da: Il Fatto Quotidiano
Don
Andrea Gallo è morto. Don Gallo Andrea vive
di Paolo
Farinella
Genova, mercoledì 22 maggio 2013, ore
17,56, squilla il cellulare mentre sono in chiesa per un incontro. E’ Paola
de Il Fatto Quotidiano che da Roma mi dice: «Ti porto brutte notizie
da Genova: è morto don Gallo». Le prometto un pensiero mio che è questo.
La morte di don Andrea Gallo ci coglie di
sorpresa, nonostante fossimo in attesa che accadesse. La verità è che non volevamo
che morisse perché ci teneva sulle sue ginocchia e ci consolava, ci coccolava.
In un tempo di papi e di gerarchie fissati su un’idea di Dio astratta, don
Andrea ci fa vedere un Dio con le mani sporche di umanità, ansioso di
sporcarsi e stare con la gente, fuori del tempio isolato da un muro d’incenso e
d’ipocrisia. Lo scorso anno a Palazzo Ducale di Genova, alla presentazione del
mio romanzo «Habemus papam», in cui preconizzavo la necessità di un papa di
nome Francesco, si entusiasmò e, prendendomi da parte, mi disse: «Sarebbe ora,
mi piacerebbe esserci». Ora sono contento che ha visto l’arrivo di papa
Francesco e ha fatto appena in tempo a pubblicare l’ultimo suo libro «In
cammino con Francesco», quasi assaporando il cambio di marcia tanto desiderato.
Don Andrea Gallo, nella mia esperienza di
amicizia e di affetto, è un uomo e un profeta di Dio, nato e cresciuto
«strabico» per natura e per vocazione. Sì, era strabico come Mosè
nell’esperienza del Sinai. Ebbe sempre una doppia stella polare: un occhio
volto sempre al popolo e uno a Dio, mai separati. Strabico, ma non scisso. Per
lui Dio e il suo popolo di poveri, di beati, di umili, di emarginati, «gli
ultimi» sono la stessa cosa e se, per caso, non lo erano, in lui si
fondevano e si identificavano.
Don Andrea Gallo, ha costruito ponti, nella
chiarezza dei fondamenti della Costituzione italiana che, nell’era del
vergognoso berlusconismo, ha difeso con ardore e passione da Partigiano, e
nella linearità ideale del Vangelo che ha vissuto «sine glossa» perché il
Vangelo è vita donata e ricevuta senza avere in cambio nulla. Non ha una vita
sua e tanto meno privata: uomo di tutti, uomo sempre accogliente e disponibile.
Per questo don Gallo è un prete a 360° senza pizzi e merletti, ma vestito
dell’umanità malata e carica di voglia di esserci. Quando incontra una
persona, la guarda con quegli occhi profondi e gli trasmette il messaggio che
lei e solo lei è importante e vale la pena «perdere tempo» per lei.
Ora don Andrea Gallo è morto. Ora don Gallo
vive perché, se da un lato ci lascia più soli, dall’altrolascia a noi un
impegno e un compito: essere coerenti come ci ha insegnato in vita e in morte.
Per me, che lui chiamava affabilmente «il mio teologo preferito», inizia un
cammino di solitudine ecclesiale ancora più intensa perché quando c’era lui,
bastava un incontro, una telefonata per rincuorarci a vicenda e confidarci cose
da preti. Ora resto solo, ma con la certezza che averlo conosciuto, amato,
difeso, condiviso è uno dei regali più grandi che Dio mi ha fatto e
di cui sono grato. Non piango la morte di don Gallo, piango per la gioia di
essere stato considerato degno di averlo avuto come amico e padre.
Ciao, Partigiano, aiutami a essere sempre
più vero e sempre più coerente come mi hai insegnato con il tuo esempio e la
tua dedizione di prete da marciapiede. Ti vedo in cielo attorniato dai poveri e
dalle prostitute, sì quelle che ci precedono nel Regno di Dio.
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