da: Il Fatto Quotidiano
Berlusconi
condannato anche in appello al processo Mediaset: 4 anni e interdizione
I
giudici di Milano confermano integralmente la sentenza di primo grado, nella
quale il leader del Pdl è stato riconosciuto colpevole di frode fiscale nella
compravendita di diritti tv. Le pene accessorie, se confermate in Cassazione,
graverebbero sul suo futuro politico. I giudici di primo grado lo avevano
definito "dominus indiscusso" di una "notevolissima
evasione". E avevano sottolineato la sua "naturale capacità a
delinquere"
Silvio Berlusconi è stato condannato in
secondo grado nel processo Mediaset. La corte d’appello di Milano ha confermato
integralmente la sentenza di primo grado, che ha inflitto a Berlusconi quattro anni di
reclusione (di cui tre coperti da indulto) per frode fiscale. I
giudici hanno accolto la richiesta del procuratore generale di Milano, Laura
Bertolè Viale.
Sul futuro politico del leader Pdl pesano
però soprattutto le pene accessorie, anche queste confermate, dell’interdizione
dai pubblici uffici per cinque anni e quella dalle cariche societarie per tre.
E’ la prima sanzione che l’ex presidente del Consiglio teme maggiormente,
perché in caso di conferma definitiva in Cassazione aprirebbe la questione
della decadenza dalla carica di parlamentare.
La condanna ha infiammato la polemica
politica: lo stato maggiore del Pdl è
scattato immediatamente all’attacco dei giudici di Milano, da
Capezzone a Schifani a Brunetta, passando per l’avvocato-parlamentare Ghedini.
La corte che ha confermato la condanna, fra l’altro, era presieduta dal giudice
Alessandra Galli, figlia di Guido, il magistrato ucciso da Prima linea a Milano
nel 1980.
L’ennesima tegola giudiziaria cade sul
leader del Pdl pochi giorni dopo il faticoso avvio del governo di larghe intese
guidato da Enrico Letta. Il Pd tace, almeno nell’immediatezza della condanna:
“Non commento vicende giudiziarie”, dice significativamente Massimo D’Alema. Ma
la questione dei processi che coinvolgono il pluri-imputato Berlusconi pesa
sempre di più sui rapporti interni alla maggioranza forzata che sostiene
l’esecutivo. Ultimo caso, lo scontro sull’elezione di Francesco Nitto Palma
alla Commissione giustizia del Senato. E certo la “naturale capacità a
delinquere” sottolineata dai giudici nelle motivazioni della sentenza oggi
confermata non è un buon viatico per le ambizioni di Berlusconi ad accreditarsi
come “padre nobile” della Patria o quantomeno del centrodestra.
I giudici della seconda Corte d’Appello di
Milano hanno confermato quindi anche l’assoluzione del presidente di Mediaset Fedele
Confalonieri e la condanna a tre anni per il produttore statunitense Frank
Agrama. Confermata anche la provvisionale di 10 milioni di euro a favore dell’Agenzia
delle Entrate che dovrà versare Silvio Berlusconi in solido con altre tre
persone condannate, oltre ad Agrama gli allora manager di Mediaset Daniele
Lorenzano (3 anni e 8 mesi) e Gabriella Galetto (1 anno e 2 mesi).
Le motivazione dei giudici di primo grado:
“Berlusconi dominus indiscusso”. A Berlusconi viene contestato di aver
evaso il fisco, negli anni 2002 e 2003, per circa 7 milioni di euro, attraverso
ammortamenti gonfiati dei diritti televisivi acquistati. E’ il residuo di una
somma ben maggiore – i pm di Milano Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro avevano
calcolato in 368 milioni di dollari la somma gonfiata ai fini dell’evesione
fiscale – via via erosa dai tempi della prescrizione, visto che i fatti
risalgono alla seconda metà degli anni Novanta. Inizialmente, Berlusconi era
accusato anche di appropriazione indebita e falso in bilancio, ma anche su
questo fronte nel 2007 è arrivata la spugna della prescrizione.
Il processo sui diritti tv, tra l’altro, ha
subito lunghe interruzioni, fermandosi per 2 anni, 3 mesi e 5 giorni, ha
calcolato Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, per effetto dei due lodi
Alfano (poi bocciati dalla Corte costituzionale) e dagli impedimenti di natura politica
opposti dall’imputato. A questi vanno aggiunti gli ulteriori rinvii ottenuti da
Berlusconi nel processo d’appello.
In primo grado i giudici avevano motivato
la condanna parlando di “un’evasione fiscale notevolissima” sottolineando che
una catena di intermediari e società schermo avrebbe permesso di gonfiare i
costi d’acquisto dei diritti dei film da trasmettere in tv per creare fondi
neri. Secondo i magistrati non era “sostenibile che la società abbia subito
truffe per oltre un ventennio senza neanche accorgersene” e Berlusconi era il “dominus
indiscusso”. Ma non solo i magistrati nelle motivazioni contestuali aveva
descritto “un preciso progetto di evasione esplicato in un arco temporale ampio
e con modalità sofisticate”.
“Il sistema” dei diritti tv, secondo le
toghe di primo gravo, aveva un “duplice fine”: una “imponente evasione fiscale”
e la “fuoriuscita” di denaro “a favore di Silvio Berlusconi” che ”rimane al
vertice della gestione dei diritti” e del meccanismo fraudolento anche “dopo la
discesa in campo”, perché “non c’era un altro soggetto” a gestire il sistema di
frode. I giudici avevano richiamato anche un verdetto della Cassazione sul caso
Mills, che prosciolse l’avvocato inglese per prescrizione dall’accusa di corruzione
in atti giudiziari, ma attribuì al Cavaliere la paternità dei versamenti sui
suoi conti: “Il giro dei diritti si inserisce in un ricorso più generale a
società off-shore create da Berlusconi affidandosi a fidatissimi
collaboratori”.
Ma non solo per le toghe il comportamento
di Berlusconi, nell’ambito del processo Mediaset sui diritti tv, dimostrava una
“naturale capacità a delinquere” per perseguire “il disegno criminoso”. L’ex
premier era stato ritenuto l’”ideatore” del sistema fraudolento e “non si può
ignorare la produzione di un’immensa disponibilità economica all’estero ai
danni dello Stato e di Mediaset che ha consentito la concorrenza sleale ai
danni delle altre società del settore”.
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