da: Il Fatto Quotidiano
Letta usa i soldi dei libretti di
risparmio per salvare Colaninno e soci.
La compagnia postale ha già quattro aerei ma cerca di venderli perché in
perdita da anni.
Nessuno voleva la decotta Alitalia privata,
quindi Enrico Letta la rifila alle Poste Italiane, cioè allo Stato, visto che
la società del servizio postale è controllata al cento per cento dal Tesoro. Lo
conferma una nota di Palazzo Chigi: “Il governo esprime soddisfazione per la
volontà di Poste spa di partecipare, come importante partner industriale,
all’aumento di capitale di Alitalia”.
Il presidente dell’Ente nazionale aviazione
civile, Vito Riggio, dice che se Alitalia non ottiene un aumento di capitale da
300 milioni e prestiti bancari da 200 entro domani gli aerei resteranno a
terra. Le Poste dovrebbero ro mettere almeno 75 dei 300 milioni necessari,
quasi un contributo a fondo perduto, visto che l’aumento di capitale serve solo
a guadagnare qualche mese.
CHE C’ENTRA il servizio postale con il
trasporto aereo? Le Poste guidate da
Massimo Sarmi hanno già una loro compagnia
aerea: si chiama Mistral Air, l’ha fondata nel 1981 Carlo Pedersoli, alias Bud
Spencer, ed è al cento per cento delle Poste Italiane dal 2005. A vedere i
bilanci, le Poste non sembrano l’azionista giusto per Alitalia, visto come
hanno gestito Mistral, quattro Boeing 737-300 a doppio uso, di notte trasporto
merci (lettere e non solo), di giorno voli charter per passeggeri. Gli ultimi
tre bilanci sono stati chiusi tutti in rosso dall’amministratore delegato di
Mistral Riccardo Sciolti: fatturato di 104 milioni di euro e perdite per 8,2
milioni nel 2012 (2,2 nel 2011, 1,5 nel 2010). Risultati che hanno spinto le
Poste a mettere in vendita il cento per cento della sfortunata compagnia. E
ora, invece di liberarsene, il dinamico Sarmi (che è in corsa sia per la
riconferma alle Poste che per la presidenza di Telecom Italia) usa Mistral Air
come gancio per investire in Alitalia. Nella pomposa prosa del governo: “Le
sinergie industriali tra Alitalia e Poste, anche attraverso la compagnia aerea
controllata Mistral Air, includono i settori del trasporto passeggeri e cargo –
in coerenza con la strategia di sviluppo del-l’e-commerce –, della
fidelizzazione clienti nonché la condivisione delle infrastrutture logistiche,
informatiche e di controllo”. Nella nota Palazzo Chigi avverte: “Il governo si
aspetta che i soci si assumano appieno le loro responsabilità”. Affermazione
misteriosa, visto che i soci non hanno alcuna intenzione di rischiare altri
soldi: pochi mesi fa hanno prestato soldi all’azienda, invece che metterli nel
capitale sociale, sapendo quanto era rischioso.
Tutto questo avviene mentre il ministro del
Tesoro Fabrizio Saccomanni (l’azionista unico delle Poste Italiane) è lontano
dal dossier, a Washington per l’assemblea del Fondo monetario internazionale.
Al ministero la pratica è stata lasciata nelle mani del capo di gabinetto
Daniele Cabras.
Esulta il ministro Maurizio Lupi, Pdl: “ Ce
l’abbiamo fatta”. Il Pd invece è in imbarazzo, a cominciare dal segretario
Guglielmo Epifani che ieri sera a Otto e mezzo su La7 si limita a dire: “Nel
2008 preferivo Lufthansa, si tirò indietro”. Poi però si oppose alla fusione di
Air France. E quando Lilli Gruber gli chiede che pensa dell’arrivo delle Poste,
ammette di non essere neppure informato della nota di palazzo Chigi: “Non
sappiamo ancora se è vero, non sto seguendo questa vertenza”. I parlamentari Pd
vicini a Matteo Renzi cominciano a scaldarsi. Lorenza Bonaccorsi, deputata Pd
della commissione Trasporti, avverte: “Il salvataggio di un’ azienda
completamente privata, quale è Alitalia ormai da cinque anni, compete ai soci e
a chi ha ricevuto dallo Stato un’azienda libera da debiti. I contribuenti hanno
già pagato a caro prezzo”. Troppo tardi.
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