da: La Stampa
Se il sistema americano «Prism» ha
monitorato negli ultimi anni le comunicazioni elettroniche nel Pianeta e le
antenne della «National Security Agency» hanno intercettato i leader alleati di
Washington, in occasione dell’ultimo summit del G20 gli organizzatori russi
avrebbero consegnato ad alcuni dei Capi di Stato e di governo ospiti una
chiavetta Usb capace di spiarli.
Le rivelazioni sullo spionaggio elettronico
che finora hanno bersagliato gli Stati Uniti sembrano così estendersi alla
Russia, lasciando intendere l’intensificazione di una guerra di spie innescata
dalla fuga ad Hong Kong di Edward Snowden, l’ex analista della «Nsa» scappato
dalle Hawaii con i segreti più preziosi dell’arsenale digitale del Pentagono ed
ora esiliato in Russia, dove a proteggerlo sono i discendenti dell’ex Kgb.
Durante la visita svolta in giugno a Berlino, era stato il presidente americano
Barack Obama a dire a chiare lettere che «non siamo i soli a usare lo spionaggio
elettronico sebbene siamo gli unici a doverne rispondere pubblicamente» e nelle
settimane seguenti è tornato sull’argomento, lasciando trapelare l’irritazione
di Washington per il perdurante silenzio sulle analoghe attività dei più
agguerriti concorrenti strategici: Pechino e Mosca anzitutto.
I sospetti che ora si indirizzano sulla
Russia di Vladimir Putin per le chiavette-spia del G20 si accompagnano
all’ipotesi che qualcosa sia saltato nei delicati equilibri che regolano la
convivenza fra servizi segreti, innescando un domino di rivelazioni che - a
prescindere dalla loro fondatezza - sono destinate a moltiplicare le
fibrillazioni internazionali. Ciò che viene meno è una delle regole più antiche
delle relazioni fra potenze: ci si spia senza dirlo e le guerre di intelligence
avvengono lontano dai riflettori. Se il crollo del Muro di Berlino ha portato
ad un mondo multipolare dove ogni nazione può ambire ad essere decisiva, le
rivelazioni di Snowden hanno rotto il tacito equilibrio fra i maggiori servizi
di intelligence dando vita ad una sorta di Far West delle spie che si consuma
in maniera plateale sulle prime pagine di siti Internet e quotidiani.
Ciò che colpisce è come le vittime più
ambite in questo Far West sono i leader di governo. Se il capo della
commissione «Homeland Security» della Camera dei Rappresentanti, Pete King,
difende le intercettazioni dei leader stranieri considerandole «intelligence di
grande valore» le antenne di ascolto che i militari cinesi posizionarono
davanti all’hotel di Pechino che ospitava George W. Bush nel 2008 confermano
come gli inquilini della Casa Bianca siano spesso soggetti a simili attenzioni.
Il motivo è che le parole del leader sono una finestra non solo sulle informazioni in possesso del suo Paese ma anche sulle sue intenzioni immediate. Conoscerle consente di avvantaggiarsi in battaglie, politiche o economiche, che possono svolgersi nei consessi internazionali più diversi: dalle dispute commerciali in seno al «Wto» a quelle sull’unione bancaria a Bruxelles, fino alle liti sulla Siria nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’intelligence è così diventata lo strumento di un duello sempre più personale fra i leader delle diverse potenze: determinati a conoscere cosa pensa il rivale per poterlo anticipare, beffare.
Il motivo è che le parole del leader sono una finestra non solo sulle informazioni in possesso del suo Paese ma anche sulle sue intenzioni immediate. Conoscerle consente di avvantaggiarsi in battaglie, politiche o economiche, che possono svolgersi nei consessi internazionali più diversi: dalle dispute commerciali in seno al «Wto» a quelle sull’unione bancaria a Bruxelles, fino alle liti sulla Siria nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. L’intelligence è così diventata lo strumento di un duello sempre più personale fra i leader delle diverse potenze: determinati a conoscere cosa pensa il rivale per poterlo anticipare, beffare.
Se la sfida dello spionaggio accompagna i
maggiori eventi internazionali diventano più comprensibili le esitazioni
dell’amministrazione Obama nel fronteggiare le irate proteste dei leader
alleati perché chiedono all’America di compiere dei passi indietro mentre gli
avversari restano agguerriti.
A differenza dei leader di Cina e Russia,
Obama ha però un’opinione pubblica interna a cui deve rispondere e ciò spiega
la scelta di anticipare i tempi della riforma dell’intelligence elettronica, affidandone
la redazione ad una commissione di cinque saggi che dovrà presentare i
risultati entro il 15 dicembre. La loro missione non potrebbe essere più
difficile: rimodellare la più segreta arma elettronica degli Stati Uniti per
proteggere la privacy dei cittadini e rimettere sui binari le relazioni con i
più importanti alleati. Ma prescindere da quale sarà il risultato non è
difficile indovinare che il Far West degli 007 continuerà. Almeno fino a quando
il caso-Snowden non verrà risolto, portando alla creazione di nuovi equilibri
fra i maggiori servizi di intelligence.
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