da: La Stampa
In Italia prove tecniche di reddito
minimo, in Germania è guerra per lo stipendio orario
Le disparità nelle retribuzioni orarie
aumentano i working poor (essere poveri pur avendo un lavoro). Inoltre in tutti
i paesi aumentano le misure per la lotta alla povertà
Stipendio
orario minimo e reddito minimo garantito si aggirano per l'Europa. Lo stipendio
minimo orario è il valore di un'ora di lavoro per qualsiasi tipo di attività.
Il reddito minimo garantisce a chi ha perso il lavoro o non ha mezzi adeguati
per vivere un aiuto minimo dignitoso. Le due formule sono quindi molto diverse tra
loro. In Germania è scoppiata la guerra dello stipendio orario.
Socialdemocratici e verdi hanno appena lanciato la proposta di un salario
minimo di 8,5 euro l’ora, con grandi proteste degli imprenditori. E’ probabile
che il compromesso con Angela Merkel e le imprese si assesti sui 7-7,5 euro
l’ora.Anche in Germania crescono i working poor (che sono i poveri che pure
hanno un lavoro), che però sono coperti dal reddito minimo garantito previsto
per legge. In Spagna il salario minimo è di 19 euro al giorno. In Francia lo
Smic è di 8,86 euro l'ora. Negli Stati Uniti Barack Obama ha proposto di alzare
il salario minimo, oggi a 7,25 dollari l’ora, almeno a 9 dollari l'ora.
Italia. In
Italia non abbiamo né salario minimo né reddito minimo garantito. Per la verità
il salario orario minimo è sostanzialmente garantito dai contratti, che però
cominciano ad assomigliare a una coperta corta, viste le trasformazioni del
lavoro, oggi meno garantito del passato; mentre si è avviato un percorso per il
reddito minimo. Per stare ai paralleli, in Belgio si chiama Minimax, un salario
mensile di 650 euro per chi è in povertà. In Lussemburgo c’è il Revenu minimum
guaranti, di1.100 euro al mese. Nei Paesi Bassi ci sono il Beinstand ma anche
il Wik di 500 euro, riservato a permettere agli artisti un minimo di libertà
creativa. In Austria c'è il Sozialhilfe, in Norvegia il reddito di esistenza,
in Germania l’Arbeitslosengeld II. L’Italia è l’unico grande paese europeo a
non avere una misura di questo tipo, insieme alla Grecia.
Sia. Ora nel nostro
paese sbuca il Sia, una misura che significa Sostegno d’inclusione attiva, una
misura che ci chiede l’Europa. Non è un reddito di cittadinanza (rivolto a
tutti indistintamente), ma un sostegno rivolto ai poveri, identificati come
tali da una prova dei mezzi. “L’ammontare dell’erogazione monetaria alle
famiglie beneficiarie del Sia – si legge in un documento steso da una
commissione di circa 15 esperti voluta dal ministro del Lavoro, Enrico
Giovannini - è idealmente pari alla differenza tra la misura delle loro risorse
economiche e il livello di riferimento, stabilito per legge per identificare la
condizione di povertà”. Non esiste ancora una valutazione dei costi, ma a
titolo esemplificativo si stima che il progetto possa ragionevolmente comportare
un costo a regime dell’ordine di circa 7 miliardi, che consentirebbe di
interessare circa il 6% delle famiglie italiane. Nel documento vengono
prospettate anche ipotesi meno onerose: un’integrazione dei redditi familiari
fino a metà della soglia di povertà assoluta potrebbe costare circa 1,5
miliardi. Uno studio di Tito Boeri e Roberto Perotti pubblicato sul sito
lavoce.info fornisce altre stime prudenziali (probabilmente in eccesso) secondo
il suo ammontare e le tipologie di redditi da considerare nel selezionare la
platea dei beneficiari. Il Rmg andrebbe inizialmente introdotto a un livello
abbastanza basso e poi incrementato. Un Rmg da 500 euro potrebbe costare tra 8
e 10 miliardi di euro. Non poco, ma intanto il progetto Sia ha avviato il suo cammino.
Mentre in Svizzera è stato promosso un referendum per introdurre un reddito di
cittadinanza di 2.500 franchi, 2mila euro al mese. La misura costerebbe sui 400
miliardi di franchi l'anno, 326 miliardi di euro. Cifre da far tremare i polsi!
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