Visto per caso, mentre mi concedevo qualche
minuto di zapping. Sta diventando un appuntamento ricorrente. E’ uno dei
pochissimi programmi che vale la pena seguire e trovo la classifica dei “cinguettii”
una delle cose più azzeccate e spassose.
da: Sorrisi e Canzoni Tv
Gazebo
dietro le quinte: intervista a Zoro
Dietro gli spalti che ospitano il pubblico
di «Affari tuoi» si nasconde uno dei programmi più divertenti e innovativi
della tv. Nato a marzo come esperimento notturno della domenica, «Gazebo» è
stato promosso a striscia quotidiana dal martedì al giovedì, in seconda serata
su Raitre, con durate variabili.
A guidare la compagnia di «Gazebo» c’è Diego
Bianchi in arte «Zoro», talento geniale nato sul web e lanciato da «Parla con
me». Accanto a lui, i disegni poetici e spietati di Marco «Makkox» Dambrosio,
gli stralunati sondaggi del
tassista Mirko «Missouri 4», le opinioni del
giornalista Marco Damilano e l’improvvisazione musicale di Roberto Angelini
(chitarra) e Giovanni di Cosimo (tromba). Un gruppo affiatato che sta
inventando un nuovo modo di fare satira in tv.
Abbiamo fatto una lunga chiacchierata con
Zoro. Ecco cosa ci ha raccontato.
Come
sono andate queste prime settimane della nuova annata di Gazebo?
«Sono andate bene, complessivamente. Stiamo
cercando di mettere a punto la macchina, capire con quali criteri lavorare. Le
puntate vengono realizzate in tempo reale, seguiamo l’attualità mentre si
svolge cercando di starle attaccata e già nelle prime settimane abbiamo avuto a
che fare con una crisi di governo, con il dramma di Lampedusa, con il funerale
di Priebke ad Albano. Non ci siamo già fatti mancare emozioni forti e cose
complicate da raccontare, soprattutto Lampedusa: andare in onda in diretta con
il dramma ancora in evoluzione non era facile, ma ci abbiamo provato e siamo
soddisfatti di essere riusciti a cambiare registro. La nostra ambizione non è
solo far ridere ma anche raccontare gli eventi».
È
difficile cambiare registro?
«Quando vai in onda una volta alla
settimana, ci sono tante cose che puoi raccontare. Andando in onda tre volte
alla settimana devi essere pronto ad affrontare ogni evenienza, compresi dei
fatti clamorosi. Quando li raccontano tutti, poi, devi trovare un modo diverso
dagli altri per raccontarli».
Saper chiudere la parentesi «comica» di un programma di fronte a un dramma, per l’Italia, è un approccio abbastanza nuovo. Molti scelgono di non andare in onda.
Saper chiudere la parentesi «comica» di un programma di fronte a un dramma, per l’Italia, è un approccio abbastanza nuovo. Molti scelgono di non andare in onda.
«Non voglio attribuirci troppi meriti, è
vero che altri programmi non sarebbero andati in onda e forse, chissà, avremmo
fatto bene. Ma noi abbiamo voluto provarci. È una cosa che avevo già fatto in
passato, con il terremoto dell’Aquila: ci sono situazioni in cui scherzare è
impossibile, ma cerco un altro modo di raccontare dei fatti. Anche l’approccio
degli altri a Gazebo è lo stesso: Makkox con i suoi disegni all’occorrenza sa
essere molto lirico e commovente. E poi c’è il tentativo di riportare tutto a
un senso comune, come fa Mirko con i suoi sondaggi: sembrano una cosa
strampalata ma sono spesso molto veritieri. Se stai in taxi tutto il giorno,
sei a contatto con la gente ed è un termometro della situazione. E poi
scandagliamo i social network, che sono una miniera per spunti, anche molto
rivelatori, di quel che succede, del sentire comune, del modo di comunicare di
politici e giornalisti».
Com’è cambiato il lavoro passando da una serata a tre alla settimana?
Com’è cambiato il lavoro passando da una serata a tre alla settimana?
«Sei sempre al lavoro, fai solo quello e
pensi solo a quello. L’anno scorso ogni tanto ci si poteva rilassare, andando
in onda la domenica quello che succedeva il lunedì ormai era troppo lontano».
E
poi ti capita di girare anche nel weekend, per la settimana successiva. In
pratica, lavori sempre?
«Non ci si ferma mai. Nella puntata lunga
del giovedì, dove c’è più spazio, si possono sfruttare anche delle cose girate
il weekend precedente. Il lavoro è così: ci si trova, si leggono i giornali, si
trovano gli spunti, che sono continui e spesso anche casuali. Devi avere anche
un po’ di fortuna, altre cose devi andare a cercarle. Ma ti può capitare di
trovarti materiale per una puntata che non pensavi di avere fino a un minuto
prima».
Ora
che sei più noto di qualche anno fa, senti di avere ancora il vantaggio di
essere meno riconoscibile con le persone che intervisti?
«Se non sanno chi sei, possono non
approcciarsi per nulla oppure ti considerano con grande tranquillità. Ora,
sapendo più o meno dove finiscono i filmati, qual è il contenitore, alcune
dinamiche cambiano. Fino a un certo punto, però: se qualche politico cerca di
usarti facendo una performance te ne accorgi subito, e se sei bravo puoi girare
la cosa a tuo favore e smontarlo. Quando incontri le persone, è più un
vantaggio, hai l’occasione di parlare con tanta gente. Se c’è una fiducia nei
tuoi confronti, la gente si apre di più, ti parla con più spontaneità. La
maggior parte con me si comporta in modo sincero, fiduciosa nel fatto che io
non storcerò quello che loro dicono. O almeno, non è mia intenzione».
Nelle prime settimane gli ascolti sono andati bene, soprattutto dopo «Ballarò». Un po’ meno dopo «The Newsroom».
Nelle prime settimane gli ascolti sono andati bene, soprattutto dopo «Ballarò». Un po’ meno dopo «The Newsroom».
«Abbiamo fatto due record: quello positivo
e quello negativo».
Vi capita di tenere conto del «traino» quando costruite la trasmissione?
Vi capita di tenere conto del «traino» quando costruite la trasmissione?
«Personalmente di queste cose capisco poco,
anche se è ovvio che il giorno dopo guardi quanto hai fatto. Proprio come
quando hai un post sul blog e controlli quanti commenti ti hanno lasciato, cosa
pensa il tuo pubblico, per migliorarsi, per capire cosa non va. Detto questo,
non facciamo mai dei contenuto in virtù del traino o della
contro-programmazione. Facciamo la nostra puntata, cercando di avere contenuti
forti, anche rischiosi, ma se ci credi lo fai. Il potere del traino non è colpa
nostra, sta a chi fa i palinsesti capire quali sono le dinamiche. Quello che
dobbiamo fare noi è un bel programma, sperando di fidelizzare sempre più
persone. In quello stiamo pagando una fase di rodaggio del nostro pubblico, che
deve capire che non siamo più di domenica ma siamo una striscia, e soprattutto
capire quando comincia. Anche perché non si capisce mai bene quando comincia, e
rischi sempre di perdere qualcosa».
Come influisce l’esperienza come blogger in questo lavoro?
Come influisce l’esperienza come blogger in questo lavoro?
«Ancora prima dei social network, il blog
era uno strumento dove verificavi in tempo reale il gradimento di quello che
facevi. Scrivevi una cosa, arrivava il commento che ti diceva se avevi fatto
bene o meno».
Molti di voi autori della trasmissione venite dai blog o dal web, avete una differenza di approccio nei confronti del pubblico.
Molti di voi autori della trasmissione venite dai blog o dal web, avete una differenza di approccio nei confronti del pubblico.
«Noi siamo tutti nati in rete
professionalmente, anche non abbiamo più vent’anni, e quindi siamo abituati ad
avere un feedback immediato. C’è tutta una generazione di conduttori e persone
che stanno in televisione che, al massimo, avevano l’Auditel e qualche
recensione sul giornale, o quello che ti incontra per strada. Ormai invece è
così per tutti programmi».
Diciamo che siete vaccinati.
Diciamo che siete vaccinati.
«Esatto. Poi tutto va commisurato, a volte
mi fanno sorridere i programmi che si vantano di essere primi in classifica con
il loro hashtag, come se fosse un risultato devastante. La rete è spesso una
lente un po’ fuorviante».
A volte i record su Twitter riguardano poche migliaia di persone, in trasmissioni che fanno ascolti di milioni di spettatori.
A volte i record su Twitter riguardano poche migliaia di persone, in trasmissioni che fanno ascolti di milioni di spettatori.
«Non possiamo negare che ci faccia piacere
avere un grande successo su Twitter. Però ecco, non ci esaltiamo se uno dei
nostri hashtag ha raggiunto il primo posto. Ci fa anche un po’ ridere, però
siamo contenti perché significa che quella singola idea ha fatto breccia in un
determinato tipo di pubblico. Giochiamo con questa cosa per tutta la puntata,
anche con hashtag che non hanno senso, che seguono i servizi».
È sicuramente uno dei programmi che ci gioca in modo più intelligente.
È sicuramente uno dei programmi che ci gioca in modo più intelligente.
«Uno cerca di usare tutti gli strumenti che
ha a disposizione, poi qualche volta l’azzecca e qualche volta no. È lo stesso
anche per la musica, che per Gazebo è importantissima».
Anche
quelle sono scelte frutto di lunghe discussioni, giusto?
«Secondo me è una di quelle cose che ci
rendono diversi da altri programmi.
Roberto Angelini e Giovanni Di Cosimo. suonano dal vivo, improvvisano
dal vivo, non sanno mai quello che sta per succedere nella puntata, quindi
commentano al volo cose che non conoscono ancora».
Questo vale per tutti?
Questo vale per tutti?
«Io non ho un gobbo da leggere quando vado
in puntata. Mirko si scrive delle cose sul quadernone di Paperino e poi parte.
Io stesso non so mai quello che Mirko sta per dire, quando vado a sedermi con
lui. Se lo sapessi prima, mi brucerei in camerino la mia prima reazione:
davanti alla telecamera non riesco a recitare lo stupore e la recitazione. Non
dico che siamo dei fenomeni: a volte funziona e altre no. È sempre un rischio,
ma alla fine paga».
Restituisce un senso di spontaneità.
Restituisce un senso di spontaneità.
«Sì, vale tutto. Ed è importante il gioco
di squadra».
Quindi è quasi tutto improvvisato?
Quindi è quasi tutto improvvisato?
«Nella puntata, quasi tutto. Cioè, c’è una
scaletta. C’è un foglio, appoggiato su una cassa, dove ci sono scritte le cose
che succederanno. Ma saranno cinque frasi per puntata».
Ma vi tenete la possibilità di bruciarla.
Ma vi tenete la possibilità di bruciarla.
«Più che altro c’è la possibilità che io mi
scordi delle cose e le cambi senza volerlo, è successo anche questo».
Tutto questo in un periodo in cui la diretta pura è in fase di decadenza.
Tutto questo in un periodo in cui la diretta pura è in fase di decadenza.
«Da noi, se casca un cameraman o io dico
una stronzata, te ne accorgi subito».
Siete comunque piuttosto atipici rispetto alla Rai della prima serata.
Siete comunque piuttosto atipici rispetto alla Rai della prima serata.
«Una cosa è certa, se ci mettessero alle
nove di sera faremmo sempre la stessa cosa, ci comporteremmo nello stesso modo.
È questo quello che sappiamo fare, forse è un pregio, può essere anche un
limite».
Gazebo potrebbe mai uscire dalla seconda serata? Magari in preserale?
Gazebo potrebbe mai uscire dalla seconda serata? Magari in preserale?
«Ci sono i programmi che, messi in un
determinato contesto, creano quella particolare comunità, si citano sempre i
programmi di Arbore o “Avanzi” o “Parla con me”. Ed è valso anche per noi,
soprattutto l’anno scorso quando partivamo a mezzanotte. Al tempo stesso, però,
per me al centro ci deve essere sempre il contenuto di quello che fai. Quando
sono passato con i miei video da YouTube a Raitre, cioè da trentamila persone
in un mese a un milione in cinque minuti, non ho cambiato il video. Il
contenuto dev’essere sempre lo stesso perché io credo in quel contenuto, perché
vale e perché è forte. Quindi, se anche finissimo all’ora di cena, l’importante
sarebbe essere competitivi facendo le stesse cose che faremmo di notte. E
magari ci vedrebbe e gradirebbe anche un altro tipo di pubblico, quello che va
a dormire presto».
Nella storia di Gazebo, qual è il servizio di cui sei più orgoglioso?
Nella storia di Gazebo, qual è il servizio di cui sei più orgoglioso?
«Lo scorso anno, il nostro cavallo di
battaglia è stato quando siamo andati a Tragliata, appresso a Beppe Grillo.
Mirko si è messo il giubbetto di Grillo e tutti gli sono andati incontro. Il
corto circuito con il circo mediatico lì aveva raggiunto l’apice. L’acquisto di
questo giubbetto è stata l’unica spesa extra di Gazebo. Dissi: andiamoci e
portiamolo, qualcosa ci faremo. Pensavo di indossarlo io, invece lo misi
addosso a Mirko e ripresi tutto. Un capolavoro. Ci abbiamo anche aperto il
Tg1».
E
quello che è stato più impegnativo a livello emotivo?
«Sono molto orgoglioso di quello che
abbiamo fatto su Lampedusa. Noi siamo percepiti come un programma di
intrattenimento, cosa che siamo, ma vorremmo essere anche un programma di
informazione, di racconto a modo nostro, anche di fronte a una tragedia del genere.
È una sfida che ci è capitata subito, alla terza puntata, abbiamo cambiato la
scaletta durante il pomeriggio. L’anno scorso, invece, l’elezione del
Presidente della Repubblica, che abbiamo raccontato e vissuto in tempo reale, e
la sparatoria durante il giuramento dei ministri».
C’è un servizio che non sei riuscito a realizzare?
C’è un servizio che non sei riuscito a realizzare?
«Ce ne saranno stati tantissimi. Quest’anno
non sono riuscito ad andare personalmente a Lampedusa, sentivo di dover andare
là, ma non c’era un aereo che mi avrebbe riportato in tempo a Roma per fare la
trasmissione. Tutto non si può fare. Quest’anno cerchiamo di coprire anche con
l’aiuto di altri videomaker, per seguire anche eventi che avvengono in
contemporanea».
Secondo te, com’è lo stato di salute della politica e della satira in tv?
«Non ti saprei dire bene perché non so nemmeno cosa sia, oggi, la satira in tv. È un concetto soggettivo: magari per me è satira qualcosa che per te è una cosa diversa. Ci sono dei momenti di talk show che sembrano satira senza volerlo. Secondo me al momento siamo davanti a un eccesso di racconto: ogni volta che c’è un evento, a raccontarlo siamo dieci in più della volta precedente. Riuscire a differenziarsi qualitativamente è sempre più difficile e non tutti lo fanno. Non vale per tutti, non voglio generalizzare, però è vero che a volte, saltando da un programma all’altro, ti sembra di vedere sempre lo stesso. E che seguire l’attualità a velocità mostruose ti porta a dimenticare le cose che il giorno prima sembravano così importanti. Pensa a Lampedusa: al secondo barcone, nessuno ne discuteva più. È successo il giovedì, e il lunedì già si parlava di tutt’altro. Questo è un problema che, girando spesso, mi trovo ad affrontare. Purtroppo non ho una ricetta».
Secondo te, com’è lo stato di salute della politica e della satira in tv?
«Non ti saprei dire bene perché non so nemmeno cosa sia, oggi, la satira in tv. È un concetto soggettivo: magari per me è satira qualcosa che per te è una cosa diversa. Ci sono dei momenti di talk show che sembrano satira senza volerlo. Secondo me al momento siamo davanti a un eccesso di racconto: ogni volta che c’è un evento, a raccontarlo siamo dieci in più della volta precedente. Riuscire a differenziarsi qualitativamente è sempre più difficile e non tutti lo fanno. Non vale per tutti, non voglio generalizzare, però è vero che a volte, saltando da un programma all’altro, ti sembra di vedere sempre lo stesso. E che seguire l’attualità a velocità mostruose ti porta a dimenticare le cose che il giorno prima sembravano così importanti. Pensa a Lampedusa: al secondo barcone, nessuno ne discuteva più. È successo il giovedì, e il lunedì già si parlava di tutt’altro. Questo è un problema che, girando spesso, mi trovo ad affrontare. Purtroppo non ho una ricetta».
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