da: Il Fatto Quotidiano
Google,
dietrofront sulla privacy: “Su Internet servirebbe il bottone ‘cancella’”
Il
presidente del colosso, Eric Schmidt, si schiera a favore del diritto
all'oblio. Una posizione molto diversa rispetto al passato, condivisa anche
dall'Unione europea. Ma la rimozione dei contenuti sgraditi può essere
strumentalizzata, specie da vip e potenti
di Francesco
Magnocavallo
“L’assenza di un bottone
‘Cancella’ su Internet è una questione importante. Ci sono
situazioni in cui cancellare è la cosa giusta da farsi. Propongo che alla
maggiore età, per regolamento, si cambi nome. Allora sì che si potrebbe dire,
‘Non ero io, non ho fatto io quelle cose’”. Eric Schmidt, presidente
di Google, nel corso di un intervento alla New York University pochi
giorni fa, ha sollevato la questione della riservatezza in rete. In netto
contrasto rispetto al passato. Siamo molto lontani infatti dalla sua
dichiarazione del 2009, sempre in tema di diritto all’oblio, quando aveva
detto: “Se hai cose che non vuoi che nessuno sappia, allora forse per prima
cosa non avresti dovuto farle”. Quindi, a distanza di quattro anni, Schmidt fa
dietrofront e in favore della privacy.
In un’intervista per il suo nuovo
libro The New Digital Age, Schmidt parla così
della possibilità di un
monitoraggio governativo delle sue attività digitali: “La privacy è ancora più
importante in questo nuovo mondo interconnesso, ne abbiamo bisogno. Avremo
bisogno di combattere per questo”. E aggiunge: “In America un ragazzo
che sbaglia – che commette un crimine, finisce al riformatorio e poi ne esce –
può chiedere che i dati vengano eliminati dal casellario. E’ una cosa
ragionevole. Ma oggi questo non è più possibile per via di Internet… e questo
contrasta con il nostro innato principio di correttezza. Oggi, dalla nascita
alla morte, il tuo profilo personale sarà sempre più condizionato da eventi
digitali, da cosa la gente dice di te, e sarà molto difficile controllare le
cose”. Con la fine della privacy, quello che acquisirà valore secondo
Schmidt sarà la reputazione pubblica, l’elemento capace di decretare il
nostro successo o l’insuccesso in un mondo ipervisibile.
“Ci sono casi in cui cancellare è
appropriato e altri no. Come decideremo? E’ ora di fare questo dibattito
pubblico”. Google così si ritrova, per voce del suo presidente, un po’ più
vicina alle odiate posizioni dell’Unione Europea, che con l’ormai
prossima General Data Protection Regulation prevede un diritto
all’oblio indigesto alle grandi corporation della Silicon Valley. Queste
invocano la supremazia della libertà di parola, oltre che il desiderio di
fare impresa senza legacci anche quando l’innovazione si scontra con la società
e nascono nuovi usi della tecnologia ancora da digerire e regolamentare.
Addirittura, nei mesi scorsi, John Rodgers del Foreign Service
americano, ha minacciato una guerra commerciale con l’Europa a causa di questa
direttiva. Ma, notano gli osservatori, non sono tanto i dibattiti filosofici
quanto i problemi concreti a rappresentare l’interrogativo più pressante.
Infatti, l’applicazione di una simile legge probabilmente è del tutto
impossibile: ai servizi come Facebook sarebbe imposto di far
rimuovere i dati da dimenticare a tutti i siti terzi che ne avessero
illegalmente fatto copia, pena la corresponsabilità. Il ministero della
Giustizia inglese inoltre ha preso le distanze dalla legge in questione alla
fine di aprile: “Il titolo del provvedimento – ha spiegato – dà adito ad
aspettative poco realistiche e ingiuste sul progetto europeo”.
Tra l’altro, uno degli effetti collaterali
della normativa sul diritto all’oblio lo sintetizza Guido Scorza, giurista
esperto di digitale: “La disciplina europea unica proposta da Viviane
Reding (già Commissario europeo per la società dell’informazione e i mezzi
di comunicazione, ndr) è apprezzabilissima, ma sul diritto all’oblio
non ci siamo. Se consentiamo a chiunque di pretendere la rimozione di un
contenuto sgradito che lo riguarda, tra cento anni quando guarderanno a questa
epoca attraverso Internet sembreremo tutti bravi e buoni. Le storie di corrotti
e delinquenti saranno sparite”. Un dibattito molto complesso, come quello sul diritto
all’oblio, che rischia sempre la strumentalizzazione per gli scopi di
“reputation management” di vip e potenti: è il caso di Carolina Lussana,
allora deputato della Lega Nord, che nel 2009 presentò una proposta di
legge dove il diritto ad essere dimenticati sussisteva anche per chi “esercita
o ha esercitato alte cariche pubbliche, anche elettive, in caso di condanna per
reati commessi nell’esercizio delle proprie funzioni, allorché sussista un
meritevole interesse pubblico alla conoscenza dei fatti”.
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