da: la Repubblica
Nel dibattito molto emotivo sulla
condizione carceraria non si capisce perché siano usati l’uno contro l’altro
due argomenti ugualmente inoppugnabili come la certezza della pena e
l’utilità/umanità della stessa. Un Paese che apre le sue carceri perché non è
in grado di averne a misura di Costituzione, e si vergogna delle decrepite
galere dove stipa i detenuti, non è un Paese serio. Indulto e amnistia,
quand’anche servano (e servono) a far scendere la febbre delle carceri, e ad
alleviare sofferenze, hanno il difetto “politico” di sembrare un espediente
tanto quanto i giustamente detestati condoni edilizi e fiscali. In questo senso
credo abbia ragione Matteo Renzi quando eccepisce sull’indulto. Lo avrà anche
fatto per ragioni elettorali, ma il problema c’è e non vederlo vale a credere
che basti, ogni tanto, un breve sussulto di unanime pietismo per affrontare una
piaga strutturale, e considerata con giusta severità dall’Europa. All’orribile
colpa di mantenere reclusi anche imputati non ancora passati in giudizio
definitivo, o poveri cristi ingabbiati per reati minori, lo Stato somma quella,
non meno grave, di non provvedere alla salute, alla dignità, ai diritti di chi
sta in carcere anche per giusta pena. È facile commuoversi per gli innocenti in
carcere, il problema vero è che bisogna commuoversi per i colpevoli.
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