da: Il Fatto Quotidiano
Caro Professor Paul
Krugman, un premio Nobel come
lei difficilmente leggerà la stampa italiana. Ma vista la eco che hanno qui i
suoi editoriali sul New York Times e il suo blog, vale la pena fare
qualche osservazione.
Lei ha perfettamente ragione a deridere le stupide politiche di
austerità di bilancio cui ci siamo sottoposti in Europa. Come ha
ricordato nel suo ultimo articolo per la New York Review of Books, i
soloni del rigore hanno sbagliato tutto.
Carmen
Reinhart e Kenneth Rogoff hanno imposto il dogma che
il debito pubblico non dovesse superare il 90 per cento per colpa di un difetto del
software Excel che alterava i risultati, il Fondo monetario
internazionale ha calcolato male l’impatto sull’economia degli aumenti
delle tasse e del taglio della spesa in tempo di recessione, Alberto Alesina e
Silvia Ardagna probabilmente hanno davvero provocato danni convincendo le
istituzioni europee che la storia dimostrasse che tagliare la spesa pubblica è
la premessa della crescita.
Però, professor Krugman, lei deve capire
che i suoi articoli sono letti anche da un pubblico di non americani. Che
predicare a noi la politica monetaria espansiva all’americana serve
a poco, finché la Banca centrale europea
è vincolata da trattati che non prevedono la piena occupazione tra gli
obiettivi da raggiungere. E che invocare stimoli fiscali analoghi a quelli
americani per Paesi ad alto debito – tipo l’Italia – è facile, praticarli molto
meno.
Bisognerebbe essere keynesiani a livello europeo, ma lei sa quanto è complicata la
politica a Bruxelles, che non è solo questione della parrocchia economica di
appartenenza. Dovrebbe poi capire, professore, che all’italiano medio che vede
lo Stato buttare centinaia di milioni di euro per sostenere industrie parastatali che poi scaricano su clienti e imprese le loro
inefficienze (vedi il settore dell’energia) o che usano i sussidi per competere
a spese dei concorrenti (vedi le ferrovie), o che assiste al proliferare di
strati di burocrazia che succhiano risorse al tessuto produttivo per
alimentarsi distruggendo la competitività, ecco, a questo italiano medio l’idea
che tagliare la spesa (quella giusta) sia necessario a crescere pare assai
ragionevole.
Anche se non ha letto Ayn Rand e non ha
studiato alla Bocconi. C’è poi un dettaglio, professore, che lei dovrebbe
spiegare meglio: in poche righe, nel suo ultimo
libro Fuori da questa crisi,
adesso! lei si dimostra d’accordo con Angela Merkel: se non si esce
dall’euro, l’economia riparte con la svalutazione interna, cioè deprimendo i
salari e rendendo i lavoratori meno costosi. È una prospettiva un po’
deprimente, a noi europei servirebbe qualche idea più creativa che, forse,
neppure lei può fornirci. Le basi teoriche dell’austerità sono crollate, ora
serve un approccio alternativo. Che ancora non si vede.
@stefanofeltri
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