da: Il Fatto Quotidiano
Il
premier evita il temuto intervento sulla Sanità, ma lo stimolo all’economia si
riduce a poche decine di euro all’anno. Ma Pd e Pdl sono contenti.
Enrico Letta riesce nel suo obiettivo
principale: non scontentare nessuno nel passaggio più difficile di queste
settimane, l’approvazione della legge di Stabilità. “La manovra non toglie
nulla alla Sanità e fa scendere tasse per famiglie e imprese”, annuncia in una
conferenza stampa convocata a metà della riunione del Consiglio dei ministri,
in tempo per i tg della sera. Al suo fianco torna Angelino Alfano, vicepremier
del Pdl, felice di poter vantare i risultati del suo ruolo di “sentinella delle
tasse”. Sono tutti contenti: la stangata diventa una spolverata di rigore con
accenni di spesa per scavallare almeno la scadenza della mezzanotte, termine
per mandare la bozza della legge di Stabilità alla Commissione europea a
Bruxelles che farà un’esame preliminare prima del Parlamento. Letta aveva preso
un impegno: questa legge di stabilità dovrà essere ricordata per un forte
intervento sul cuneo fiscale, cioè sul carico di tasse e contributi che pesa
sulla busta paga del dipendente e sul datore di lavoro. Nelle simulazioni della
vigilia si parlava di 4-5 miliardi all’anno con benefici – a spanne – di 200
euro a lavoratore. Ma l’intervento sarà minimalista: 10 miliardi in tre anni, nel
2014 soltanto 2,5. Quindi il beneficio sarà di poche decine di euro al-l’anno.
E l’impatto sull’economia non percepibile.
Ma non importa, perché riducendo le
ambizioni sul cuneo, Letta è riuscito a evitare i tagli alla sanità di cui si
parlava nelle bozze della manovra: 4,5 miliardi di euro che avevano fatto
protestare il ministro della Salute Beatrice Lorenzin e tutte le categorie
coinvolte. Niente tagli, dunque, con il Pd che si tranquillizza perché
l’effetto si sarebbe sentito soprattutto nelle Regioni del centro-nord, come
Toscana ed Emilia. In quota centrosinistra vanno anche tutti gli interventi
sociali: il blocco dell’aumento dell’Iva per le cooperative e il
rifinanziamento dei fondi per la non autosufficienza.
Il Pdl può intestarsi la “vision della
manovra”, come dice Alfano, cioè “meno spesa e meno tasse”. Letta usa la sua
ormai consolidata tattica di comunicazione retorica: l’elenco. Cita tutto,
incluse misure solo futuribili come la tassazione dei capitali italiani in
Svizzera e un piano di privatizzazioni i cui contenuti sono sempre vaghi.
Glissa invece con una certa abilità sui dettagli della tassazione immobiliare:
è ormai chiaro che la Service Tax, che ora si chiama Trise, sarà pesante, che
colpirà anche gli inquilini oltre che i proprietari e che dovrebbe coinvolgere
anche la prima casa (nessuno sa, inoltre, da dove arriveranno i 2,4 miliardi
necessari a evitare il pagamento della rata Imu di dicembre). Ma al Pdl
l’argomento non è congeniale, quindi Letta evita di approfondire. E i 500 milioni
di tagli alle taxexpenditures, cioè detrazioni e deduzioni, si potrebbero anche
chiamare “aumenti delle tasse”, ma Letta non usa formule così brutali.
“Le ultime misure dell’Italia sembrano
andare nella direzione giusta”, aveva detto il commissario europeo Olli Rehn
alla vigilia del Consiglio dei ministri, a marcare una certa benevolenza
dell’Europa.
Dietro gli slogan restano molte domande. La
prima è se l’Europa riterrà sufficienti le coperture. L’altra – sollevata da
Confindustria – è se questi interventi sono sufficienti a spingere la crescita.
Il ministro Saccomanni si sbilancia: “Non cresceremo a ritmi cinesi, ma
possiamo arrivare al 2 per cento”. Sembra tanto, ma il governo aveva già
stimato prima della manovra un Pil a +1,7 per cento nel 2015 e +1,8 nel 2016.
Quindi, di fatto, anche Saccomanni ammette che la manovra non servirà a molto.
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