da: Huffington Post
Pensioni,
ritiro anticipato a 62 anni e 35 di contributi. Ma assegno più leggero dell'8%.
Sul tavolo del governo la proposta Damiano
La controriforma della pensioni alla quale
sta lavorando il neo ministro del Lavoro, Enrico Giovannini, ha ottenuto un
primo appoggio. Sostanziale, visto che è arrivato dal presidente dell’Inps, Antonio
Mastrapasqua. Parlando alla giornata nazionale della previdenza, a Milano, il
numero uno dell’Istituto di previdenza sociale, si è detto convinto che il
sistema delle penalizzazioni ipotizzato da Giovannini è “sostenibile finanziariamente
E’ un passaggio delicato. La riforma
Fornero, come ha certificato la Ragioneria generale dello Stato, garantisce
risparmi per oltre 20 miliardi fino al 2020. Qualsiasi modifica deve tener
conto di questo dato. Lo stesso Giovannini lo ha riconosciuto, e ha detto che
gli interventi andranno calibrati “in modo molto attento" sia per le
implicazioni sulle persone sia per quelle sulla sostenibilità finanziaria del
sistema.
Comunque i vari ministeri sono al lavoro per trovare la quadra. All’attenzione c’è anche un testo, quello firmato dall’attuale presidente della Commissione lavoro della Camera, Cesare Damiano. La proposta Damiano prevede un sistema di anticipo della pensione con un sistema di incentivi-disincentivi. L’età della pensione è fissata a 66 anni. Chi però ha maturato almeno 35 anni contributi, secondo il progetto di legge, può lasciare il lavoro anche a 62 anni con una penalizzazione sull’assegno dell’8%. La penalizzazione, in pratica, sarebbe del 2% per ogni anno di anticipo. Così, per chi decidesse di lasciare a 65 anni, la penalizzazione sarebbe esattamente di 2 punti, a 64 anni del 4% e così via fino al limite dei 62 anni.
Il meccanismo Damiano prevede anche un
meccanismo al contrario, con un premio del 2% sulla pensione per ogni anno di
ritardo del ritiro fino ad un massimo di 70 anni (nel qual caso la pensione
sarebbe più pesante dell’8%).
Il meccanismo del disincentivo, tuttavia,
già esiste nell’attuale sistema. Le donne che hanno 57 anni di età e hanno
almeno 35 anni di contributi, per esempio, possono lasciare il lavoro, ma
devono accettare un calcolo della pensione con un sistema completamente contributivo.
In questo caso, secondo le stime, la penalizzazione è di circa il 25-30%
dell’assegno che incasserebbero con il sistema retributivo. Troppo. Così questa
possibilità è stata utilizzata da pochissime lavoratrici.
L’altro meccanismo di disincentivo previsto
dall’attuale normativa, dà la possibilità di anticipare il pensionamento solo
per i lavoratori che abbiano versato 42 anni e 5 mesi di contributi. In questo
caso di può andare in pensione a 62 anni (invece di 66) senza penalizzazioni.
Se invece, con lo stesso monte contributivo, si decide di andare in pensione
prima, è prevista una penalizzazione dell’1% per ogni anno di anticipo tra 60 e
62, e del 2% per ogni anno di anticipo prima dei 60 anni. Per un lavoratore di
58 anni con 42 anni e cinque mesi di contributi, insomma, la penalizzazione
sarebbe del 6%. Un sistema comunque residuale, che compre solo persone che
hanno iniziato a lavorare prestissimo.
La controriforma alla quale sta
lavorando il governo è solo un tassello di un puzzle molto più ampio, che
riguarda anche gli esodati. L’Inps sta effettuando il conteggio
definitivo (sempre che si arrivi ad una definizione condivisa di esodato). Il
meccanismo di pensionamento flessibile risolverebbe solo in parte il problema,
ossia per i lavoratori molto vicini alla pensione. Per gli altri si stanno
pensando altri meccanismi, come aumentare la platea delle salvaguardie (oggi lo
ha confermato lo stesso Mastrapasqua), introdurre sistemi di sostegni al
reddito e il meccanismo della staffetta generazionale. Con quest’ultimo
meccanismo i lavoratori “anziani” accetterebbero dei part time per far posto a
lavoratori più giovani, ma senza penalizzazioni sulla pensione. Anche in questo
caso il problema è sempre lo stesso. Trovare i soldi.
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