mercoledì 15 maggio 2013

Milano, la strage del picconatore: il silenzio, complice di Kabobo


da: Lettera 43

Il silenzio di Milano complice di Kabobo
Paura di essere considerati colpevoli. Paralizzati dall'effetto sorpresa. Perché mentre il ghanese passeggiava armato nessuno ha chiamato la polizia. Che avrebbe potuto salvare tre innocenti.
di Cristina Brondoni

Il caso di Mada Kabobo che a Milano ha ucciso a picconate tre persone sabato 11 maggio fa rabbrividire.
Si esce per andare al lavoro o per prendere un caffè di primo mattino e si finisce vittima di uno che, ancora, non si sa perché abbia agito (agli investigatori ha detto di essere stato «guidato» dalle «voci»).
Stabilire le motivazioni, i moventi, che spingono a gesti estremi e, a prima vista inspiegabili, è come provare a indovinare.
Forse soffre di allucinazioni, forse è molto arrabbiato, forse è solo cattivo. Ma, ovviamente, sono solo supposizioni.

I RITARDI NELL'ALLARME. Le domande sono, però, altre. Ci si è chiesti, infatti, come mai chi tra le 5 e le 6 del mattino si è imbattuto in Kabobo armato di spranga prima e di accetta poi non abbia chiesto aiuto.
Qualcuno ha già fatto notare che, forse, la tragedia avrebbe potuto essere evitata con un tempestivo allarme. Ma, anche qui, siamo nel campo delle ipotesi.

IL CASO DEI 38 DI LIVERPOOL. Un esempio drammatico è quanto accaduto a Liverpool il 12 febbraio 1993. In un centro commerciale James Bulger, due anni, venne rapito dagli 11enni Jon Venables e Robert Thompson.
I due condussero il bambino, per mano, fuori dal centro commerciale e, una volta giunti in una zona meno affollata, lo picchiarono. James iniziò a piangere (uno dei colpi gli aveva provocato una ferita alla fronte), perdeva sangue e chiamava disperatamente la madre.
I tre girarono fino a sera per tutta la città e, in questo peregrinare senza meta, incontrarono 38 persone. Ma nessuno chiamò la polizia. Qualcuno chiese cosa stesse succedendo e tutti si accontentarono delle risposte di Jon e Robert. Finché James fu trovato morto il 14 febbraio sulle rotaie della ferrovia. Oltre a essere stato picchiato, era stato seviziato.
I 38 di Liverpool, tutti ascoltati come testimoni, divennero famosi proprio perché in molti fecero notare che se anche uno solo avesse chiamato la polizia forse James non sarebbe morto.
Eppure possono essere diverse le motivazioni per cui si decide di non rivolgersi alle forze dell'ordine.

Perché si può avere paura a chiamare i soccorsi

AVERE QUALCOSA DA PERDERE. Chi ha debiti con la giustizia (o crede di averli o ha paura di poterli avere) di solito evita di chiamare polizia e carabinieri. Magari nella convinzione, di solito errata, di venire caricato di altre responsabilità.
In questo caso manca probabilmente la capacità di discernere tra essere colpevole di qualcosa ed essere, invece, un semplice testimone. E quindi poter dare un aiuto.

PAURA DELLA RESPONSABILITÀ. Chiamare le forze dell'ordine significa anche dover dare i propri dati, rispondere a domande, spiegare la situazione e, ovviamente, fornire un indirizzo per chi deve arrivare sul posto a controllare la situazione.
Sono in molti a voler evitare una telefonata come questa. E non è cattiveria. Piuttosto è sentirsi inadeguati. Sono quelli, per intendersi, che sulla scena di un incidente dicono agli altri: «Qualcuno chiami un'ambulanza». 

LA NUOVA NORMALITÀ. Milano, si sa, è una città grande e tentacolare (o almeno così viene descritta ogni tanto). E qui, un po' come in tutte le grandi città del mondo, certe 'cose' possono accadere.
E, probabilmente, un uomo di colore in strada al mattino presto che brandisce spranga e accetta urlando, potrebbe non essere sembrato così inusuale. Certamente pericoloso, sicuramente bizzarro.
Ma se lo si vede solo svoltare l'angolo e andarsene, probabilmente a nessuno verrà in mente di avvisare la polizia.

QUALCUNO CI AVRÀ GIÀ PENSATO. Ci sono poi quelli che di fronte a una situazione limite come quella di un uomo che prende a picconate altre persone in mezzo alla strada pensa: «Certamente qualcuno avrà già chiamato la polizia».
Poi c'è addirittura chi, in attesa dei soccorsi (che però nessuno ha ancora avvisato) interviene per disarmare l'aggressore. Ma di telefonare proprio non ci pensa.

PARALIZZATI DALL'EFFETTO SORPRESA. Quando accadono fatti eccezionali, come Kabobo andato in giro a uccidere senza motivo, entra in gioco l'effetto sorpresa. Di solito dura poco e presto subentrano altre reazioni, come la paura e la rabbia.
Sicuramente chi ha visto il ghanese in azione è stato colto alla sprovvista. Difficile che chi esca di casa si aspetti di trovarsi di fronte una situazione del genere. Un evento comune più ai film che alla vita quotidiana.
In questi casi può essere che la paura paralizzi, nel senso che non si riesce ad agire. Non si sa cosa fare. E si fa fatica a pensare lucidamente.

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