da: la
Repubblica
Tutto questo gran
parlare della decadenza di B., queste manfrine procedurali, queste schermaglie
politiche, questo rimandare alle calende greche, possono anche durare anni; ma
non mutano di una virgola la sostanza della questione, così facile che la può capire
anche un bambino: può un condannato per reati gravissimi sedere in Parlamento? O
è meglio che se ne vada a casa sua?
Ha stra-ragione (non
semplicemente ragione: stra-ragione) il segretario dell’associazione magistrati
Carbone quando dice che l’incandidabilità dei condannati è «un principio di
etica, e il fatto che ci sia voluta una legge per ribadirlo indica la debolezza
della politica». La legge Severino, in un paese sano di mente, neanche dovrebbe
esistere: normatizza un principio elementare, che dovrebbe essere scontato
prima di tutto per i politici. Girala o rigirala come ti pare, la Severino dice
che in Parlamento non devono sedere dei criminali. Punto. E chi la tira tanto
in lungo cerca di aggirare non tanto la Severino, quando l’ovvio principio etico
che quella legge interpreta, nella penosa necessità di sancire ciò che ogni
politico, per sua dignità, avrebbe dovuto sapere già da sé solo, senza alcun
bisogno che un pezzo di carta glielo rammenti.
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