da: Corriere della Sera
Contratti
a termine flessibili per i giovani. Lavoro part-time prima della pensione
L'intervallo
tra un'assunzione e un'altra potrebbe essere ridotto da 60-90 giorni a 20-30
giorni
Subito il decreto
legge per rivedere la riforma Fornero dell'estate scorsa, restituendo
flessibilità ai contratti a termine. E poi la vera fase
due per provare a risollevare l'occupazione giovanile puntando prima di tutto
sulla staffetta generazionale (leggi sulla Nuvola lo speciale
Staffetta, gli interventi di Reboani, Tiraboschi, Treu), il
meccanismo che agevola l'uscita dal lavoro degli anziani in cambio
dell'ingresso dei giovani e che potrebbe riguardare anche i dipendenti
pubblici. Aggiungendo gli incentivi per le
imprese che assumono giovani, il credito d'imposta per sostenere le buste paga
dei dipendenti a basso reddito, un minimo di flessibilità nell'altra riforma
Fornero, quella delle pensioni, e la rivoluzione dei centri dell'impiego che
dovrebbero agganciare il meccanismo (e i soldi) dell'Europa per la
cosiddetta Youth Guarantee, progetto europeo mirato alla formazione e
all'impiego degli under 25. Il ministro del Lavoro,
Enrico Giovannini, sta approfondendo il suo corposo dossier in vista
dell'incontro di dopodomani con i sindacati e i rappresentanti delle imprese.
Alcuni passaggi sono ancora da valutare, restano molti nodi da sciogliere.
Anche perché se alcune misure, poche, sono a costo zero, la maggior parte ha
bisogno di una copertura. Per questo il grado di avanzamento di ogni singolo
capitolo dipende dalla decisione che l'Unione europea prenderà a breve sulla golden
rule, la possibilità di non tener conto degli investimenti pubblici produttivi,
come i fondi per l'occupazione, dal calcolo del deficit.
CONTRATTI A TERMINE
È il primo pezzetto
dell'intervento, da fare con un decreto legge che potrebbe arrivare già questa
settimana. Con modifiche «limitate e puntuali», come
ha annunciato Giovannini in Parlamento, che riguarderanno i contratti a
termine, resi meno vantaggiosi dalla riforma Fornero che voleva combattere la
cosiddetta «flessibilità cattiva». Cosa cambierà? Saranno ridotti gli
intervalli obbligatori tra un contratto a termine e l'altro che la Fornero
aveva portato a 60 giorni per quelli fino a sei mesi, e 90 giorni per quelli
più lunghi. Difficile che si torni pari pari alla situazione di prima:
rispettivamente 10 e 20 giorni. Il punto di caduta finale potrebbe essere
leggermente più alto (20 e 30) ma molto dipenderà proprio dal confronto con le
parti sociali. Potrebbe essere allungata la durata del contratto a termine per
il quale l'azienda non è tenuta a indicare una causale e che oggi non può
superare l'anno. Mentre si studia la sospensione, forse per un anno, del
contributo aggiuntivo che l'azienda deve pagare su tutti i contratti
flessibili, lasciando però intatti gli sgravi previsti in caso di assunzione a
tempo indeterminato. Dovrebbe essere poi semplificato l'apprendistato
professionalizzante, ancora poco utilizzato per i tanti vincoli fissati dalla
legge.
STAFFETTA GENERAZIONALE
STAFFETTA GENERAZIONALE
Nonostante le
osservazioni e le critiche di questi giorni, il
ministro del Lavoro va avanti e conferma come questo sia un punto centrale nel
suo progetto. Anche
perché ci sono diversi modi per realizzare il graduale passaggio di consegne
tra i lavoratori anziani e quelli giovani. Il primo modello è quello che
utilizza il part time. Un dipendente vicino alla pensione accetta di lavorare
meno ore, con uno stipendio più basso, fino alla fine della carriera. In cambio
la sua azienda assume un giovane con un contratto a tempo indeterminato oppure
due giovani con un contratto a termine. Un intervento del genere costa a spanne
un miliardo di euro per 100 mila assunzioni. Perché loStato dovrebbe pagare una parte dei contributi del dipendente
anziano che altrimenti, accettando il part time, avrebbe in futuro una pensione
più bassa. L'altro modello, invece, prevede che il
lavoratore anziano non vada in part time ma in pensione prima della scadenza
naturale. E in questo caso bisogna intervenire sull'altra riforma Fornero,
proprio quella che ha alzato l'età pensionabile.
PENSIONI
FLESSIBILI
Giovannini ha detto in
Parlamento che l'idea è consentire un'uscita
anticipata a patto di penalizzazioni,
cioè con un assegno più basso. Il punto di partenza è la proposta presentata all'inizio della
legislatura da Cesare Damiano e Pier
Paolo Baretta, poi diventati
rispettivamente per il Pd presidente della commissione Lavoro della Camera e
sottosegretario all'Economia. Considerando come età del ritiro i 66 anni e tre mesi fissati per il 2013, quel testo
lascia la scelta al lavoratore: con 35
anni di contributi potrebbe andare in
pensione tra i 62 e i 65 anni accettando un taglio dell'assegno fino all'8%.
I numeri sono ancora da vedere, la riduzione potrebbe essere più marcata. In
realtà quel disegno di legge prevede anche l'altra faccia della medaglia. Per
chi decide di restare oltre i 66 anni ci sarebbe non un taglio ma un aumento
della pensione, sempre fino all'8%. Ma per questo non sembra esserci spazio.
STAFFETTA
PUBBLICA
Il meccanismo della
staffetta il governo lo vorrebbe applicare anche alla pubblica amministrazione.
Anche perché sarebbe a costo zero. Quando a ritirarsi è
un dipendente pubblico lo Stato risparmia visto che sia lo stipendio che la
pensione sono a suo carico ma l'assegno previdenziale è più basso della busta
paga in media di 8 mila euro l'anno. Così il pensionamento di tre dipendenti
pubblici fa risparmiare allo Stato 24 mila euro l'anno. Proprio quanto
costerebbe assumere un giovane. I conti li ha fatti Oriano Giovanelli,
presidente del Forum del Pd per la pubblica amministrazione: «Nel giro di
cinque anni - spiega - sarebbe possibile ridurre i dipendenti dai 3 milioni e
250 mila di adesso a 3 milioni». E, quindi, avere i soldi per assumere circa 80
mila giovani. Il tema è all'attenzione di Filippo Patroni Griffi, che l'aveva
studiato da ministro del governo Monti e adesso è direttamente a Palazzo Chigi,
nel ruolo chiave di sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Ci sono due
problemi, però. Sui posti eventualmente liberati dai pensionati ci sono gli
occhi dei 110 mila precari della pubblica amministrazione, che il governo ha
appena prorogato fino a dicembre, e anche di quelle 70 mila persone che hanno
vinto un concorso pubblico ma non sono state ancora assunte tra blocco del
turnover e spending review.
SGRAVI
FISCALI
È il capitolo più
difficile ma anche quello che potrebbe dare i risultati più consistenti. La
ricetta del Pdl, zero tasse e contributi sui giovani nuovi assunti, non è
semplice da realizzare. Costerebbe, almeno in prospettiva. Ma sgravi e
incentivi ci saranno anche se si dovrà trovare l'equilibrio con un'altra
misura, cara a Giovannini, e non a caso prevista dal comitato dei saggi
nominati da Napolitano. È il credito d'imposta per i lavoratori a basso
reddito, pensato per sostenerne il potere d'acquisto. Applicando il modello
francese, dove il taglio delle tasse scatta sotto i 17 mila euro lordi l'anno,
costerebbe più di un miliardo.
CENTRI IMPIEGO
C'è poi l'attuazione
della Youth Guarantee, progetto europeo che mette sul piatto 6 miliardi di euro
per 27 Paesi con (l'ambizioso) obiettivo di garantire a ogni giovane, entro
quattro mesi dal termine degli studi, un lavoro o almeno un programma di
formazione. Tema carissimo a Giovannini che da
presidente dell'Istat ha parlato più volte dei neet , i giovani che non
studiano e non lavorano. Per fare questo il governo vuole rivoluzionare i
centri per l'impiego che oggi fanno soprattutto orientamento e poco
inserimento. Il modello viene dal Nord Europa, soprattutto dalla Svezia, dove
ha dato buoni risultati. Resta da vedere se funzionerà anche da noi. E,
soprattutto, se nel frattempo sarà girato il vento della recessione. Visto che
lo stesso Giovannini, in Parlamento, ha messo le mani avanti: «È irrealistico
pensare che interventi di natura normativa, fiscale e contributiva possano da
soli riassorbire la disoccupazione».
Lorenzo
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