da: Cadoinpiedi
La
Caporetto di via Solferino
La
vicenda del Corsera lo conferma: i giornali come li abbiamo conosciuti negli
anni '80 e '90 sono ormai moribondi. Il mondo va tutto da un'altra parte: le
persone vogliono contare, decidere, partecipare
di Niccolò
Valentini
La mitica sede del Corriere della Sera a
Milano in via Solferino se n'è andata mestamentein un giorno di febbraio.
La notizia si è nascosta tra le ultim'ora che si susseguivano in un giorno come
tanti di una campagna elettorale senza esclusione di colpi.
Sembra davvero strana la vendita della prestigiosa sede proprio in un momento così loffio per il mercato immobiliare. In RCS dicono che la vendono per fare cassa, poi si voltano dall'altra parte e annunciano 800 esuberi, 640 in Italia e 160 in Spagna, e per finire mettono in vendita 10 testate. Certo così avranno la cassa piena...ma gli scaffali vuoti!
Alcuni hanno parlato di armageddon o di ground zero dell'editoria, di sicuro
niente sarà più come prima, come negli anni '80 o '90. I giornali non
sono più prodotti redditizi, anzi la maggior parte delle volte sono prodotti in
perdita, centri di costo più che di ricavo.Sembra davvero strana la vendita della prestigiosa sede proprio in un momento così loffio per il mercato immobiliare. In RCS dicono che la vendono per fare cassa, poi si voltano dall'altra parte e annunciano 800 esuberi, 640 in Italia e 160 in Spagna, e per finire mettono in vendita 10 testate. Certo così avranno la cassa piena...ma gli scaffali vuoti!
Alcuni hanno parlato di armageddon o di ground zero dell'editoria, di sicuro
Il Gruppo Editoriale L'Espresso forse se la passa un po' meglio con la recente iniezione di liquidità di B. dopo la sentenza sul Lodo Mondadori, ma il carrozzone - una volta corazzata - di oltre 3mila dipendenti non è più sostenibile commercialmente, fa fatica a reggersi in piedi tant'è che da anni circola il gossip che il figlio dell'Ingegnere voglia liberarsene per continuare ad accumulare soldi con l'energia, le sospensioni per auto e le residenze per anziani. (Tipici prodotti italiani per i quali il nostro Paese rappresenta l'eccellenza nel mondo..!)
Ed ecco che gli editori cominciano a pensare di chiudere a chiave i siti web, di far pagare quello che si troverà sempre gratis da un'altra parte in Rete. Ecco i concorsi, le promozioni, le offerte da supermercato per spingere gli abbonamenti: "Abbonati a Repubblica, puoi vincere una 500!". Oppure: "Compra un tablet Vodafone, per te in regalo 1 anno di Corriere!" Ecco che l'abbonamento a un settimanale come l'Espresso, che ha fatto la storia dell'omonimo gruppo editoriale nonché di questo Paese, pare venga venduto sotto costo permantenere alta l'audience e continuare a vendere bene gli spazi pubblicitari (l'abbonamento annuale si può acquistare dal sito con uno sconto del 62%, ma chi non lo ha rinnovato ha ricevuto offerte ad-hoc con sconti ancora più forti). Ecco arrivare i publi-redazionali, i messaggi promozional-culturali, le interviste a domicilio e le altre forme di markette di cui oramai sono piene zeppe le pagine dei giornali, nonostante voi paghiate pure quelle. Si è mischiato tutto: informazione, intrattenimento, pubblicità. Non si capisce più dove finisce una e dove inizia l'altra.
Molti giornalisti si sono venduti l'anima al Satana che offriva di più, molti altri si sono fatti plagiare e non è stato neanche necessario fargli un'offerta. La categoria dei giornalisti in Italia al giorno d'oggi è formata per lo più da giovani sfruttati e sottopagati e ultrasessantenni col Parkinson che non riescono neanche più a tenere in mano una penna. Fanno un prodotto, il giornale, che non si vende più come una volta e i cui costi di produzione sono legati a quello del petrolio, essendo così fatalmente destinati a crescere. Per non parlare dei danni che provocano a livello ambientale: inchiostro, distribuzione, carta, anche se riciclata, e suo smaltimento.
I giornali come li abbiamo conosciuti negli anni '80 e '90 sono ormai moribondi, come moribonde sono le edicole e le librerie che ogni giorno vendono, falliscono o chiudono.
Il mondo va tutto da un'altra parte. Le persone sono stufe di subire passivamente la pseudo-cultura che le costosissime firme che scrivono sui giornali vorrebbero infondergli dall'alto del loro Olimpo di intellettuali: ora le persone normali, i cittadini, vogliono contare, votare, decidere. Vogliono partecipare.
Hanno capito - alcuni, ancora non tutti purtroppo - che, delegando a qualcun altro la cura dei propri interessi, il delegato finiva per curare i suoi a discapito di quelli dei deleganti. Ed ecco nascere movimenti politici in cui si parla di democrazia diretta, dove la base decide cosa devono fare i suoi rappresentanti votando in Rete. Ecco nascere aziende in cui i dipendenti sono azionisti alla pari che votano per definire la strategia commerciale da seguire ma anche lo stipendio del general manager, che non è più il loro capo ma un semplice coordinatore alle loro dipendenze. Ecco nascere testate giornalistiche in cui gli azionisti non sono le solite banche, le solite lobby, i soliti palazzinari che formano la quasi totalità della classe imprenditoriale italiana. Giornali il cui statuto prevede l'impossibilità di avere un azionista di controllo. Giornali - per usare le parole di Antonio Padellaro, direttore de Il Fatto Quotidiano - che hanno "una proprietà e non un padrone".
Lo statuto del Fatto, ad esempio, prevede 3 tipi di azioni: la categoria A destinata agli azionisti imprenditori (che da soli non possono detenere più del 16,67% del capitale sociale, insieme devono stare sotto al 70%), la categoria B destinata agli azionisti operatori (i giornalisti stessi che scrivono sul quotidiano) e le azioni speciali che in futuro saranno destinate a lettori e abbonati.
Giornali fatti da giornalisti, lettori e qualche imprenditore veramente illuminato che sono editori di se stessi, che hanno capito fin dal numero 0 l'importanza di Internet. IlFattoquotidiano.it, infatti, non è la semplice declinazione online del giornale cartaceo, ma una vera e propria testata giornalistica indipendente, con la sua redazione, i suoi giornalisti e il suo direttore responsabile.
Invece di bloccare l'accesso ai contenuti e metterli sotto chiave, come hanno fatto già alcuni giornali negli USA quali il New York Times o il Wall Street Journal, hanno lanciato da poco l'abbonamento rivolto all'"utente sostenitore" che trasforma il lettore in un supporter del giornale, gli permette di partecipare alla riunione settimanale, durante la quale può commentare e suggerire gli argomenti da trattare, e scegliere con un sondaggio online quale delle 5 inchieste proposte dalla redazione sarà oggetto di approfondimento nel corso della settimana successiva.
I lettori, i cittadini, vogliono partecipare alla vita pubblica, vogliono commentare le notizie, vogliono condividere con la comunità i loro contributi, denunciare gli sprechi e gli abusi che segnano negativamente le loro vite da ormai troppi anni.
Questo è l'unico futuro per i giornali, l'unica possibilità per non farsi fagocitare da Facebook e Twitter: il lettore dev'essere coinvolto nella definizione della linea editoriale; deve diventare, cioè, parte integrante del prodotto stesso.
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