da: La Stampa
Internet
e tv, la guerra è finita
Al
festival di Dogliani si confrontano vecchi e nuovi media. La parola d’ordine è
intersezione e non più opposizione
di Alessandra
Comazzi
La televisione è un elettrodomestico, e
Internet è un ecosistema. La televisione «scorre come l’acqua in cucina»,
diceva Orson Welles che, avendo realizzato «Quarto potere», se ne intendeva. E
dove sta andando, in questo suo scorrere? Nelle braccia del web, dei nuovi
media e della rete? Come agiscono le intersezioni tra media? Come ci
modificano? Con particolare attenzione alla comunicazione politica, se ne parla
per tre giorni, ieri oggi e domani, al Festival della tv e dei nuovi media di
Dogliani, ridente cittadina della provincia di Cuneo, orgogliosa terra di Luigi
Einaudi, ma pure «enclave» enogastronomica apprezzata particolarmente dagli
europei del Nord, olandesi soprattutto.
Il Festival è alla sua seconda edizione,
organizzato da Federica Mariani, Simona Arpellino, Davide Valentini, con
l’appoggio esterno del giovane sindaco Nicola Chionetti, 27 anni, per un po’ il
sindaco più giovane d’Italia, e dello staff di Dogliani Eventi. La
manifestazione 2013 è lievitata, gli ospiti sono 63: da, in ordine alfabetico,
Andrea Agnelli a Vittorio Zucconi, passando per Pippo Baudo
e Matteo
Renzi, Massimo Gramellini, Roberto Saviano, Giovanni Minoli e Andrea
Vianello e Gad Lerner, Lucia Annunziata e Piero Chiambretti, Sarah Varetto,
Andrea Gubitosi, Aldo Grasso, Freccero, don Ciotti, Caselli, Evelina Christillin,
Marco Bardazzi e i tre direttori dei principali quotidiani italiani, Mario
Calabresi, Ferruccio De Bortoli, Ezio Mauro. Più Carlo De Benedetti, che a
Dogliani ha preso casa e che chiuderà il Festival, domani alle 18,30, parlando
con Lilli Gruber e Stefano Folli, su «Un orizzonte per il nostro Paese».
E dunque: come sta cambiando la tv? Che
cosa guarderemo domani? E dove lo guarderemo? Quanto e come incidono i social
network sul dipanarsi dell’informazione e dell’intrattenimento? Qui si vuole
capire meglio il mondo che cambia. Condividere i programmi sul web è ormai una
realtà e la web tv dovrebbe rappresentare oltre ogni ragionevole dubbio il
futuro. Ma quando? Cambiare, si deve. E certo non sono più i tempi della tv
generalista per eccellenza, quella della Rai ai tempi del monopolio, anni
1954-1976. Lo schermo era uno solo, condiviso, quello del televisore. Uno solo
il supporto tecnico. Con il passaggio dall’analogico al digitale, gli schermi
si sono moltiplicati. Non c’è più il televisore, resta la televisione. Nello
stesso tempo, ci dovremo abituare a pagare i programmi realizzati per la rete:
pay internet tv.
«Il futuro è diventato presente, e il
presente sono le intersezioni continue tra radio, video, social network», nota
il direttore della Stampa Mario Calabresi. Luciana Littizzetto e Linus
ricordano come sia più difficile anche il loro mestiere: «Non fai in tempo a
pensare a una battuta, che qualcuno su twitter l’ha detta prima di te». Mentre
Carlo Antonelli, direttore di Wired, la rivista dedicata alla cultura della
rete, si mostra il più distaccato: «Attenzione, siamo tutti soggetti economici.
Noi crediamo di partecipare più attivamente al mondo, con i social network. In
realtà siamo sfruttati». E ci si chiede dove stia andando a parare non soltanto
la televisione, ma proprio l’uomo, quello che Negroponte studiava nel suo Being
digital, essere digitali. Lui contrapponeva tv a Internet, la povertà culturale
della cattiva maestra di Karl Popper alle potenzialità culturali illimitate.
Arduo capire, prevedere. Il direttore generale Rai, Luigi Gubitosi, ha
assicurato che «gli investimenti in tecnologia raddoppiano, nei prossimi tre
anni spenderemo oltre 150 milioni. Il problema in Italia è la questione dei
diritti. Finora eravamo disattenti. La Rai ha concesso a Google i propri
diritti video a un prezzo irrisorio. Stiamo ricontrattando».
E da parte sua Fabio Vaccarono, capo di
Google Italia: «Siamo pronti a trattare. Internet non è antagonista. Internet è
un ecosistema». Renato Soru, fondatore di Tiscali: «Tutti vogliono partecipare,
condividere. Pensiamo a You Tube. Cinquanta ore di produzione video generate
dagli utenti ogni minuto. Con costi di produzione zero e ricavi pubblicitari
importanti. E’ chiaro che la tv deve guardare a questo mondo». Andrea Zappia,
amministratore delegato di Sky Italia punta sull’Auditel, «sistema antiquato»,
e Gubitosi: «Ma è l’unico che abbiamo». E insomma: Video Killed the Radio Star,
diceva la canzone dei Buggles, anno 1979. Ma, come dice Linus, «il video infine
non ha ucciso la radio star». E nemmeno Internet ucciderà la video star, c’è da
scommetterci.
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