari e la “revisione delle tax expenditures” (tagliano deduzioni e
detrazioni, cioè che aumentano le tasse) più altro gettito da manovre fiscali
su banche e assicurazioni. A stare ai numeri, sembra che pure la famosa Trise –
la nuova tassa comunale sugli immobili – non venga considerata meno onerosa
dell’accoppiata Imu-Tares, anzi a consuntivo potrebbe essere anche peggiore :
sui rifiuti infatti si paga a tariffa e sarà più cara della vecchia Tarsu
applicata finora dal-l’80 per cento dei comuni (la Tares era “cifrata” ad un
miliardo di gettito in più della tassa sui rifiuti); sui servizi comunali
decideranno i sindaci col vincolo che l’aliquota massima sia quella più alta
dell’Imu “maggiorata dell’1 per mille”. INVESTIMENTI E WELFARE. È la parola più
ripetuta da premier e ministri. Uno sforzo c’è: dovrebbero ammontare a circa
sei miliardi nel 2014. Gli obiettivi sono i soliti: grandi infrastrutture
stradali e ferroviarie (dal corridoio Adriatico alla Salerno-Reggio Calabria,
dal Mose alla ristrutturazione della rete di Rfi fino alla ricostruzione de
L’Aquila), appalti della difesa e delle forze dell’ordine. Viene pure
rifinanziato per un miliardo l’ecobonus sulle ristrutturazioni e gli arredi e
un miliardo di sforamento dal patto di stabilità interno è concesso ai comuni
solo per le spese in conto capitale. Una parte della copertura, tre miliardi e
mezzo, viene da una riduzione della spesa corrente: 2,5 miliardi dalle
amministrazioni centrali e uno dalle regioni (sulle une e le altre, giova
ripeterlo, gravano anche i tagli di Monti e Tremonti per il 2014), ma non dal
comparto salute, università e ricerca. Il cuneo fiscale è la parte più
deludente: pochi fondi rispetto alle previsioni e concentrati sugli anni a
venire (si parlava di 15 miliardi subito, saranno 10,6 in tre anni). Il
governo, comunque, ha provveduto a rifinanziare in tutto o in parte alcuni
fondi sociali: dalla non autosufficienza alla social card, dal 5 per mille al
Fondo per le politiche sociali: 1,28 miliardi a cui vanno aggiunti i 600
milioni per la cassa integrazione straordinaria.
ARRIVA
LA TRISE
La
nuova imposta sulla casa che rimpiazza l’Imu.
Nella sua conferenza stampa Letta l’ha
citata di sfuggita: “La Trise sarà completamente diversa dall’Imu”, ha messo a
verbale. Non c’è dubbio che lo sarà, ma la sostanza è la stessa: si paga sulla
casa tenendo conto di categoria catastale e metri quadri, solo che incorpora
pure la Tares sui rifiuti. Nella sostanza, insomma, è un mostro bicefalo: c’è
la parte sui rifiuti (Tari) e quella sui servizi comunali (Tasi). Facile
previsione: la maggior parte degli italiani pagherà di più rispetto
al-l’accoppiata Tarsu-Imu, anche se nessuno potrà più prendersela col governo
visto che a decidere tutto sono i sindaci. La Tari, per dire, dovrà coprire il
costo complessivo del servizio rifiuti e – se non lo farà – sarà comunque il
comune a dover trovare i soldi nella sua fiscalità generale: dai calcoli fatti
sulla Tares, che è stata inglobata in questo nuovo tributo, l’aggravio dovrebbe
aggirarsi attorno al miliardo rispetto alle vecchie tasse sui rifiuti. E la
Tasi? È a sua volta programmaticamente più cara dell’Imu: nella bozza si legge
infatti che i comuni “potranno” applicare l’aliquota massima dell’attuale
imposta sugli immobili, “maggiorata dell’1 per mille”. Ai proprietari di case,
tutto sommato, è andata comunque meglio che agli inquilini. Sugli affittuari
già oggi grava la tassa sui rifiuti – co n i relativi aumenti a venire – e da
gennaio pure un pezzo della Tasi (quella sui servizi comunali tipo
l’illuminazione): “Fra il 10 e il 30 per cento dell’ammontare complessivo”.
UN
MILIARDO
Niente
tagli alla Sanità, pagano solo le Regioni.
Grande soddisfazione da parte delle Regioni
per lo scampato pericolo sulla sanità. Anche se i tagli ci saranno lo stesso
per l’importo di un miliardo. Il presidente della Conferenza delle Regioni,
Vasco Errani, preferisce mettere l’accento sul segno più: “È molto positiva la
scelta fatta sul tema della sanità. Siamo soddisfatti che siano state ascoltate
le nostrebuone ragioni”. Per quanto riguarda il resto, aggiunge, “vedremo i
tagli, quali saranno quelli che riguardano il comparto e poi faremo una
valutazione”. Chi esulta più di tutti è però la ministra della Salute, Beatrice
Lorenzin, secondo cui “per la prima volta in dieci anni niente tagli alla
sanità. Un risultato di cui vado molto fiera. Anche perché sembrerebbe che il
Consiglio dei ministri ha trovato la copertura di 2 miliardi per scongiurare
l’aumento dei ticket sanitari dal 2014. La Legge di Stabilità, comunque,
prevede una riduzione degli stanziamenti alle Regioni per 1 miliardo. Si tratta
di una delle voci di risparmio che affianca i tagli previsti alla spesa dello
Stato (2,5 miliardi nel 2014). Nelle previsioni della vigilia si trattava di
tagli funzionali, cioè quelli relativi alle spese di funzionamento delle
Regioni stesse: uffici, funzionamento delle assemblee, spese per la presidenza
e gli assessorati. Si vedrà se è così. Intanto Letta ha annunciato la
soppressione dell’aumento dell’Iva per le cooperative sociali e le associazioni
del Terzo settore che avrebbero visto, in mancanza del provvedimento,
l’aliquota Iva salire dal 4 al 10%.
MENO
DEL PREVISTO
Sgravi
fiscali ai dipendenti 10,6 miliardi in tre anni
Il modo in cui il governo ha deciso di
intervenire sulla tassazione sul lavoro non piacerà agli interessati e alle
loro associazioni. Sindacati e Confindustria chiedevano un impegno da 15
miliardi subito, un punto di Pil, ma il governo ha dato loro 10,6 miliardi in
tre anni: cinque serviranno a sgravare le buste paga dei lavoratori e 5,6 le
imprese . Si parte da quest’anno con poco più di tre miliardi di euro: da quel
che si capisce significa che, bene che vada, i dipendenti potranno guadagnare
al massimo 200 euro in più all’anno (ma solo quelli che hanno un reddito attorno
ai 17 mila euro, il beneficio si assottiglia con l’aumento dello stipendio);
per i datori invece dipende da quale meccanismo sarà scelto in Parlamento. La
cosa curiosa di questa parte della manovra di Enrico Letta è infatti proprio
questa: non si sa ancora chi e attraverso quale leva potrà godere del
beneficio. “A b-biamo dovuto correre e per forza di cose alcuni aggiustamenti
verranno fatti in Parlamento col concorso delle parti sociali”, ha spiegato
ieri sera il premier in conferenza stampa. Il governo, comunque, ha promesso
che sul cuneo fiscale verranno devolute anche le eventuali risorse in arrivo
dal concordato fiscale con la Svizzera e dalla ridefinizione delle quote di
Bankitalia. La Cgil è la prima a reagire: “Così le risorse per i lavoratori
sono insufficienti e nemmeno una parola è stata detta sui redditi da pensione”.
LE
COPERTURE
Balzello
sul conto titoli, elezioni solo di domenica, stretta su pensioni d’oro
Il grosso delle coperture è basato sui 3,5
miliardi di tagli alla spesa con un progetto di 16,1 miliardi in tre anni. Il
lavoro per l’incaricato speciale Cottarello non mancherà. Altri 3,2 miliardi
arriveranno da proventi da dismissioni di asset pubblici. Altra voce importante
consiste in 1,9 miliardi di altre entrate fiscali tra cui, una certa
consistenza, occupa l’aumento del bollo sulle attività finanziarie. Su questa
voce era già intervenuto il governo Monti applicando nuove aliquote sui conti
deposito titoli: 0,10% per il 2012 e 0,15% per l’anno in corso con un minimo di
34,20 euro. Ora il governo punta a incassare 900 milioni di euro nel 2014.
Nella conferenza stampa serale, Enrico Letta è andato molto orgoglioso per il
taglio di 100 milioni che deriverà dal ritorno alle elezioni in un solo giorno.
Finora, come si ricorderà, si è votato sempre sia la domenica che il lunedì per
qualsiasi tipo di elezione (politiche, europee, amministrative). Ora si cambia.
Altre entrate proverranno da una stretta sulle pensioni sopra i 3.000 euro che
non saranno adeguate al costo della vita nel 2014. Sopra i 100.000 euro ci
sarà, invece, un contributo “con la finalità di concorrere al mantenimento
dell’equilibrio del sistema pensionistico”. Sarebbe del 5% per la parte
eccedente i 100 mila euro fino 150 mila, del 10% oltre i 150 mila e del 15% oltre
i 200 mila. Risorse non quantificate dovrebbero arrivare dal rientro dei
capitali e dalla rivalutazione delle quote di Bankitalia.
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