da: l’Espresso
Bergoglio’s
list: Francesco durante il golpe in Argentina
Centinaia
di persone salvate dalla dittatura argentina. E fatte fuggire. Usando una
chiesa come base. Un libro svela il papa segreto. Ai tempi di Videla
di Sandro
Magister
Nella sua intervista a “La Civiltà
Cattolica” che ha fatto il giro del mondo, papa Francesco descrive la Chiesa
come «un ospedale da campo dopo una battaglia», dove la primissima cosa da fare
è «curare i feriti». Ma che cosa cambia quando la battaglia è in pieno corso?
Nella sua Argentina, tra il 1976 e il 1983, Jorge Mario Bergoglio ha traversato
gli anni di piombo della dittatura militare. Sequestri, torture, massacri, 30
mila scomparsi, 500 madri uccise dopo aver partorito in prigione i figli a loro
sottratti. Che cosa fece in quegli anni l’allora giovane provinciale dei
gesuiti argentini è rimasto per lungo tempo un mistero. Così fitto da far
trapelare il sospetto che avesse assistito inerte all’orrore, o peggio, avesse
esposto a maggior pericolo alcuni suoi confratelli, i più impegnati tra i
resistenti.
La scorsa primavera, subito dopo la sua
elezione a papa, queste accuse furono
rilanciate. Furono anche immediatamente
contraddette da voci autorevoli, pur molto critiche del ruolo complessivo della
Chiesa argentina in quegli anni: le madri di Pla za de Mayo, il Nobel per la
pace Adolfo Pérez Esquivel, Amnesty International. La stessa magistratura
argentina aveva esonerato Bergoglio da ogni accusa, dopo averlo sottoposto a
interrogatorio in un processo tra il 2010 e il 2011. Ma se a questo punto era
assodato che l’attuale papa non avesse fatto niente di condannabile, ancora
restava ignoto che cosa avesse fatto eventualmente di buono in quegli anni
terribili, per «curare i feriti» .
Ignoto fino a ieri. Perché a sollevare per
la prima volta il velo su questa faccia nascosta del passato di papa Francesco
giunge ora un libro edito dall’Emi, piccolo di mole ma esplosivo nei contenuti.
Sarà nelle librerie italiane dal primo ottobre, e poi man mano in altri otto
paesi del mondo dove già sono in corso le traduzioni. “La lista di Bergoglio”,
si intitola. E il pensiero va subito alla “Schindler’s list” immortalata dal
film di Steven Spielberg. Perché la sostanza è la stessa, come dice il seguito
del titolo del libro: “I salvati da Francesco durante la dittatura. La storia
mai raccontata”.
C’è nella parte finale del libro la
trascrizione integrale dell’interrogatorio cui l’allora arcivescovo di Buenos
Aires fu sottoposto l’8 novembre del 2010. Di fronte ai tre giudici, Bergoglio
è incalzato per tre ore e cinquanta minuti dalle domande insidiose soprattutto
dell’avvocato Luis Zamora, difensore delle vittime. Un passaggio chiave
dell’interrogatorio è quando a Bergoglio chiedono di giustificare i suoi
incontri con i generali Jorge Videla ed Emilio Massera, nel 1977. Due sacerdoti
a lui molto vicini, i padri Franz Yalics e Orlando Yorio, erano stati
sequestrati e rinchiusi in un luogo segreto. Il primo era stato per due anni
suo direttore spirituale e il secondo suo professore di teologia, poi si erano
impegnati a fondo con i poveri delle “villas miserias” di Buenos Aires è questo
li aveva resi bersaglio della repressione. Quando furono catturati, l’allora
provinciale dei gesuiti si attivò per sapere dove fossero detenuti. Lo seppe,
erano nella famigerata Escuela Superior de Medicina degli ufficiali della
marina, dalla quale pochi uscivano vivi.
Per chiedere la loro liberazione, Bergoglio
volle incontrare anzitutto il generale Videla, all’epoca il numero uno della
giunta. E ci riuscì due volte, la seconda convincendo a darsi per malato il
sacerdote che diceva messa nella casa del generale e sostituendosi a lui. Dal colloquio
col generale, ebbe la conferma definitiva che i due gesuiti erano nelle
prigioni della marina. Non restava quindi che puntare all’ammiraglio Massera,
personaggio irascibile e vendicativo. Gli incontri furono anche qui due. Il
secondo fu brevissimo. «Io gli dissi: Guardi, Massera, io li voglio indietro
vivi. Mi alzai e me ne andai», ha riferito Bergoglio nell’interrogatorio del
2010.
La notte successiva i padri Yalics e Yorio
furono narcotizzati, caricati su un elicottero e scaricati nel mezzo di una
palude. Ma ai due sacerdoti, in sei mesi di prigionia e di torture, era stato
fatto credere che erano vittime di una delazione del loro padre provinciale. E
in una scheda dei servizi segreti qualcuno scrisse: «Nonostante la buona
volontà di padre Bergoglio, la Compagnia di Gesù argentina non ha fatto pulizia
al suo interno», insinuando una sua complicità con la repressione. «Una
canagliata», tagliò corto a proposito di questa insinuazione il procuratore del
processo del 1985 che condannò all’ergastolo sia Videla che Massera. Quanto ai
padri Yalics e Yorio, riconobbero poi entrambi la falsità delle accuse contro
il loro superiore, con il quale si rappacificarono pubblicamente.
Ai generali l’allora provinciale dei
gesuiti era riuscito a dare di sé l’idea che se ne stesse rintanato nel suo
Colegio Máximo di San Miguel, in attesa della bonaccia. Ma quello che il libro
rivela per la prima volta è enormemente di più. Nello Scavo, l’autore
dell’inchiesta, cronista giudiziario di “Avvenire”, ha scoperto collegando assieme
le testimonianze di numerosi scampati che Bergoglio tesseva silenziosamente una
rete clandestina che arrivò a salvare molte decine se non centinaia di persone
in pericolo di vita. Mentre il generale Videla ordiva i suoi piani sanguinosi
dai saloni della Casa Rosada, a pochi passi, lungo il vicolo che si addentra
nel quartiere di Monserrat, c’è la chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, con
annessa residenza dei gesuiti e scuola cattolica. E lì il provinciale dei
gesuiti dava appuntamento ai ricercati, per le ultime istruzioni prima di
imbarcarli clandestinamente sui battelli che trasportavano frutta e mercanzie
da Buenos Aires a Montevideo, in Uruguay, a un’ora di navigazione. Mai i
militari avrebbero potuto immaginare che quel sacerdote li avrebbe sfidati così
da vicino.
La riuscita di ogni operazione era legata
alla segretezza che intercorreva anche tra chi la compiva o ne beneficiava. Le
persone che entravano nella rete di protezione organizzata da Bergoglio non
sapevano di altri che erano nelle loro stesse condizioni. Nel collegio di San
Miguel arrivavano e partivano, per motivi detti di studio o di ritiro
spirituale o di discernimento della vocazione, uomini e donne che in realtà
erano ricercati come “sovversivi”. Per metterli al sicuro la meta era spesso il
Brasile, dove a sua volta c’era una rete analoga di protezione organizzata dai
gesuiti del posto. Ma era Bergoglio il solo che teneva le fila di tutto.
L’anziano gesuita Juan Manuel Scannone, che è oggi il teologo più importante
dell’Argentina e più stimato dall’attuale papa, era anche lui all’epoca a San
Miguel. Ma non si avvide di nulla. Solo dopo molti anni lui e altri
cominciarono a confidarsi e a capire: «Se uno di noi avesse saputo e fosse
stato sequestrato e sottoposto a tortura, l’intera rete di protezione sarebbe
saltata. Padre Bergoglio era consapevole di questo rischio e per questo tenne
tutto segreto. Un segreto che ha mantenuto anche in seguito, perché non ha mai
voluto farsi vanto di quella sua eccezionale missione».
La
“lista” di Bergoglio è un insieme di storie personali diversissime, di
appassionante lettura, il cui tratto comune è d’essere state salvate da lui.
C’è Alicia Oliveira, la prima donna a diventare giudice penale in Argentina e
anche la prima ad essere licenziata dopo il golpe militare, non cattolica e
neppure battezzata, entrata in clandestinità, che Bergoglio portava in
macchina, nel bagagliaio, dentro il collegio di San Miguel, per farle
incontrare i suoi tre bambini. Ci sono i tre seminaristi del vescovo di La
Rioja Enrique Angelelli, ucciso nel 1976 dai militari con un incidente stradale
simulato dopo che aveva scoperto i veri responsabili di numerosi assassini. C’è
Alfredo Somoza, il letterato salvato a sua insaputa. Ci sono Sergio e Ana
Gobulin, impegnati nelle baraccopoli, sposati da padre Bergoglio, lui arrestato
e lei ricercata, entrambi salvati e fatti espatriare con l’aiuto dell’allora
viceconsole italiano in Argentina, Enrico Calamai, un altro degli eroi della
storia. Come papa ma prima come uomo
Francesco non cessa di stupire.
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