da: la Repubblica
Due storie e due persone ci aiutano a
ritrovare un barlume di fiducia in noi stessi e nella nostra dissestata
comunità nazionale. Una è Lea Garofalo, testimone di giustizia uccisa a
tradimento nel 2009 dal suo ex compagno mafioso. Lea ha potuto avere solo ieri,
a Milano, con Pisapia e don Ciotti a portare la bara in spalle, funerali degni
del suo coraggio. Ma neppure il più potente e ricco dei mafiosi potrà mai avere
l’amore e il rispetto della grande folla partecipe, e orgogliosa di lei, che si
è stretta attorno a Lea, alla figlia, a tutti quelli che si ribellano
all’oppressione dei boss.
L’altro è Silvio Scaglia, il patron di
Fastweb che ha affrontato con una serenità e una forza d’animo ammirevoli un
anno di insensata reclusione preventiva (prima a San Vittore, poi ai
domici-liari) uscendone del tutto discolpato e umanamente indenne (basta
sentire il tono delle sue interviste). In entrambi i casi, ovviamente
diversissimi, c’è un deficit di giustizia che ferisce la coscienza pubblica, e
c’è una risposta individuale limpida e forte. E c’è il lungo silenzio, o quanto
meno la palese sottovalutazione, del sistema mediatico, che troppo spesso
riesce a rimediare alla solitudine delle vittime, e degli innocenti, solo dopo
che le vittime e gli innocenti hanno avuto la forza, in totale solitudine, di
resistere all’ingiustizia.
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